Cura Italia libera i boss?

Nella realtà dei fatti non è così. Alla pretestuosa fuoriuscita dal carcere dei boss mafiosi posti al 41 bis, due magistrati, in atto Consiglieri togati del CSM Consiglio Superore della Magistratura, il palermitano #NinoDiMatteo (già sostituto procuratore presso la DDA di Caltanissetta, pubblico ministero a Palermo nel 1999 tra i protagonisti delle indagini sulle stragi di mafia nelle quali rimasero uccisi i giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, nel 2012 presidente Associazione nazionale magistrati (ANM)] e #SebastianoArdita (già procuratore aggiunto della Repubblica presso i Tribunali di Catania e di Messina, direttore generale dell’Ufficio detenuti del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (Dap), attualmente consigliere dell’organo dell’autogoverno dei giudici CSM e Presidente della Commissione su carceri ed esecuzione della pena),avevano contestato la decisione di concedere alcune forme di detenzione alternativa ai detenuti in condizioni specifiche, definendola un "indulto mascherato" e un "pericoloso segnale di distensione"

Il fuoco delle polemiche ha soffiato forte su tutta la faccenda. Già il “Cura Italia” aveva provocato accese prese di posizione. Due magistrati  il palermitano Antonino Di Matteo (già sostituto procuratore presso la DDA di Caltanissetta, pubblico ministero a Palermo nel 1999 tra i protagonisti delle indagini sulle stragi di mafia nelle quali rimasero uccisi i giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, nel 2012 presidente Associazione nazionale magistrati (ANM)] e  Sebastiano Ardita (già procuratore aggiunto della Repubblica presso i Tribunali di Catania e di Messina, direttore generale dell’Ufficio detenuti del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (Dap), attualmente consigliere dell’organo dell’autogoverno dei giudici CSM e Presidente della Commissione su carceri ed esecuzione della pena), avevano contestato la decisione di concedere alcune forme di detenzione alternativa ai detenuti in condizioni specifiche, definendola un “indulto mascherato” e un “pericoloso segnale di distensione”. Rispetto alla ventilata ipotesi di una pretestuosa fuoriuscita dei boss mafiosi dal carcere, che sfruttasse l’emergenza, anche i familiari delle vittime hanno dichiarato la loro preoccupazione: “Non si deve permettere ai detenuti che si sono macchiati di gravi reati, di stragi per cui ancora oggi la memoria è viva nella carne del Paese, di poter utilizzare l’emergenza sanitaria per chiedere l’esecuzione della pena al proprio domicilio, e quindi ritornare negli stessi territori che hanno dominato”,  chiedendo più rigore nella valutazione delle istanze di scarcerazione. I più forti contestatori delle scarcerazioni sono però stati gli esponenti dei partiti di destra, Lega e Fratelli d’Italia, che ne hanno fatto l’ennesimo argomento di attacco al governo Conte.

Molti politici hanno chiesto le dimissioni di Francesco Basentini, il direttore del Dap Direzione dell’Amministrazione Penitenziaria già contestato per la gestione delle carceri e delle proteste a marzo, presentate dal funzionario il primo maggio. Per tamponare la situazione, il ministro Bonafede ha prima nominato come vicedirettore del Dap il magistrato Roberto Tartaglia, per oltre dieci anni sostituto procuratore della Direzione distrettuale antimafia di Palermo e negli ultimi tempi consulente della Commissione parlamentare antimafia, poi, il 2 maggio, ha chiamato a dirigere il Dap Dino Petralia, già procuratore in diversi distretti siciliani e negli ultimi anni procuratore generale a Reggio Calabria. Inoltre, con il nuovo decreto Giustizia, approvato il 29 aprile, ha introdotto alcune disposizioni già annunciate: nella valutazione delle istanze per la concessione di domiciliari e permessi a detenuti al 41bis, il magistrato di sorveglianza dovrà sentire il parere del procuratore della Repubblica del tribunale del capoluogo del distretto dove è stata emessa la sentenza, ovvero coloro che si sono occupati delle indagini, e del procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo. Solo qualche giorno prima, il governo ha indetto un concorso straordinario per il reclutamento di mille operatori sanitari da impiegare negli istituti di pena, anche minorili, per fronteggiare l’emergenza Covid

Ma sembra sempre più chiaro che tutta la faccenda, la preoccupazione per la gestione di Covid in carcere e l’allarme scaturito dall’interpretazione di una circolare del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria. Il documento, inviato il 21 marzo scorso ai direttori delle carceri, invitava a comunicare “con solerzia all’autorità giudiziaria per le eventuali determinazioni di competenza il nominativo del ristretto che dovesse trovarsi nelle predette condizioni di salute”, patologie e condizioni (come l’età superiore ai 70 anni) a rischio complicanze.

