Con Eleonora e Gabri. Lungo le vite

Il rumore della memoria ci abita. Scorro le immagini su un catalogo. La fotografia non è solo immagine. Eleonora mi parlò. Portava sul viso una veletta. L'ho cercata nelle mie pagine...Ad Eleonora ho dedicato i miei giorni di Roma...Fu la malinconia e l'esilio. Eleonora Duse non fu soltanto la Divina. Sulla scena e nella vita...L'amore non fu tutto. L'amore costituì il pretesto. La follia il retroscena. La ribalta l'ironia. I personaggi l'illusione. Il raccontare la solitudine. Metafore che divennero vocazioni… Eleonora mi sembra la Magdala che segue i segni delle stelle in una danza sciamana ed io la guardo in una distanza di nuvole in un'eco di conchiglia...

Consumare la vita nelle vite che ci attraversano e attraversiamo ha un sapore di canto nel deserto o in una città morta che custodisce i relitti in un rumore di memoria. Il rumore della memoria ci abita. Mi abita come se fosse una stanza chiusa sul far della sera. Eleonora mi parlò. Portava sul viso una veletta. Cercava di nascondere le leggere linee intorno agli occhi. Linee e piccoli cerchi che sarebbero diventati incisi e poi rughe.

La vita è fatta di rughe. In ogni ruga lo scavo di un anno in più che ha la bellezza di aver vissuto e di essere vissuti abbastanza e nonostante tutto il silenzio è una sopravvivenza di una presenza che diventerà mancanza in un oblio crepuscolare. L’ho cercata nelle mie pagine. Ad Eleonora ho dedicato i miei giorni di Roma. Quelle lettere ad Eleonora restano un’impressione di eterno. Ora la tenda del palco è ancora socchiusa.

Le maschere sono interpretazione. Gli abiti sono il necessario per essere appunto dei sopravvissuti. Entra sulla scena. Non con la giocosità di Sarah. Non scende le scale nella sciantosa mirabilia della visionarietà. Eleonora è insieme a tutti. A volte sola. Appartata. Seduta. Poche parole. Il suo è il linguaggio del silenzio. Del viso. Del corpo. Delle mani. A volte è l’espressione delle labbra che raccoglie l’invisibile nel mistero. Mistero fu il suo arcano senso della sensualità.

Spesso Eleonora ha bussato alla mia porta. Con i suoi occhi tristi e angosciati. L’amore tu importante ma non fu tutto. Fu tanto, ma la recita irruppe sullo scenario dell’esistere tanto che trasformò l’esistere stesso in un tempo in cui gli anni consumano la voce e lo sguardo. Ora sono io a bussare alle sue stanze. Un mazzo di rose e il porta fiori è sul tavolo all’ingresso. Un davanzale di anime vaganti mi accoglie.

Eleonora Duse non fu soltanto la Divina. Sulla scena e nella vita. Fu il legame tra un’epoca tardo romantica sradicante nel verismo irrappresentabile e la Decadenza e una volontà dell’amore come Potenza in una rappresentazione del tragico che fece della vita stessa l’immagine e l’immaginario del mito greco. Fu Saffo e fu Leucò.

Fu la malinconia e l’esilio. Profetizzò Albertine camminando nei notturni. Fu quella dea velata in una magia che imprigionò il desiderio la sensualità e lo sguardo in una attesa che scavò il tragico nelle esistenze di una letteratura come necessità di un trionfo della morte tra Ippolita e Euridice. Una città da abitare nell’ombra dopo che la stessa città in cenere divenne silenzio. L’amore costituì il pretesto. La follia il retroscena. La ribalta l’ironia. I personaggi l’illusione. Il raccontare la solitudine. Metafore che divennero vocazioni… Il resto fu una bella giornata di inquietudini con i fiori sulla gradinata. Rileggo la Francesca da Rimini. Quella di Gabriele. Eleonora è cambiata rispetto alla Francesca di Silvio. Sono passate epoche.

Eleonora Duse – Gabriele D’Annunzio

Il Novecento è un contemporaneo che parla di noi. Scorro le immagini su un catalogo. La fotografia non è solo immagine. È una fantasia nelle funzioni che scorro sui grani dei miei bracciali. Il ricordare è maestoso come la Venezia di piazza San Marco. Eleonora è andata via su una gondola. Intravedo in un anonimo veneziano Gabriele. In lontananza toccano la orizzontale del mare. Il destino avanza che il suo passo da cavaliere. Osservo. Ascolto lo scroscio delle onde.

Eleonora mi sembra la Magdala che segue i segni delle stelle ancora chiuse nel chiarore orientale. Il vento smuove i capelli. Eleonora è una farfalla ferita nel volo di una danza sciamana ed io la guardo in una distanza di nuvole in un’eco di conchiglia.

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Pierfranco Bruni, nato in Terra Calabra cui è profondamente legato, vive tra Roma e la Puglia da molto tempo. Archeologo, antropologo, letterato e linguista, fecondo saggista e poeta è presidente del Centro Studi Francesco Grisi e vicepresidente del Sindacato Libero Scrittori Italiani. Dal carismatico e sopraffine stile letterario, Bruni è alla seconda candidatura al Nobel per la Letteratura. Già Archeologo direttore del Ministero Beni Culturali e componente della Commissione UNESCO per la diffusione della cultura italiana all’Estero, nel corso della sua carriera è stato docente in Sapienza Università di Roma ed ha appronfondito lo studio rivolto alla tutela e alla conoscenza delle comunità di minoranze etnico-linguistiche.

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