LA STORIA DELLA SICILIA NELLA SUA CENTRALITA’ MEDITERRANEA

La Sicilia naturalmente ricca di materie prime e di prodotti agricoli pregiati sarebbe stata sistematicamente sacrificata dallo Stato italiano protezionista e ‘nordista’

  Non si finirebbe mai di lodare l’impianto storiografico del volume Storia mondiale della Sicilia (Laterza, BA, 2018), curato da Giuseppe Barone dell’Università di Catania e coadiuvato da una équipe di agguerriti collaboratori (Alessia Facineroso, Sebastiano A. Granata e Chiara Maria Pulvirenti), nel quale l’isola, posta al centro del ‘lago mediterraneo’ e sempre dialogante fra popoli  e culture, “si pone oggi come obiettivo vitale per l’Europa e per l’intero Occidente, perché può diventare il baricentro geopolitico per una ‘sfida di civiltà’” (introduzione, p. XXXVIII).

   Il panorama storico che il libro ci offre, con contributi di docenti e studiosi di buona parte dell’isola ma soprattutto dell’Università di Catania, fa piazza pulita dei vari “miti”che intorno a essa si sono succeduti, a cominciare da quello del sicilianismo antistatale e filoborbonico, “secondo cui la Sicilia naturalmente ricca di materie prime e di prodotti agricoli pregiati sarebbe stata sistematicamente sacrificata dallo Stato italiano protezionista e ‘nordista’, teso a difendere esclusivamente un blocco corporativo di interessi centrato sull’alleanza tra industriali e operai settentrionali a danno delle masse popolari del Sud” (p. XIII).

   “Contrapponendosi allo stereotipo sicilianista, ma nello stesso tempo superando il paradigma contadinista gramsciano, gli storici cominciano a porsi domande nuove, a suggerire ipotesi di ricerca che aiutano a decodificare non già una società statica e arretrata ma una struttura complessa e continuamente riplasmata dal mutamento sociale” (p. XVI). In tale direzione, è venuto a delinearsi il tema dell’urbanizzazione, vale a dire quello di “una Sicilia sin dal medioevo e per tutta l’età moderna ‘terra di città’. Nessun altro tema rappresenta con maggiore evidenza la ‘rivoluzione’ storiografica sulla Sicilia quanto la scoperta della dimensione urbana come ‘carattere originale’ di lungo periodo” (l’esempio più vistoso è quello delle città di nuova fondazione, circa 120 paesi che tra il 1590 e il 1750 si aggiungono ai centri urbani preesistenti) (p. XVI). A parte poi il conflitto di egemonia tra Palermo e Messina in età moderna, che costituisce un caso di ‘leadership parallela’ tra due città-capitale: la prima come sede della corte viceregia, del potere politico e della aristocrazia titolata, la seconda come centro produttivo della ricca borghesia commerciale (e già capitale della produzione e del commercio della seta) e dei circoli intellettuali legati al prestigio scientifico dell’Università” (p. XVII). E quando calamità storiche (la repressione seguìta alla rivolta antispagnola del 1674) e naturali (terremoti del 1783 e del 1908) cancellarono definitivamente il ruolo egemonico di Messina, si ebbe lo sviluppo della vicina città di Catania, dalla straordinaria crescita economica.

