Non si dovrebbe parlare di filosofia. Il filosofo fa filosofia. Mi sono posto spesso questa riflessione. Parlare di filosofia spesso si entra nella storia della filosofia. Ed è questione chiaramente complessa ma si inerpica dentro quel pensiero che fa volare le parole attraversando l’idea.
Idea con come idealismo. Neppure come realismo. Neppure come creatività. La filosofia richiede al tempo di farsi essere. Nell’orbita di Heidegger che richiama nel campo dell’idea stessa lo scontro tra il bene e il male. Ma le epoche sono tempo irraggiungibile che non possono enuclearsi come prassi. Non possono sistemarsi come storia.
Manlio Sgalambro nella sua irriverente eresia ha stazionato tra la dialettica tra Socrate e Platone in una profonda grecità ma ha soprattutto teso le mani al disperante viaggio di Cioran che ha scardinato la morte di Dio nell’uomo finito di Papini.
Siamo alla resa dell’uomo attuale che ha fatto dell’utilità il senso dell’avere . Il possedere l’utile anche quanto sa benissimo che è inutile.
Sgalambro rende tutto ciò sollevando il recupero non solo della memoria ma anche della fine. Prendere atto della fine. L’atto della fine è una filosofia del tragico che scava nel linguaggio non solo della parola ma anche della carne.
Nulla ci salverà perché siamo esseri morenti. L’accettazione di ciò è inevitabile. L’uomo moderno non ha ancora preso coscienza di ciò. Forse anche per questo si mostra con la sua empietà. Il tragico in Cioran è disperante bisogno di solitudine. In Ceronetti resta ancora ricerca del c’è un tempo per tutto, ovvero un tempo biblico.
Sgalambro si è davanti all’attesa del sole ma è se entrato Giordano Bruno che attraversa Agostino della città di Dio ma si scontra con la inevitabilità della morte. Anche il sole muore. Se il sole muore la speranza si è spenta tra le braccia del mito che inorgoglisce Nietzsche nonostante lo Schopenhauer della rappresentazione del crepuscolo perenne.
Non si è alla fine dell’uomo nella sua fragilità. Si è alla fine del tempo. È appunto inevitabile che giunga la notte. E se Maria Zambrano ha insistito che il bosco ha sempre un chiaro che può arrivare senza cercarlo con la lezione di Teresa d’Avila in Sgalambro c’è la non accettazione dell’attesa. La notte è il buio, non quello hegeliano, bensì la metafisica del peggio.
Potrebbe essere una contraddizione a priori. Sgalambro è oltre ogni contraddizioni perché è convinto che la contraddizione può essere attraversata senza la concezione del ritorno cercato. Infatti non si cerca. Si è nel tragico e se l’attuale non può condividerlo si imbatterà nella disperazione. Ovvero in quello che afferma Cioran. Si muore nel tempo prima che il tempo venga sconfitto. Il sole muore e la consolazione è un Seneca capovolto.
La ragione non giustifica nulla. Diventa soltanto il prezzo per soddisfare la consolazione. Ci sarà il disprezzo per tutto ciò. Ma più il disprezzo aumenta più la verità diventa vera. E sta nella fine di tutto.
Riprende così Gorgia. Riprende Socrate quando dice: “Nessuno sa cosa sia la morte e se essa non sia il maggiore di tutti i beni; e invece gli uomini ne hanno paura, come se sapessero bene che essa è il più grande dei mali”. Forse sarà così anche per Sgalambro? Siamo esseri che non abbiamo capito che il tempo segna la fine.
Photocover: Pierfranco Bruni – Manlio Sgalambro
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Pierfranco Bruni è nato in Calabria e vive tra Roma e la Puglia. Scrittore, poeta, italianista e critico letterario, già direttore archeologo presso il Ministero della Cultura. Esperto di Letteratura dei Mediterranei, vive la letteratura come modello di antropologia religiosa. Ha pubblicato diversi testi sulla cristianità in letteratura. Il suo stile analitico gli permette di fornire visioni sempre inedite su tematiche letterarie, filosofiche e metafisiche. Si è dedicato al legame tra letteratura e favola, letteratura e mondo sciamanico, linguaggi e alchimia. Ha pubblicato oltre 120 libri, tra poesia saggistica e narrativa. È presidente del Centro Studi e Ricerche “Francesco Grisi”. Ricopre incarichi istituzionali inerenti la promozione della cultura e della letteratura. Quest’anno con decreto del Ministero della Cultura Mic , è stato nominato Presidente della Commissione per il conferimento del titolo di “Capitale italiana del Libro 2024“. Recente è inoltre l’incarico assegnato sempre dal Mic di Componente della Giunta del Comitato nazionale per il centenario della morte di Eleonora Duse (21 aprile 1914 – 21 aprile 2024) e direttore scientifico nazionale del Progetto Undulna Duse 100.@riproduzione riservata