Eleonora Duse e la cultura russa del tragico e del sottosuolo 

... La relazione tra Eleonora e la cultura russa fu fondamentale. Concludendo la sua tournée a Mosca nel 1891 il suo Cechov fu un viaggio tra l'anima e il tempo delle pause, dello sguardo e del silenzio. Non solo una attrice sulla ribalta del teatro ma una donna. Eleonora non ha mai smesso di interpretare se stessa. Quel sottosuolo tragico dostoevskijano lo ha portato nel cuore oltre che sulla scena e la rappresentazione dei drammi ...

Eleonora Duse lesse con molta attenzione gli scrittori russi. Avrebbe voluto inserire nel suo repertorio i drammi più vicini alla sua introspezione esistenziale. Oltre a Cechov che approfondì con uno scavo teatrale psicologico e a Pushkin con il quale si immerse nella sua poetica erano sul suo cammino sia Tolstoj che Dostoevskij. Il Tolstoj di quella povera gente che inizia un viaggio sino a raggiungere la confessione della resurrezione.
Soprattutto Dostoevskij lo avvertiva sui suoi passi con i personaggi dell’inquietudine e dell’ironia dolorante. Avrebbe voluto portare sulla scena le donne, con il loro tragico vivere l’esistenza, che abitano la temperie umana dell’Idiota. Un dramma nel tragico. Ma era la letteratura russa con i suoi tempi e le meditazioni che affascinava Eleonora sia nel suo cammino di donna che sulla scena.


D’altronde aveva attentamente studiato Gor’kij dei “I bassifondi” ed era parte integrante del suo repertorio. Sui palcoscenici italiani aveva assunto il titolo “L’albergo dei poveri” e venne rappresentato, se pur in solo due appuntamenti, nel 1905. Sia in Francia con la compagnia di Aurélien Luiginé-Poë al Théâtre de l’OEuvre di Parigi sia al Manzoni di Milano con la Compagnia Talli-Gramatica-Calabresi.

Il suo legame culturale con Stanislavskij resta fondamentale e non solo per Eleonora ma anche per lo stesso attore e studioso russo. Infatti Stanislavskij dichiarò che dopo avere assistito a uno spettacolo di Eleonora pensò a come realizzare il Teatro d’arte di Mosca tanto che Alisa Koonem, attrice allieva di Stanislavskij, ebbe a dire che “Se non si recita come lei bisogna abbandonare per sempre il teatro”. 

Dunque.
La relazione tra Eleonora e la cultura russa fu fondamentale. Seguitissima come attrice in quelle città e soprattutto a San Pietroburgo dove le file degli spettatori per assistere ad una sua rappresentazione erano immense. Fu un mito in Russia.
Il suo modello di recitazione, il suo porsi in scena, la sua malinconia di attrice e la sua intelligenza percettiva di capo comica la rendono in quei teatri ancora di più divina e sublime. Vi porta l’innovazione della recita ma soprattutto dell’attore moderno.
L’attore personaggio che decodifica il ruolo del protagonista che, se pur non amato dal teatro russo, incarna una centralità fondamentale: la presenza. Ovvero la possibilità di espressione con una evidente sottolineatura della fisicità. Recitare con il corpo più che con le parole. Infatti lei recitava in lingua italiana ma era la gestualità che sottolineava il vero linguaggio.
Eleonora non era soltanto l’attrice, il personaggio in scena, la teatrante. Era sempre lei: Eleonora Duse.
Nella lettera a Konstantin Stanislavskij Eleonora ebbe a sottolineare: “Nel suo teatro ho attinto nuovamente alla verità e alla poesia. La poesia e la verità sono le sorgenti piu profonde per la sostanza della nostra arte e per l’anima dell’artista”.
La Russia del teatro a questo guardava. Lei ha ripagato questa devozione non saltando mai una replica. Anzi sempre con maggiore impegno ogni replica era come la prima. Una attrice italiana nel cuore della cultura russa.

Concludendo la sua tournée a Mosca nel 1891 Eleonora scrisse: “Profondamente commossa delle accoglienze, lascio questo paese, al quale mi sono sinceramente affezionata”. Il luogo e la sua cultura letteraria sono state delle chiavi di lettura di una tradizione slava fortemente interiorizzata da Eleonora. 

Il suo Cechov fu un viaggio tra l’anima e il tempo delle pause, dello sguardo e del silenzio. Non solo una attrice sulla ribalta del teatro ma una donna. Eleonora non ha mai smesso di interpretare se stessa. Quel sottosuolo tragico dostoevskijano lo ha portato nel cuore oltre che sulla scena e la rappresentazione dei drammi.

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Pierfranco Bruni, nato in Terra Calabra cui è profondamente legato, vive tra Roma e la Puglia da molto tempo. Archeologo, antropologo, letterato e linguista, fecondo saggista e poeta è presidente del Centro Studi Francesco Grisi e vicepresidente del Sindacato Libero Scrittori Italiani. Dal carismatico e sopraffine stile letterario, Bruni è alla seconda candidatura al Nobel per la Letteratura. Già Archeologo direttore del Ministero Beni Culturali e componente della Commissione UNESCO per la diffusione della cultura italiana all’Estero, nel corso della sua carriera è stato docente in Sapienza Università di Roma ed ha appronfondito lo studio rivolto alla tutela e alla conoscenza delle comunità di minoranze etnico-linguistiche.

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