13 dicembre, un giorno storico per due papi: CELESTINO E FRANCESCO

di Mario Setta - storico

SULMONA – 13 dicembre. Una data che sembra accomunare due personaggi. Due papi:Celestino V e papa Francesco. Il 13 dicembre 1294 Celestino V dà le dimissioni da pontefice. Il 13 dicembre 1969 Jorge Mario Bergoglio, nato a Buenos Aires il 17 dicembre 1936, riceve l’ordinazione sacerdotale. Una casualità, certamente. O forse una scelta, più o meno consapevole, da parte di Bergoglio. Comunque uno strano destino che lo ha portato ad incontrarsi con quell’atto rivoluzionario di papa Celestino, imitato dopo più di sette secoli da papa Benedetto XVI

 

Gesti profetici e segni dei tempi nella lunga storia della Chiesa, che creano una frattura. Una discontinuità. Le parole pronunciate da papa Celestino il 13 dicembre 1294 provocano ancora oggi uno choc. Come allora si rimane frastornati. “Io, papa Celestino V, spinto da legittime ragioni, per umiltà e per desiderio di miglior vita, per obbligo di coscienza oltre che per la scarsità di dottrina, la debolezza del mio corpo e la malignità del mondo, al fine di recuperare la tranquillità perduta, abbandono liberamente e spontaneamente il pontificato e rinuncio espressamente al seggio, alla dignità, al peso all’onore che esso comporta, dando sin da questo momento al Sacro Collegio dei cardinali la facoltà di scegliere e provvedere di un nuovo Pastore, secondo le leggi canoniche, la Chiesa universale”.

 

Francesco Petrarca, nel “De vita solitaria” in cui esclama “Oh fossi vissuto con lui!”, scrive: “Persone che lo videro mi raccontarono che fuggì, con tanto giubilo, mostrando tali segni di letizia negli occhi e nella fronte quando si allontanò dal concistoro, libero di sé, come se avesse liberato il collo non da un peso lieve, ma da crudeli mannaie, tanto che gli sfolgorava in viso qualche cosa d’angelico”. Sembra di vederlo, questo vecchietto ultraottantenne, che fugge come un bambino felice. “Se non vi convertirete e non diventerete come bambini…” (Mt 18.3). E libero, come una colomba. “Siate semplici come le colombe” (Mt 10.16).

 

Ma la realtà sarà diversa. Il successore, Bonifacio VIII, eletto la vigilia di Natale del 1294, lo perseguiterà fino a relegarlo in una cella del castello di Fumone, dove Celestino morirà il 19 maggio 1296. Meglio libero di spirito in una prigione, piuttosto che schiavo nell’opulenza del papato. Anche oggi la storia si ripete. Papa Francesco sceglie di vivere in una stanza alla casa Santa Marta. Una lezione di stile evangelico. Con grande semplicità, come nello stile di Jorge Mario Bergoglio.

 

L’opzione preferenziale per i poveri è una linea pastorale, scaturita dal Concilio Vaticano Secondo, proposta già nella prima sessione dal cardinale di Bologna, Giacomo Lercaro. Linea pastorale che, alla conclusione del Concilio, sfociò nel cosiddetto “Patto delle Catacombe”, promosso da HelderCamara, firmato da una quarantina di padri conciliari dell’America Latina.  I firmatari assumevano l’obbligo morale per una serie di impegni: vivere come vive la nostra popolazione; rinunciare all’apparenza e alla realtà della ricchezza; affidare la gestione finanziaria e materiale ad una commissione di laici competenti; rifiutare di essere chiamati, oralmente o per iscritto, con nomi e titoli che significano grandezza e potere (Eminenza, Eccellenza, Monsignore…).

 

Quel “Patto delle Catacombe” sembra oggi divenuto il programma dell’attuale pontefice Francesco. Lo stile di vita, pacato e sereno, e le parole “sporcatevi le mani” sono segni di speranza per la realizzazione di una chiesa povera per un mondo di uomini e donne, liberi e uguali. Dopo la sua elezione, nella casa di Santa Marta, fu presentato al papa un piccolo libro, tra i tanti, dal titolo “Cristo ha le mani sporche”. Un romanzo di Mario Setta, ambientato nella Roma del boom edilizio, che presentava Cristo-operaio edile, caduto vittima tra le macerie di un cantiere della periferia romana. Forse al papa sarà rimasto impresso il titolo, perché Cristo, ieri come oggi, non può che identificarsi nell’operaio dalle mani sporche.

 

L’arrivo di papa Francesco ha sparigliato le carte sui tavoli della gerarchia cattolica. Molti vescovi, in gran parte nominati nel periodo Giovanni Paolo II-Benedetto XVI, sembrano perplessi. Incerti nella ricerca d’una nuova via per l’evangelizzazione. Crolla un sistema che li ha “consacrati” eccellenze, eminenze, mentre nel Vangelo si parla di “servi inutili” (Lc 17.10), perché “il Figlio dell’uomo non è venuto per essere servito, ma per servire” (Mc 10.45). In questi quattro anni del pontificato “francescano”, stiamo vivendo una rivoluzione epocale, come ogni rivoluzione che abbia Gesù Cristo come modello di riferimento. Ma non sono pochi quelli che vi si oppongono: preti e vescovi che continuano a presentarsi come “signorotti” d’altri tempi, distribuendo sacramenti a suon di denari o accaparrando poteri per i propri fini individualistici.  Un nuovo cielo e una nuova terra, come afferma l’apostolo Pietro nella seconda lettera (3.13), si intravedono, ma restano ancora lontani.

 

 

 

 

 

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