    Il volume, conformemente alle sue premesse e avvalendosi di contributi archeologici per le età preistorica e protostorica, fa partire il panorama della civiltà siciliana dal V millennio a.C., quando l’isola di Lipari monopolizzava il commercio e la diffusione dell’ossidiana, i cui manufatti venivano esportati in tutto il Mediterraneo. Seguirà, nella tarda età del bronzo, la massiccia espansione della civiltà egeo-micenea (che in Sicilia, a Càmico – l’odierna S.Angelo Muxaro – situa la localizzazione del mito di Dedalo e Minosse: cfr. Luigi Bernabò Brea, La Sicilia prima dei Greci, Il   Saggiatore, MI, 1958, pp. 177 e segg.) e poi le più note tappe dei Sicani e dei Siculi, degli Elimi, dei Fenici, dei Greci e dei Romani. Un rilievo particolare è dato, per l’età greca, alla battaglia di Imera del 480 a.C., nella quale siracusani e agrigentini sconfiggono un più numeroso esercito cartaginese ( e Pindaro esalterà la vittoria, al pari di quella contemporanea di Salamina contro i persiani, perché “trasse dal peso del servaggio l’Ellade” [1^ Pitica]), per il ruolo svolto dalla regina Damarete, moglie di Gelone, che nel trattato di pace avrebbe imposto ai cartaginesi di far cessare i sacrifici dei bambini al dio Baal, in cambio della clemenza dei vincitori. Ma il ruolo svolto dalle   donne è messo in luce in altre occasioni offerte dalla storia. Particolare rilievo è dato infatti alle martiri cristiane del III sec, d.C., la catanese Agata la siracusana Lucia(il cui culto in verità affonda in quelli pagani di Iside, Demetra e Persefone), a Macalda di Scaletta moglie di Alaimo da Lentini (al tempo del Vespro, nel 1284), a Bianca di Navarra che difenderà l’indipendenza dell’isola (1402),a Franca Florio e Alessandra di Rudinì ‘eroine’ moderne al pari di Franca Viola che nel 1966 sconfiggerà il maschilismo mafioso.

   Non possiamo, per esigenze di spazio, soffermarci sulle età storiche successive alla romana: gotica, bizantina, araba, normanna, sveva, angioina, spagnola, piemontese, austriaca e borbonica, fino  almeno all’Unità d’Italia. Sempre però offrendo una “civiltà multiculturale, luogo cruciale di incontro e di scontro, ora cerniera ora frontiera” (p. XXVIII). Il volume in esame ha risposte illuminanti, grazie ai contributi dei vari specialisti, per ogni età.

    Ovviamente, i dati produttivi e commerciali dell’isola sono sempre messi in rilievo. Così avviene per il grano, per il riso, per la canna da zucchero, per la seta, per il sale, per lo zolfo, per gli agrumi, per il vino (con la creazione ‘inglese’ del Marsala) e per il pesce conservato: “Nel Cinquecento i carichi di grano soddisfano il fabbisogno della repubblica di Genova, almeno la metà della domanda che proviene dalla Toscana e da Napoli, tanto da far scrivere a Braudel che per quel secolo la Sicilia sia stata il Canada e l’Argentina dei mondi occidentali” (p. XXVIII).

   Anche l’emigrazione, tra XIX e XX sec., è stata un fattore di modernizzazione, pur comportando il ‘frutto amaro’ dell’esportazione della mafia.

   Non si può, in conclusione, non citare il contributo di Rosa Maria Monastra, che considera la Sicilia come metafora. Se infatti l’isola era per Goethe la “chiave di tutto” (1787), per Sciascia essa “offre la rappresentazione di tanti problemi, di tante contraddizioni, non solo italiani ma anche europei, al punto da poter costituire la metafora del mondo moderno”. E “naturalmente le dichiarazioni di Goethe e quelle di Sciascia non sono sovrapponibili. Ciò che qui interessa […] è il rafforzarsi di una valutazione enfatizzante, la ribadita convinzione che la Sicilia – nel bene e nel male – sia lì a significare qualcosa di più vasto, che rivesta un’esemplarità eccezionale” (pp. 30O/01). Così vengono citati i vari scrittori che hanno favorito tale crescita simbolica. E soprattutto viene finalmente ribadita la differenza tra la corretta sicilianità e il deteriore sicilianismo.

GIUSEPPE BARONE, Storia mondiale della Sicilia, Laterza, BA, 2018, pp. XXVIII + 507, € 35,00.  

 

Nelle foto:

1. Storia mondiale della Sicilia

2.  decadramma di Demarete

Stampa Articolo Stampa Articolo