Non sparate su D’Alema, serve un grande dibattito

Il taccuino di Nuccio Fava

Gufi a parte , categoria entrata con forza nel lessico politico grazie al segretario presidente, un modo liquidatorio  di affrontare critici ed avversari facendo scadere la politica all’impresa titanica di un uomo solo al comando sul grande scenario di uno studio tv. Queste modo di governare ha funzionato in un gioco parlamentare parecchio asfittico, a causa delle modalità singolari e rumorose dell’opposizione dei 5Stelle e della frantumazione di Forza Italia alla prese con l’ambizione molto difficile di ricomporre il centro destra sotto l’eterna guida di Berlusconi. La navigazione del governo si è svolta sostanzialmente in un mare senza marosi e con una tempistica rapida per il ricorso frequente al voto di fiducia. Più complicata la vita al Senato dove però, con disinvoltura, si è aggiunto per tempo il soccorso dei transfughi di Forza Italia guidati da Verdini. Vicenda politicamente rilevante, mai affrontata e discussa, causa inevitabile di disagio e malessere tra i senatori e i militanti dem. Il calo di partecipazione, gli episodi gravi ed incresciosi delle recenti primarie hanno finito per raggrumare ulteriore scontento e sconcerto. E’ sembrato singolare che dinnanzi alle vicende, specialmente di Napoli, il segretario pronto a fare dichiarazioni in ogni momento in Italia ed all’estero, non abbia pronunziato mezza parola. Hanno dichiarato fin troppo i fedeli scudieri vicesegretari: per esaltare l’unicità dell’esperienza praticata e voluta dal solo Pd, strumento essenziale di coinvolgimento, partecipazione, democrazia. Silenzio invece sugli aspetti gravi e deprecabili, veicolati su tutti i media nazionali e locali dalle immagini che documentavano il mercanteggiamento davanti ad alcuni seggi. Davvero inammissibile l’attacco di gufismo contro chi aveva denunciato le scorrettezze, accusato strumentalmente con disinvoltura di essere contrario all’istituto delle primarie, di volere tornare al vecchio correntismo e di volere abbattere Renzi. Un modo preoccupante di intendere la lotta politica non degno di un grande partito che ha la responsabilità di guidare il Paese.

Una metodologia analoga mi sembra scattata nei confronti di D’Alema dopo l’intervista al Corriere della Sera. Appare prevalente il tentativo di demonizzare il personaggio, sulla base di certe caratteristiche del suo temperamento, di una ironia talvolta tagliente e di errori compiuti nel corso della sua lunga esperienza politica con tanti ruoli di primo piano. E’ evidente che D’Alema può essere criticato per molte ragioni ed è stato considerato il principale dei rottamati. La stessa accusa di volere rompere da sinistra il Pd è rappresentata invece da D’Alema – almeno così a me è parso – come un rischio e un pericolo che non si evita però spostando verso Verdini e l’elettorato di destra la strategia dei democratici. Si tratta di questioni di non poco rilievo, non liquidabili da frasi del tipo: “da D’Alema un distillato di odio, vuole farmi perdere” il commento attribuito al segretario presidente. Lungo questa strada non si procede verso percorsi utili e migliori sviluppi per il ruolo futuro del Pd e l’azione del governo. Non servono criminalizzazioni, insulti o ricerca di ko risolutivi. E’ indispensabile uno sforzo comune di ricostruzione, una proposta comprensibile per una sinistra di governo che dia respiro e migliore incidenza tra i militanti in calo, preoccupati anche da beghe e conflitti causati da eccessi di personalizzazione nella guida del governo e del partito. Il rischio non secondario diverrebbe assecondare diaspore e rotture a sinistra che non danneggerebbe soltanto il Pd, ma ogni seria prospettiva riformatrice per l’intera società italiana. Dovrebbe essere questo il grande dibattito necessario al Pd, con il contributo doveroso ed importante della minoranza.

(12 marzo 2016)

da www.aje.it

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