Conte non cambia e rischia di procurare più guai di Conte all’Inter

Immagine in copertina Nuccio Fava 

Roma – Il problema è sempre più cruciale: lo Stato non c’è e soprattutto non ci sono statisti all’altezza dei problemi. Il professor Giuseppe Conte non se ne rende minimamente conto e questo aggrava ma non riduce le sue responsabilità. Anzi le accresce. Avendo migliorato di molto le sue capacità di rappresentazione, grazie sicuramente agli insegnamenti di performance televisive assicurategli dal suo capo ufficio stampa, si illude di potere supplire alla inconsistenza politica con pseudo conferenze stampa di lunghezza interminabile e prive di ogni vero autentico confronto dialettico con i giornalisti. Certo i giornalisti si lasciano troppo facilmente maltrattare, ignari della qualità che il presidente Pertini ci ricordava sempre: “l’essenziale è lavorare in autonomia ed indipendenza mantenendo sempre la schiena dritta”. Anche in quegli anni giornali e radio tv avevano le loro difficoltà e i loro problemi e non eravamo tutti uguali come ad esempio Andrea Barbato e Ruggero Orlando e Mario Pastore , Vittorio Gorresio e Carlo Casalegno. Si trattava della vituperata prima Repubblica, ma con leader come  Togliatti e Moro, La Malfa e Saragat, Nenni e Malagodi. Tutti uomini di orientamento diverso che intervenivano alle tribune politiche in prima persona e il giornalista aveva anche il diritto di replicare alla prima risposta del leader politico di turno.                                                              

Con naturalmente il massimo rispetto per le colleghe e i colleghi più giovani, il confronto avveniva ad altro livello rispetto alle conferenze stampa (si chiamano ancora così) ma sono spesso uno scempio della ragionevolezza e dell’approfondimento come purtroppo ci capita di osservare negli infiniti talk show di tutte le reti. La responsabilità più grande è del servizio pubblico della Rai ricco di innovazione grafica e bellurie scenografiche di ogni tipo, che non mi pare però contribuiscano granché alla crescita etico civile dell’Italia invasa sempre più dalla corruzione e dalla mafia, dal sud al nord. Su tutto questo il ciarliero presidente del Consiglio non ha mai speso una parola significativa, preoccupato com’è di essere presente in qualunque occasione ritenuta utile a promuovere la sua immagine. Così saltella in laguna per le prove del Mose, si precipita in Olanda per dialogare con il capofila dei paesi cosiddetti “frugali”, rinvia a domani il consiglio dei Ministri per buttare fuori la famiglia Benetton dalla società Autostrade e prolungare la chiusura per la pandemia.

La confusione resta tantissima con in particolare l’enorme problema della scuola mai seriamente affrontato e di cui non si sa ancora se, come e quando avrà inizio. C’è l’annuncio di una ipotesi di data per il 20 settembre che impatta però anche con il turno elettorale impegnativo delle regionali e comunali e del referendum cosiddetto anti-casta sulla riduzione dei parlamentari, straordinaria riforma moralizzatrice sganciata gravemente da ogni visione d’insieme  di riforma costituzionale.                                                                                                   

C’è anche la grana enorme sulla famiglia Benetton, responsabile di reati e colpe gravissime, si concretizza però soprattutto su una motivazione vendicativa e gravemente immorale se non illustrata e motivata adeguatamente. Anche perché un governo se è tale non dovrebbe mai agire nella doverosa ricerca di giustizia per spirito di rivalsa e nemmeno di strumentalizzazione del comprensibilissimo dolore e sgomento delle famiglie dei 43 caduti per la tragedia del ponte di Genova. Il presidente del Consiglio, inoltre non avrebbe dovuto, secondo me, anticipare il suo giudizio su tutta la stampa specie avendo egli una volta tanto dichiarato con forza che si sarebbe trattato di una decisione collegiale del consiglio dei Ministri. E’ fatto quasi sensazionale senza riferimento questa volta alla formula “con riserva” quasi sempre adottata in questi mesi.                                                                      

Voglio chiudere con un pensiero al grande Totò, suggeritomi da un amico fotoreporter messinese, venutomi a trovare ad Orvieto, che mi porta il programma di una bella mostra dedicata a Totò dalla fondazione Principe de Curtis con l’annullo ufficiale delle Poste. Colpisce l’umanità del grande attore, che piaceva molto pure a Maradona. In rilievo soprattutto una pittura ottocentesca che ritrae lo straordinario attore al cimitero accanto ad un nobile napoletano che andava a controllare i lavori della monumentale cappella di famiglia. Totò umile si sofferma invece presso una tomba a livello dell’aiuola ornata solo da un cespuglio di rose e da una croce in legno. E’ simbolicamente la livella, poesia conosciuta in tutto il mondo che ricorda con forte delicatezza che alla fine, conclusi i nostri giorni, capi di Stato o uscieri, artisti o vagabondi, generali o soldati semplici, tutti saremo trattati allo stesso modo, la livella appunto, che farà valutazioni e differenze solo sulla base di come la vita l’avremo spesa.

(13 luglio 2020)

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