Il 25 marzo di 723 anni fa iniziava, come eruditi studi hanno accertato, uno dei viaggi più entusiasmanti della storia dell’umanità. Un viaggio nella realtà e nella fantasia, nella mistica e nel pentimento, nel perdono e nella Gloria: il percorso di purificazione del poeta Dante Alighieri attraverso i tre regni dell’oltretomba.
Così il 25 marzo è diventato il “Dantedì”, ovvero il giorno in cui si ricorda l’inizio del suo pellegrinaggio. Non si vuole certo in questa sede neanche lontanamente accennare a una nostra presentazione o interpretazione o, addirittura, commento alla “infinita sensuum silva” della Divina Commedia.
Più modestamente si vuole additare una lettura dell’opera dantesca che ha avuto poca fortuna in Italia, dove si è riusciti a parlare di Dante, grazie soprattutto alla vulgata risorgimentale, come “poeta nazionale”, quando il concetto stesso di nazione (nato quattrocento anni dopo di lui) non esisteva ancora.
Il testo a cui facciamo riferimento venne pubblicato in Spagna nel 1919 a cura di un sacerdote cattolico, grande arabista e conoscitore sia del pensiero di San Tommaso d’Aquino sia della mistica musulmana: Miguel Asìn Palacios. Il titolo è già di per sé esplicativo: “La escatologìa musulmana en la Divina Comedia”.
Il libro, edito col titolo “Dante e l’Islam” da Luni Editrice nel 2015 con un’illuminante introduzione di Carlo Ossola, si fonda sulla tesi di un rapporto diretto, puntuale, preciso tra la tradizione musulmana del viaggio del profeta Maometto nell’oltretomba, descritto nel “Libro della scala”, e l’opera del poeta fiorentino.
Non possiamo certo entrare nei dettagli, ma ci preme sottolineare che questa tesi ci appare di estremo interesse. Se è vero che l’autore, con una acribia esegetica ammirabile, lavora fin nei minimi dettagli della Commedia per stabilire rapporti di consonanza, parallelismi e vera e propria dipendenza dal testo arabo, d’altro lato resta difficile dimostrare in modo cogente l’effettiva conoscenza da parte di Dante di tale testo: Asìn Palacios lavora sulle assonanze.
Però è certo che il musulmano “Libro della scala” venne tradotto in latino già nel XIII secolo in Castiglia e ormai molti studiosi ritengono quasi sicura la conoscenza del testo mistico arabo da parte di Dante. Non siamo, ovviamente, in grado di esprimere un parere su questa tesi, ma ci appare interessante soprattutto un aspetto, si potrebbe dire, storico-culturale: “Dante e l’Islam” apre uno squarcio sul Mediterraneo medievale che libera da asfittici campanilismi.
Il presupposto del testo è che esisteva all’epoca (ma solo all’epoca?) uno scambio sotterraneo non solo a livello filosofico “alto” (si pensi ai grandi nomi di Avicenna, Averroè, al conseguente problema dell’averroismo latino, alla “vexata quaestio” di Sigieri di Brabante), ma anche e soprattutto in termini di leggende, racconti, credenze popolari tra le culture e religioni del Libro: la musulmana, la cristiana, l’ebraica.
E’ una tesi che permette di pensare i rapporti non necessariamente mediati solo dalla violenza o, peggio ancora, dallo “scontro di civiltà”, bensì vivificati da un’osmosi sotterranea, si direbbe giornaliera, di pensieri travalicanti dogmatismi opposti e che fanno del Mediterraneo un luogo di incontro, confronto, reciproco arricchimento. Questo ci sembra l’aspetto più interessante del testo, giustamente sostenuto con esempi convincenti nella suddetta, interessantissima introduzione dell’Ossola.
Il Dantedì può così essere un’occasione di riflessione sulla “Divina Commedia” ma anche, forse soprattutto, sull’inesauribile ricchezza negli scambi tra gli uomini; scambi che spesso nelle ricostruzioni specialistiche, il cui valore è comunque fondamentale e ineliminabile, si corre talvolta il rischio di smarrire.
Se ci si chiude all’interno di formulette pronte all’uso si può non notare quanto queste formulette impediscano di cogliere la vitalità, la ricchezza, l’esuberanza, la profondità degli avvenimenti. Così come quando rimasi, scioccamente, stupito vedendo una mia conoscente iraniana che, da brava musulmana sciita, pregava con ardore, in una delle più belle chiese torinesi, davanti alla statua della Madonna.