Trionfo del “tedeschellum” e voglia crescente di urne in un paese sfiduciato e a rischio

La stessa banalità con cui è stata utilizzata l’espressione “il fine giustifica i mezzi” è anche oggi ben presente nella sarabanda ininterrotta di incontri e trattative

Immagine:Niccolò Machiavelli

In una fase angosciosa e a rischio con le frenesie di queste ore, restiamo il paese in cui ha sempre troppo pesato un utilizzo superficiale e strumentale della grande lezione di Machiavelli ridotto a cinico cantore del potere con ogni mezzo e della sua conquista ad ogni costo. La stessa banalità con cui è stata utilizzata l’espressione “il fine giustifica i mezzi” è anche oggi ben presente nella sarabanda ininterrotta di incontri e trattative. Non è però questa la sede per riscoprire il pensiero autentico del grande Machiavelli, anche se diviene forse inevitabile evocarne l’uso distorto e strumentale che continua ad imperare. Mentre, appunto,  protagonisti principali della scena restano l’ex premier, l’ex cavaliere e l’ex comico. Non viviamo certo una stagione esaltante, con lo scenario internazionale dominato dalle sparate di Trump e mentre l’Europa è alle prese con una crisi senza precedenti e con problematiche speranze affidate alla cancelliera tedesca e al nuovo giovane presidente Macron, che sono di sicuro un argine possibile ai populismi e ad un nuovo ruolo dell’Unione europea. Anche se l’Italia dell’instabilità e della crisi economica sociale non riesce a comprendere adeguatamente la gravità della situazione e gioca pericolosamente alla roulette delle urne anticipate e alla riduzione di Gentiloni a mero governo balneare. Elementi tutti che ne accrescono rischi e precarietà sul piano finanziario e dei mercati e non offrono affidabilità e consapevolezza responsabile in Europa. Rischiamo, cioè, di restare ancora fanalino di coda in Europa dove l’illusione che basterà battere i pugni a Bruxelles – per ottenere udienza adeguata o raggiungere obbiettivi ancora più esigenti – per poter svolgere un ruolo da protagonisti nel cammino di riforme istituzionali e politiche assolutamente indispensabili per tentare un ruolo significativo nelle mutate condizioni del mondo. Sta qui la contraddizione e l’inadeguatezza della frenesia che da tempo percorre i palazzi romani e l’entusiasmo con cui si corre verso le urne, aggrappandosi all’ultima ancora di salvezza del “tedeschellum”. Che non è in sé strumento diabolico come il “porcellum”o” l’italicum”, ma nemmeno l’arca di Noè per la salvezza del paese.                                                       

Tra l’altro si arriva a questa soluzione, ormai quasi unanime, con intenti ed egoismi contrapposti. Chi per spirito di rivincita alla batosta del referendum del 4 dicembre scorso, chi per ingigantire il consenso alla sua proposta populista e di contrapposizione radicale al sistema, chi nell’intento di ricostruire il ruolo di unico federatore possibile del centro destra in attesa di una sentenza da Strasburgo che ne riabiliti dignità ed onore. Anche Salvini si è alla fine aggregato alla prospettiva di un possibile “nazareno 2”, mentre il solo Angelino Alfano con Formigoni resta singolarmente all’opposizione sventolando la bandiera di contrarietà alle elezioni anticipate, ma anche perché terrorizzato di non superare il quorum del 5%. Ma i sistemi elettorali non andrebbero mai utilizzati secondo le convenienze del momento e gli interessi di parte. Il ricorso maldestro al cosiddetto modello tedesco appare in ogni caso usato per contrapposte convenienze e motivazioni differenti a cominciare dalla più preoccupante, quella di contarsi il prima possibile con un voto anticipato senza reale rispetto delle prerogative del presidente della Repubblica e dei gravi mali del Paese.                                                                                         

    Unica consolazione le imprese dello sport, con la straordinaria festa per Francesco Totti e il trionfo delle Ferrari a Montecarlo. Anche la non retrocessione del Crotone all’ultimo minuto  in una Calabria devastata dalla ‘ndrangheta. Ma lo sport non basta, anche se resta fattore rilevante della vita delle persone e della stessa possibilità di coesione nazionale. Basta ricordare la vittoria di Bartali in Francia o l’attesa italica per la finale della Juventus col Real Madrid. Ma non si vive solo di sport. Né sono all’orizzonte leader politici e nuova classe dirigente all’altezza lontanamente accostabile al fascino e al mito di Jonh Kennedy o di Aldo Moro, dei quali abbiamo commemorato recentemente  il centenario della nascita.

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