L’Espresso esaminava questi documenti evidenziando la possibile scarcerazione di boss mafiosi, ricordando che 74 detenuti al 41bis hanno più di 70 anni, e tra questi spiccano nomi importanti come Leoluca Bagarella, Pasquale Condello, Raffaele Cutolo e tanti altri. Il Dap e il governo hanno sottolineato che la circolare chiedeva soltanto di attuare un monitoraggio, ma queste comunicazioni – destinate alle autorità giudiziarie – sono state lette come uno spiraglio utile alle scarcerazioni, generando confusione e allarme diffuso anche per la reale difficoltà del mondo carcerario di rispondere adeguatamente alle esigenze sanitarie poste dalla pandemia. “La Costituzione non lascia spazio a ipotesi in cui la circolare di un direttore generale di un dipartimento di un ministero possa dettare la decisione di un magistrato – ha ribadito il guardasigilli Alfonso Bonafede mercoledì durante il question time alla Camera –. Le scarcerazioni richiamate sono decisioni giurisdizionali di natura discrezionale impugnabili secondo la relativa disciplina”.

Ma proviamo ad esaminare chi realmente è uscito dal carcere…

Uno caso risale al 3 aprile ed è quello di Vincenzino Iannazzo, condannato in appello, ed in attesa del giudizio di Cassazione, come capo dell’omonima cosca di Lamezia Terme, affetto da numerose patologie, a cui è stato applicato il braccialetto elettronico. Il secondo caso risale al 10 aprile.

Rocco Santo Filippone, presunto boss della ‘ndrangheta di Melicucco (Reggio Calabria), a processo per i rapporti tra l’organizzazione calabrese e Cosa nostra nel periodo della trattativa Stato-mafia, accusato di aver coordinato l’omicidio di due carabinieri, Antonino Fava e Vincenzo Garofalo, nel gennaio 1994 a Scilla (Rc). Ultrasettantenne, malato da tempo, i giudici della Corte d’appello di Reggio Calabria, davanti ai quali è imputato, ne hanno disposto i domiciliari temporanei a Rivoli (To).

Questa notizia ha scatenato l’ira e lo sdegno della deputata di Fratelli D’Italia Wanda Ferro, segretaria della Commissione parlamentare antimafia che ha dichiarato: “Come temevamo, con l’articolo 123 del decreto 18 il governo ha dato il ‘tana liberi tutti’ a boss mafiosi e criminali d’ogni grado.

Più scalpore ha generato la scarcerazione di Francesco Bonura, 78 anni, boss di Cosa nostra vicino a Bernardo Provenzano, condannato in via definitiva per associazione mafiosa a 23 anni e detenuto al 41bis. 

Sempre L’Espresso riportava che il giudice del Tribunale di sorveglianza di Milano aveva concesso gli arresti domiciliari per motivi di salute sottolineando che “siffatta situazione facoltizza” il magistrato “a provvedere con urgenza al differimento dell’esecuzione pena”. “Stanno uscendo pericolosi mafiosi. Non è mancata neanche la dichiarazione del leader della lega Matteo Salvini:” È una vergogna nazionale.

Sul punto, il Tribunale di sorveglianza di Milano ha precisato che la scarcerazione è stata fatta “secondo la normativa ordinaria applicabile a tutti i detenuti, anche condannati per reati gravissimi, a tutela dei diritti costituzionali alla salute e all’umanità della pena” e in questo caso specifico “si tratta di un detenuto di anni 78, affetto da gravissime patologie cardiorespiratorie e oncologiche, condannato alla pena temporanea di anni 18 mesi 8 di reclusione, che avrà termine naturale tra meno di undici mesi, potenzialmente riducibili a otto per la concessione delle liberazione anticipata”. Altri detenuti per associazione mafiosa al 41bis sono usciti di cella per andare ai domiciliari: tra di loro il palermitano Pino Sansone e il messinese Angelo Porcino. Entrambi erano detenuti nel carcere di Voghera (Pavia) dove si è ammalato il secondo detenuto morto (in carcere) per Covid-19

Ma Il caso più controverso riguarda un boss campano. Due giorni dopo il caso di Bonura, il Tribunale di Sorveglianza di Sassari ha disposto gli arresti domiciliari per Pasquale Zagaria, fratello del superboss dei “Casalesi” Michele Zagaria e considerato il “braccio economico” dell’organizzazione, condannato a venti anni di carcere e recluso al 41bis. Sulla decisione dei giudici ha influito l’assenza, in Sardegna, di strutture sanitarie in grado di garantire al detenuto la prosecuzione dei trattamenti necessari alla cura di una patologia tumorale. I magistrati di sorveglianza avevano chiesto al Dap il suo eventuale trasferimento in un altro istituto penitenziario attrezzato, ma non essendo giunta in tempo una soluzione utile, il tribunale di Sassari ha disposto il trasferimento di Pasquale Zagaria ai domiciliari, in provincia di Brescia. Su questa scarcerazione, che ha molto preoccupato magistrati e familiari delle vittime, il ministro Bonafede ha incaricato gli ispettori del ministero di svolgere accertamenti.

