I dipinti e gli oggetti d’arte di Amalia Cesareo raccontano il mare dello Stretto di Messina

Il mare dello Stretto con il ritmico fragore di onde e il loro riflusso, la sua abbagliante bellezza, nell’estatica contemplazione di Amalia Cesareo appare simbolo della non facile navigazione nel vivere umano

 

Visitare il sito https://www.amaliacesareo.com dedicato ad alcuni  dipinti di Amalia Cesareo che da tempo, con passione e professionalità, percorre la strada della composizione pittorica accompagnata dal maestro Enzo Celi, è piacevole.

Le opere – in parte conservate in famiglia, in parte donate, anche lontano, in e fuori Europa – illustrano il mare dello Stretto di Messina visitato da Amalia Cesareo nell’infanzia a Torre Faro, poi a Capo Milazzo, in età matura a Scala Torregrotta. Erano conosciute finora in misura parziale e frammentaria, rese note attraverso mostre: tra queste, Malìa 3, la personale di pittura di Amalia inaugurata a Palermo nello scorso dicembre, che ha proposto una versione aggiornata della sua vicenda artistica e umana.

Amalia, amante del bello e dell’arte nella sua poliedricità, si definisce “artista ribelle”, che “non ama ricevere direttive”, per un ramo di follia, la vena artistica che è in famiglia e di cui partecipano i suoi due figli Giovanni e Francesco; ed è una creativa che pratica con innata predilezione, unitamente all’arte, anche l’ecologia e la solidarietà con il più debole.Ci racconta la sua “storia con i pezzi di barca”, la sua follia di “cercare in spiaggia, in inverno dopo una lunga mareggiata, legni – più o meno grandi – così vissuti che sanno di mare, di salsedine, di sole, di vento e di lavoro” e “di ricordi e di emozioni”; si adopera per ridare vita a loro e trasformarli in opere d’arte: pensa “ad un divenire, a qualcosa che c’è già, che è lì”, e vola “libera”, per realizzare senza pennelli ma “con le mani, con le dita” ciò che “il cuore percepisce, suggerisce”.

Amalia Cesareo compie un’ascesa interiorizzata, in se ipsa, forse con richiamo alla metafora biblica del cuore umano come luogo dove si compie la riflessione, quando – come spiegava San Paolo – “venendo come a mancare il linguaggio umano, non si può né descrivere né forse pensare …, ed è il cuore dell’uomo che deve ascendere lassù”. La contemplazione dell’immenso mare – un essere vivente insondabile e misterioso, una presenza ora ostile ora ammaliatrice – genera emozione umana e religiosa: a questo ci portano le fatiche vissute da Amalia che raggiunge per strade impervie luoghi sperduti, anche freddi, con venti impetuosi che vi possono soffiare, ma sempre con l’entusiasmo che, da parte sua, ha di gran lunga superato un impegno puramente professionale.

Siamo invitati dolcemente a guardare cosa c’è dietro l’opera d’arte, a riconoscere il materiale obsoleto che l’oggetto dipinto eradivenuto, a scoprire ciò che esso ora è per le sue potenzialità e per l’altrui cura: la genesi di questi quadri ci suggerisce anche di non credere nei muri, di essere empatici, di correggere il nostro sguardo su penose vicende umane volgendolo sempre con amorevole rispetto. La formula introspettiva e il movimento di ascesa, su cui Amalia modula la propria “storia”, caratterizzano l’avventura dell’anima umana che si solleva in preghiera, contribuiscono ad azzerare la distanza tra noi e Dio.

Nell’atmosfera dello stretto Amalia è interlocutrice del mare, con cui instaura un dialogo intimo, cogliendone il linguaggio specifico. Nei dipinti il mare talvolta è una distesa piatta e calma, è in bonaccia, placido ascoltatore, come in attesa, e l’azzurro dell’acqua è scintillante, l’atmosfera è limpida; altre volte, per improvvisi vortici delle correnti dello stretto, è rumoroso, burrascoso; anche risponde, con la cadenza continua e ritmata delle onde che si infrangono sugli armoniosi drappeggi degli scogli; ed è elemento quasi amico, poiché sia il magnifico paesaggio, il cui “colore” è l’essenzialità, sia una barca  fanno da contorno alle acque, quasi ad arginare effetti devastanti e avversi; non mancano voli di gabbiani striduli a fior d’acqua. L’atmosfera cromatica ha toni incantati, grazie all’uso di una luce diffusa e di “pennellate” morbide e vaporose. Ma anche quando i colori cupi dominano la rappresentazione e la luce non è particolarmente intensa, c’è una barca che segna la possibilità di conclusione a lieto fine, di speranza ben riposta; e la suggestiva magia pittorica del colore ceruleo, uno dei tanti colori poetici di cui si riveste il mare di Amalia, ce ne trasmette la musica, che è quasi espressione dell’uomo interiore integrale esercitando su noi un’azione liberante, formativa in momenti della nostra esistenza, e una funzione unificante, esprimendo il carattere comunitario della vita umana.

Il mare dello stretto con il ritmico fragore di onde e il loro riflusso, la sua abbagliante bellezza, nell’estatica contemplazione di Amalia Cesareo appare simbolo della non facile navigazione nel vivere umano. L’approdo, dove Amalia ha gettato “l’ancora”, è una casa che, sulla spiaggia a Capo Milazzo, offre a quelli che vi si rechino il vantaggio del conforto del suo porto; suggerisce – se qualche evento sollevi un giorno contro di noi i tempestosi flutti di questo mondo – l’idea di refrigerio e di ristoro spirituale; persuade a godere – oltre i pericoli della navigazione e placandosi la burrasca – una pace profonda. Dello Stretto, dove il divino Ulisse udì latrare Scilla e vide il gorgo leggendario di Cariddi – descritto con orrore da Omero, Aristotele, Virgilio, Lucrezio Caro, Seneca ed altri – oggi i dipinti di Amalia veicolano il potenziale espressivo della seduzione del mare: per nostalgia, come nella Bimba dagli occhi pieni di Malia. Tutti noi, sull’estremo confin del mare,un bel dì “vedremo” la barca che ormeggia in un porto sicuro: sarà la nave della solidarietà; comprenderemo che la felicità sognata non svanisce.

Per il movimento di trascendenza verso l’altro e per la rete altrui in cui siamo, è l’Altro, la Trascendenza ultima, che si profila all’orizzonte. Chi afferma solo se stesso, al punto da negare ogni altro su cui misurarsi, risolve ogni differenza nell’oceano asfissiante della propria identità: nessun uomo è un’isola. Dal pericolo di naufragio ci salviamo con l’etica dell’amore e della speranza, per generosa solidarietà, per un atto di trascendenza di ciascuno verso l’altro, di tutti verso ciascuno, imparando la nostalgia del mare ampio e infinito. La barca, di Amalia Cesareo e nostra, se ricostruita con impegno generoso e convergente da rottami sul mare della storia, se naviga verso una rotta condivisa – cioè il bene comune, come misura e norma dell’agire individuale e dell’intera famiglia umana, scevro di pregiudizi e presunzioni, “verso un radicale cambio di paradigma, anzi … verso una coraggiosa rivoluzione culturale” (Francesco, Veritatis gaudium 3, 29 gennaio 2018) -, è anche un’offerta di luce di fronte alla crisi di senso in atto nel villaggio globale.  

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