La “mala scola”: in Italia troppi i casi di bullismo nei confronti di compagni e insegnanti

Alunno minaccia il prof per una sufficienza: i compagni ridono e fanno un video
sdr

“Lei non ha capito nulla…chi è che comanda? Si inginocchi…”, dito puntato e tono intimidatorio, così un giovane studente di un Istituto superiore di Lucca si rivolge al suo docente il quale con ogni probabilità gli aveva appena comunicato un voto negativo.

Una scena che lascia amareggiati, sbalorditi, rattristati per l’ennesimo episodio di violenza consumato ai danni di un professore da parte di un suo alunno.

Il prof non reagisce, si alza in piedi ma rimane fermo, quasi rassegnato mentre nessuno degli alunni presenti interviene (almeno durante quei trenta secondi di video), ma anzi preferiscono riprendere il tutto con il cellulare per poi condividere immediatamente la registrazione e farla diventare virale, come sottofondo all’aggressione verbale solo sghignazzamenti e risatine.

Cosa succede alla nostra scuola? Cosa succede a questi ragazzi?

Tante le domande da porsi ma più urgente forse appare la necessità di agire, perché non si può più stare a guardare in silenzio, scrollando le spalle o peggio ancora bollando queste vicende come delle semplici “ragazzate”. Solo negli ultimi mesi tanti gli episodi di bullismo nei confronti degli insegnanti, consumati all’interno delle scuole italiane e riportati dai giornali. Ne fa un breve elenco Claudio Rossi Marcelli sulla sua rubrica “Dear Daddy” del numero 1250 di Internazionale, rispondendo a un genitore che chiedeva se secondo lui in Italia ci fosse un problema di aggressività nei confronti degli insegnanti. La cosa più grave probabilmente è che in molti di questi casi (Marcelli ne riporta circa una quindicina) protagonisti delle violenze non sono solo gli alunni, bensì i genitori degli stessi.

Forse è arrivato il momento di aprire gli occhi e ammettere che c’è qualcosa che non va fra il processo di socializzazione primaria (che avviene all’interno del nucleo familiare) e quello di socializzazione secondaria (che avviene invece all’interno dei gruppi più allargati e delle istituzioni come appunto la scuola), che anziché muoversi come le due ruote di un carro spesso invece si scontrano lasciando solo confusione e disagio nei ragazzi.

Perché di disagio si parla quando dei ragazzi reagiscono in questo modo e non riconoscono il rispetto e l’autorità dovuti a una figura come quella del docente, che ha pur un ruolo determinante nelle loro vite. Sono lontani i tempi delle scuole dell’antica Grecia, alle quali spesso ci siamo ispirati in passato, quando non era un voto, un semplice numero, a fare la differenza, ma l’impegno dell’alunno, il suo rapporto di fiducia con l’insegnante e soprattutto la capacità del docente di incoraggiarlo e tirare fuori tutto il suo valore per poterlo consegnare adulto e responsabile nelle braccia della società.

È colpa delle nuove tecnologie? Forse il termine “colpa” è riduttivo e improprio, ma quel che è certo è che un ruolo ce l’hanno eccome. Non è una novità lo stretto rapporto che gli adolescenti e i giovani hanno con i social media e con tutto ciò che ha a che fare con la fruizione dei contenuti digitali, con la condivisione istantanea, ma soprattutto con la reputazione che si costruiscono online. In un bellissimo saggio della ricercatrice Danah Boyd dal titolo It’s complicated. La vita sociale degli adolescenti sul web, l’autrice, con un’analisi attenta e puntuale, sconsiglia gli atteggiamenti punitivi, come ad esempio privare completamente i ragazzi di smartphone, pc e annessi, ma bensì prendere in considerazione che per questi giovani, e ancor di più per i nativi digitali, gli spazi di socializzazione si sono spostati dalla piazza sotto casa al mondo del web. Il modo migliore per approcciare l’utilizzo di questi strumenti da parte dei ragazzi consiste in primis nell’accettarlo e poi nel disciplinarlo, facendo sì che se ne comprenda la reale portata e soprattutto incoraggiando i giovani a trovare altri spazi di socializzazione e costruzione di valori condivisi.

Ma oltre a questo la tecnologia gioca anche un altro ruolo, con l’avvento dei registri elettronici infatti l’incursione dei genitori nelle vite scolastiche dei figli è sempre più pregnante, anche in questo caso sono lontani i tempi in cui si “bigiava” la scuola con buona pace di tutti, adesso ai ragazzi questo lusso non è concesso e forse a questo punto non è concessa loro neanche la possibilità di costruirsi un certo qual senso di responsabilità e comprendere le conseguenze delle loro azioni. Un brutto voto dovrebbe essere l’occasione per un confronto aperto con il proprio insegnante, un punto di partenza per costruire e approfondire, ma forse la pressione, sapere che una volta a casa i tuoi genitori siano già a conoscenza del “fattaccio”, sposta completamente la scala dei valori e quindi l’attenzione. L’inclusione sempre più massiccia da parte dei genitori nei confronti della vita scolastica dei propri figli e quindi delle decisioni degli insegnanti mina alla basa la figura stessa del docente, la sua autorevolezza e il campo d’azione di quella istituzione chiamata “scuola”.

Che fare? Rimpiangere i tempi andati quando un genitore non si sognava neanche di mettere in discussione le decisioni degli insegnanti?

«Il problema della fiducia fra il genitore e la scuola e specialmente fra il genitore e il docente dovrebbe essere il punto di partenza per riflettere» afferma Paola Albano, docente di economia aziendale in un Istituto superiore di Pontedera, «fino a poco tempo fa il docente era un’istituzione al quale si portava rispetto indipendentemente da come lavorava e da quelli che erano i risultati delle sua azioni nei confronti degli alunni. Adesso invece a causa di diversi fattori questo rapporto di fiducia è venuto meno da parte delle famiglie e le famiglie hanno trasmesso questa loro condizione ai figli, che naturalmente non ci mettono nulla in classe ad esprimerla come un qualsiasi adolescente farebbe, ovvero con la rabbia e la violenza. Mancando quindi il lato protettivo della famiglia nei confronti della scuola tutti si sentono autorizzati a dare addosso al professore. Personalmente quest’ultimo episodio ad esempio mi spaventa meno rispetto a quello sempre recente di cui è stata vittima una docente disabile, che è stata legata e vessata dai ragazzi. In questo caso infatti parliamo di due forme di mancanza di rispetto: quello nei confronti del docente che ha completamente perso la sua figura e quello nei confronti di una persona disabile. Penso sia preoccupante il fatto che spesso i genitori descrivano questi episodi come delle semplici “ragazzate” e si scandalizzino addirittura quando si utilizza invece il termine “bullismo”. La cosa però personalmente più agghiacciante credo sia che di fronte al gesto di un ragazzo ce ne sono tanti altri che stanno fermi lì immobili e riprendono. Forse in parte sbagliamo anche noi docenti, soprattutto quelli giovani, che spesso utilizziamo un approccio molto amicale nei confronti degli alunni, dimenticando invece che gli esercizi di distanza fra “noi” e “loro” non sono una questione di stile ma funzionali a evidenziare i ruoli diversi che alunno e insegnante giocano all’interno della scuola».

Il corpo docente della classe in cui è avvenuto l’episodio descritto ha indetto per domani un consiglio straordinario per prendere i provvedimenti disciplinari necessari, mentre tre ragazzi, tutti minorenni, sono stati iscritti nel registro degli indagati.

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