San Mauro Pascoli di Romagna, Processo al ’68 in attesa del 10 agosto, opinioni a confronto – Balzani, Donati, Pivato, Ridolfi, Tonelli

Il dibattito sul '68 , un anno che divide , è stato promosso da Sammauroindustria

San Mauro Pascoli (Fc)  Il 68 è un anno che divide, malgrado i quasi cinquantanni di distanza. Lo attestano le autorevoli testimonianze raccolte in vista del Processo del 10 agosto a San Mauro Pascoli promosso da Sammauroindustria. Cinque le personalità interpellate, unite dal fil rouge di avere partecipato, con diverse modalità, ai Processi di San Mauro Pascoli.
Cè chi come lo storico Roberto Balzani spara a zero su quel periodo, chi è altrettanto critico come il giornalista Rai Giorgio Tonelli, chi vede un mutamento sociale e del costume destinato a cambiare lItalia secondo gli storici Stefano Pivato e Maurizio Ridolfi, e chi oltre alle luci vede anche alcune inquietanti ombre, il giornalista Onide Donati.
Di seguito i pareri raccolti, in rigoroso ordine alfabetico.

 

Roberto Balzani, storico, Università di Bologna. “A distanza di quasi 50 anni, il ‘68 appare più un fenomeno di costume interno pienamente alla cultura occidentale del benessere’ (e perciò tipico dei 30 anni gloriosi dello sviluppo, 1945-75) – in termini di autodeterminazione del soggetto, di affermazione della parità di genere, di contestazione delle gerarchie sociali e familiari – di quanto non sia stato luogo di elaborazione politica per la sinistra radicale. Questa variante ideologica l'abbiamo vissuta soprattutto in Italia, nel decennio Settanta e nei primi anni Ottanta: gli esiti, rispetto al ‘68 ‘internazionale’, sono stati modesti e i sessantottini, in larga prevalenza, hanno dato vita ad una generazione politica di opportunisti e di trasformisti. L'ennesima, nella storia d'Italia. Nihil sub sole novi.

Onide Donati, ex giornalista Unità. Sono nato il 23 ottobre 1954 e dunque, al tempo del maggio francese, che sancì la nascita del ‘68, dovevo dare l'esame di terza media e portavo ancora i calzoni corti. Piccolo per capire. Vero è che a 14 anni facevo la prima superiore, ITI di Rimini, scuola calda. Qualcosa l'ho capita e qualche assemblea me la sono fatta, mimetizzato tra la folla. Non ero un ragazzino precoce. Comunque, più per istinto che per altro, stavo con i rossi. E siccome avevo colto che c'erano varie sfumature di rosso, guardavo con più simpatia agli strutturati del Pci. Crescendo, decisamente ho consolidato quell'idea. Però aspettavo l'occasione buona per capire meglio il movimento. Quando l'occasione si è presentata, nel 1977, cosa mi va a succedere? Che la patria mi chiama, mi imbarca su una nave da guerra proprio mentre Cossiga fa scaldare i motori dei blindati che poi si sarebbero visti in via Zamboni a Bologna. Mi sono tolto la divisa a fine agosto del 1978, quando il '77 era finito da quel dì, Moro era stato assassinato e il compromesso storico archiviato. Le ho perse tutte le occasioni della mia generazione, io. Però credo che il ‘68 sia stato un passaggio storico con tante belle luci che qualche inquietante ombra non potrà mai spegnere. Il momento nel quale il figlio dell'operaio poteva diventare dottore, se aveva voglia di studiare. Oggi non è più così.

Stefano Pivato, storico Università Urbino. Credo sarebbe limitante giudicare il '68 solo alla luce di quei pochi mesi che infiammarono la società italiana e in particolare la scuola. Certo, il 68 fu breve ma la sua violenza provocò uno choc nella società italiana e innescò una onda lunga destinata a scuotere la storia della mentalità e del costume. Quelle rivolte studentesche posero fine agli anni Cinquanta: senza il '68 non ci sarebbe stato il referendum sul divorzio del 1974 o le elezioni dell'anno successivo che decretarono una ampia vittoria del Partito comunista. Fu, in definitiva, un fenomeno che incise molto di più sul piano del costume e della mentalità che non su quello politico. Come a dire che non fu sono una rivolta contro i consumi ma per l'affermazione di nuovi costumi.

Maurizio Ridolfi, storico Università della Tuscia. Il Sessantotto registrò una delle ondate giovanili che trasformarono con più profondità i costumi e gli stili di vita. Tanto sul piano socio-culturale che su quello politico. La scena pubblica fu costellata di simboli e colori generazionali, nuovi o rilanciati dal passato. Fu anche l'occasione di un esplosivo protagonismo femminile. L'Italia del benessere dovette fare i conti con le sue contraddizioni. Si aprì la stagione dei diritti civili ma emerse anche l'incapacità della classe politica di corrispondere ai mutamenti della società. E uno dei tratti salienti dell'Italia che il Sessantotto ci ha lasciato in eredita.

Giorgio Tonelli, giornalista Rai. “Il 68 è stato un sisma mondiale che, da qualche parte, ha picchiato anche duro: non solo nell Europa Occidentale ma anche oltrecortina (ci siamo dimenticati di Praga?) o in Messico, negli Stati Uniti, nel lontano Giappone. In Italia è stato soprattutto un fenomeno studentesco, cioè di intellettuali in formazione, con un tentativo, non sempre riuscito, di coinvolgimento della classe operaia che, solo per un attimo, ha vissuto lillusione di essere in paradiso. È stata una generazione che ha spalancato porte, che ha occupato, non sempre con merito, tutte le prime file della società. Che ha chiesto e ottenuto molto dal nostro malandato welfare state, sottoscrivendo dei gran pagherò, ma dimenticando la vecchia massima che nessun pasto è gratis.  Una generazione di giovani che ha assunto la comunicazione come il principale terreno di scontro politico e che non a caso dallimmaginazione è passata allimpaginazione al potere’ (è sufficiente guardare le biografie dei direttori di giornali e Tg di sinistra, di centro e di destra degli ultimi 10 anni). Ed ora che anche i sessantottini sono in pensione, rivendicano, come borghesi qualunque, tutti i loro diritti acquisiti naturalmente a spese delle nuove generazioni. Che sia lennesima fedeltà allo slogan del 68: Siate realisti, chiedete limpossibile?.

Il Processo del 10 agosto a San Mauro.
Formidabili quegli anni o peggio gioventù? Loggetto del contendere è il 1968, tema al centro del Processo a San Mauro Pascoli (inizio ore 21). A confrontarsi secondo la tradizione dei pubblici processi promossi da quindici anni da Sammauroindustria, saranno unaccusa guidata da Giampiero Mughini e Giancarlo Mazzuca, e una difesa condotta da Marco Boato e Marcello Flores. Presidente del Tribunale Gianfranco Miro Gori, fondatore del Processo e Presidente di Sammauroindustria. Il verdetto sarà emesso dal pubblico presente munito di paletta. Lingresso è libero, quindi tutti possono votare.

 

 

 

 

 

 

 

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