In realtà molti altri, potremmo dire la maggioranza rimane in carcere: infatti i giudici di sorveglianza hanno respinto le domande fatte dagli avvocati di altri boss, tra i quali figurano altri nomi eccellenti come Benedetto ‘Nitto’ Santapaola, capo di Cposa Nostra a  Catania. Ha 81 anni ed è rinchiuso nel carcere di Opera (Milano). Il giudice del Tribunale di sorveglianza di Milano, che decide per i detenuti delle carceri del circondario, ha spiegato che Santapaola “è ristretto in regime di 41bis” e “quindi in celle singole e con tutte le limitazioni del predetto regime che lo proteggono dal rischio di contagio”. Restano invece incertezze sull’istanza di applicazione dei domiciliari per Raffaele Cutolo, capo della Nuova camorra organizzata: la decisione di respingimento della richiesta da parte del Tribunale di sorveglianza di Reggio Emilia, annunciata martedì pomeriggio da Matteo Salvini su Facebook, non è ancora stata depositata.

Si può affermare quindi che ad oggi nessun boss detenuto al carcere duro, il regime speciale previsto dall’articolo 41bis dell’ordinamento penitenziario, è stato scarcerato in base alle norme del governo sull’emergenza coronavirus.

Eppure, la questione di un’improbabile scarcerazione di massa dei boss mafiosi ha tenuto banco per giorni, alimentata da qualche caso controverso, come quello relativo alla scarcerazione di Pasquale Zagaria e alle reali difficoltà di gestione dell’emergenza sanitaria in un ambiente carcerario storicamente sovraffollato.

Il risultato di questa situazione caotica, sulla quale non si hanno dati certi, sono state le dimissioni del responsabile del Dipartimento di amministrazione penitenziaria Francesco Basentini e la nomina al vertice della struttura di due magistrati antimafia: Dino Petralia, che ne diviene il nuovo direttore, e Roberto Tartaglia nominato vicedirettore nei giorni scorsi. Una decisione muscolare, del ministro della giustizia Alfonso Bonafede, che si è appellato all’antimafia per tentare di cancellare anche simbolicamente le polemiche degli ultimi giorni.

Qualche numero, a fronte dei più di 700 reclusi al carcere duro, e tutti legati a malattie gravi. Ben più grave sembra il dato della scarcerazione dei ranghi inferiori, se si scarcera un boss di 70-80 anni che ritorna nel suo territorio, trova che da anni esiste già chi lo gestisce. Il punto potrebbe essere in quei detenuti ai cui rimangono 12-18 mesi e che adesso si trovano agli arresti domiciliari, nel proprio territorio e ben consapevoli delle direttive su come comportarsi in questa fase…

Sullo sfondo, lo stato di salute complessivo del nostro universo carcerario e i dati in aumento di agenti e detenuti che risultano positivi al Covid. 

Proviamo però a definire una chiave di lettura.

Dopo le violente proteste dei detenuti, il 17 marzo scorso il governo, con il decreto “Cura Italia”, ha stabilito che per ridurre il rischio di contagi nelle carceri italiane (dove il sovraffollamento è alto e le strutture sanitarie non sempre adeguate), i condannati per reati di minore gravità e con meno di 18 mesi da scontare potessero chiedere gli arresti domiciliari. Questa possibilità è stata negata ai detenuti per reati gravi, quelli previsti dall’articolo 4 bis della legge sull’ordinamento penitenziario (la 354 del 1975): la norma vieta i benefici di pena anche ai condannati per associazione mafiosa e per qualsiasi reato aggravato dal “metodo mafioso”. Cogliendo l’occasione dei problemi di tutela della salute in carcere durante Covid, alcuni avvocati dei boss al 41bis hanno provato a chiedere misure penitenziarie più lievi anche per i loro clienti.

In questo delicato frangente sono avvenute alcune scarcerazioni e collocazione ai domiciliari, come quelle del boss siciliano Francesco Bonura e di Pasquale Zagaria, fratello del boss dei “casalesi” Michele Zagaria. Nell’ultimo caso, in particolare, è stato un ritardo nelle comunicazioni da parte del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (Dap) a favorire la ricollocazione di Zagaria ai domiciliari. Per questa ragione la Commissione parlamentare antimafia ha avviato una ricognizione sui dati delle scarcerazioni, convocando il suo direttore, Francesco Basentini, che si è dimesso il primo maggio, e Giulio Romano, a capo della direzione “Detenuti e trattamento”. Gli uffici sono stati incaricati di reiterare la richiesta, ma con toni importanti”.

Il guardasigilli Alfonso Bonafede, fedele alla linea dura adottata nei confronti delle prime proteste in carcere, ha tentato di placare le polemiche sul 41bis agendo anche sul piano simbolico e nominando i magistrati antimafia Dino Petralia e Roberto Tartaglia rispettivamente come direttore e vicedirettore del Dap. In più ha emanato nuove norme per sottoporre l’azione dei giudici di sorveglianza, che decidono sulle istanze di scarcerazione, al parere non vincolante degli organi antimafia: Procura nazionale antimafia e direzioni distrettuali. È sempre più importante essere informati, ed imparare ad usare più la testa che la pancia… ma non a tavola!

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