Il mio Kafka a 140 dalla nascita: da Kierkegaard a Nietzsche e oltre

Cosa è la letteratura nella filosofia per Franz? In un intercalare tra scrittura e profezia Franz Kafka è il centratore che invade il mistero lungo le sabbie mobili dei segreti che sono dentro di noi come processi e come castelli ed hanno il coraggio di abitare senza alcuna paura la metamorfosi delle esistenze che raccontano le vite... Kafka è nel mio viaggio.

Kafka è nel mio viaggio. Da ragazzo e oltre. Da giovane e altro. Cammino con le sue parole accanto e tra il pensare. Non dimentico gli anni in cui ho incontrato il suo viaggio tra un’angoscia dettata da Kierkegaard e un andare al di là del rito enigmatico e tragico di di Nietzsche. Ma. Il dubbio è una assoluzione permanente. La permanenza del delirio è un esistere nel vivere e nella rivolta che è ribellione. Ribelli si nasce o di diventa? Ribelli si è! Cammino e cerco il non cercare. Kafka a 140 anni dalla nascita: 1883-1924.

Cosa è la letteratura nella filosofia per Franz?
Un libro deve essere una punta affilata. Un’ascia che possa tagliare il tempo e il vento e mettere in crisi la storia e l’anima. Un occhio di tigre che non ha paura della notte buia e diventare stella nel cammino. Il deserto è un destino.
Franz Kafka è il centratore che invade il mistero lungo le sabbie mobili dei segreti che sono dentro di noi come processi e come castelli ed hanno il coraggio di abitare senza alcuna paura la metamorfosi delle esistenze che raccontano le vite.
Kafka è un intercalare tra scrittura e profezia. Non so se sia più scrittore che profeta. Non so neppure se sia più necessario essere scrittore che profeta o se i due emisferi si incontrano o si raccolgono in una dimensione di onde magnetiche sul filo dei circuiti tra il vivere e il morire o dei cortocircuiti.
Resta il fatto che la parola terribile è un assurdo o un enigma che non si scioglie in una domanda e in una risposta.

Rimane, appunto, una domanda costante come se avesse intorno ad ogni sillaba un fuoco senza cenere. Una fiamma. La fiaccola che traccia il senso dell’attesa e dell’esilio. La colpa e il risveglio dalla morte nella fine. O meglio della colpa e del risveglio. L’atteggiamento della fine nel gioco dell’illimite.
Ci sarà mai un non limite? Lo scrittore può avere il limite come orizzonte. Il profeta parte dal limite per andare certamente oktre. Come (o così) Zarathustra diventa un Dio del Sole e sul banco degli imputati non offre risposte ma chiede domande.
Chiedere domande? È l’uomo disturbato dal quotidiano perché è nel quotidiano che si affollano i poteri. Gli assoluti poteri. Ma i poteri sono già degli assoluti. Gli assoluti sono già dei poteri, dunque? Si supera ogni tempo della ragione perché se la ragione è un razionale il razionale non conosce il tempo perché il tempo non ha nulla di razionale. Altrimenti non sarebbe esistito e non avrebbe sancito una contraddizione con la storia. Una filosofia di ambigui percorsi in cui il dubbio è permanenza nella impermanenza dell’istante.
Il dubbio è l’anticamera nella fabula della merafora della colpa. K. è sul banco degli imputati e vive la sua ora senza misurare il resto e senza rappresentare il reale. Perché la finzione del reale è una corsa ad ostacoli tra le biglie dei giorni e la memoria del pallino che scivola tra le mani e il calcolo.
La geometria è un vedere oltre. Come nelle Metamorfosi. Ma K. è fondamentalmente una attesa dentro l’esilio e nel paradigma del racconto raccontando il racconto.
Kafka lascia che i fantasmi scivolino sulla carta vetrata dello specchio nel quale si specchiò Gogol e i suoi personaggi ricostruiscono comunque l’ironia sulla patina di quel dubbio che invade la coscienza. Non si mostra una verità. La verità si mostra, invece. Tutto ciò che si mostra è apparente. Tutto ciò che diventa o resta apparente è apparentemente apparente. Perché il profondo ha sempre una maschera. Ovvero tutto ciò che è profondo ama la maschera.
Kafka è un diluvio. Mai un naufragio. È una tempesta. Mai un nubifragio. È un mare oltre. Ed è anche l’isola. L’isola di una stanza o una stanza proustiana dove alcuna eco fa eco. Mai umiliati e offesi. Ma abitanti del sottosuolo certamente. Ed è qui che si abitano le marionette dell’esistenza e del vivere nel paradosso dell’essere ora per essere ancora anche se la dimenticanza sarebbe una metafisica più efficace della ricordanza. Il viaggio esistente può anche diventare l’inesistenza del viaggiare. K. e Franz iniziano così il loro dialogo tra la fine e un inizio che conduce all’oltre fine-inizio. Il tempo non è scaduto. Si è forse appisolato. Forse una teologia?

Un mistico che cerca la Grazia forse in Pascal? Probabilmente sì. E se non fosse così? Quando il letterato incontra il profeta la ragione è una briciola. Non si raccolgono le briciole. I dettagli sì. Kafka fa dei dettagli le vite delle esistenze.

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