L’Arcangelo Michele creato da Dio per servire l’uomo e risollevarne le sorti

Un tentativo di elaborazione del profilo profetico scritturale dell'Angelo di Dio' destinato da Lui al combattimento spirituale nei cieli e sulla terra e che calpesterà definitivamente il "serpente antico" per consentire al vero bene di vincere sul male, e diffondere l'amore costruttivo e la giustizia misericordiosa.

Immagine: La statua di San Michele nei giardini vaticani

Mi è stato chiesto, di recente, quello che “sarebbe” o in teoria “dovrebbe essere” secondo le Sacre Scritture, il profilo profetico e caratteriale, quasi comportamentale, del “mio” Santo patrono. Ebbene, posso assicurare senza il minimo scrupolo né senza la minima falsa modestia, a nome di entrambi, vale a dire l’Angelo Patrono e il sottoscritto, che rifiutiamo inderogabilmente qualsiasi reciproca “esclusiva”. Infatti, il nome di Mikhael nasce nel Tanakh ebraico, torna nel libro della Apocalisse del Nuovo Testamento, è un angelo che appartiene, cm il nome di Mikhail, anche alla tradizione islamica, e molto probabilmente con altri nomi ma con le stesse caratteristiche e gli stessi attributi, ricopre ruoli paralleli anche in altre religioni sebbene molto lontane e diverse da quelle del Vicino Oriente.

 Michele è un Essere creato da Dio Padre per tutti e, sempre alla Presenza e nel nome di Dio Padre, tutti Lui aiuta, serve e rispetta, partecipando sempre, e a tutti i livelli della vita nell’universo,, sia naturale che soprannaturale, alla grande missione che scaturisce dal comando di Dio di servire l’uomo e di risollevarne le sorti ed il destino bypassando i lenti tempi degli interminabili corsi e ricorsi storici, per catalizzare la sua storia su questo pianeta e condurla, con le sue Legioni di Luce, al tanto desiderato ed agognato punto di non ritorno che segnerà la linea di demarcazione fra la possibilità “terrestre” della sofferenza, del dolore e della morte e la felicità “celeste” del Paradiso in Terra e della vita senza fine.

Affiorano alla memoria a questo proposito molti passaggi della Bibbia, fra primo e secondo Testamento. Cominciando da Daniele 12, dove per la prima volta le Scritture presentano la figura di Mikhael come quella, oltre che di un potente essere celeste, anche di un futuro protagonista dello scenario salvifico di Dio nei confronti dell’uomo sul suo stesso palcoscenico storico ed esistenziale. E poi, le profezie di N.S. Gesù Cristo sugli ultimi tempi, e, infine, tutto il libro dell’Apocalisse, “libro di speranza”, come per esempio in quei passaggi in cui si richiama al cosiddetto “primo combattimento Escatologico” e all’instaurazione del Regno dei mille anni in terra… tutti paragrafi e riferimenti storici e profetici ai quali evidentemente Michele parteciperà nel nome di Dio ma allo stesso tempo come “alleato dell’uomo” per permettere al suo piede di calpestare definitivamente il “serpente antico” e al bene di vincere finalmente sul male.

Personalmente non sono solito leggere le sacre scritture “letteralmente”, e questo mi facilita molto la loro comprensione, sento di avere modo, così facendo, di potere accedere alla verità voluta, e prevenire possibili eventuali trappole esegetiche decisamente moralistiche e “manichee”. Grazie a questo approccio che affonda molte sue radici per esempio nella lontana scuola esegetica alessandrina ispirandosi al suo stile interpretativo “allegorico” di molti passaggi delle Sacre Scritture, per me il cosiddetto “giudizio di Dio” è destinato sia de iure che de facto ad essere molto diverso da quello che i credenti nei secoli, e purtroppo anche gli uomini in generale di conseguenza, hanno immaginato e creduto di interpretare.

I concetti espressi nel Vangelo della mietitura e della “divisione” dei buoni e dei cattivi mi appaiono essere, alla luce della mia rilettura, espressioni eminentemente allegoriche di un evento messianico di ben altro significato, valore e portata. Mikhael è il braccio destro del Padre, e leader delle Sue Legioni Celesti. Ma noi, come una delle tre grandi religioni monoteiste, sappiamo che Dio è unico, e che il Padre, al di là del suo plusvalore gerarchico rispetto al Cristo, non differisce “sostanzialmente” da lui. Quanta pena doversi tanto spesso confrontare con questa del tutto infondata ed immaginaria diversificazione di natura e di sostanza del Padre rispetto al Figlio… Iddio infatti sempre e soltanto perdona, salva e aiuta l’uomo, mai lo condanna come potrebbe fare al suo posto un uomo e come, di fatto, spesso facciamo proprio noi uomini gli uni nei confronti degli altri.

Infatti, la correzione paterna o anche giustizia di Dio, che certamente esiste e di cui tutti noi possiamo anche farne esperienza quotidiana, a tanti livelli e in tanti modi diversi tra loro per entità e forma, si basa sempre sulle scelte e sulle azioni dell’uomo, delle quali egli ne è l’unico vero “responsabile”, mai però per condannarlo ma sempre e soltanto per correggerlo, per tirarlo fuori dalla propria intorpidita ignoranza e per sollevarlo ad un grado conoscitivo ed evolutivo umano e spirituale ancora più illuminato ed elevato. La correzione divina, in altre parole, scaturisce sempre dalle viscere e dal grembo della sua “infinita misericordia”, e noi dovremmo saperla sperimentare, vivere e superare con questa fede in un Dio Santo che può desiderare sempre e soltanto il bene per le creature, le quali, create a sua immagine e somiglianza, gli appartengono tutte come membra del Suo stesso Corpo Spirituale.

Ritorna alla memoria un’immagine flash dall’Apocalisse del Signore degli “Eserciti” di Dio, il cavaliere sul cavallo bianco dalla cui bocca fuoriesce una spada a doppio taglio… Vedi, il cavaliere non “impugna” una spada, ma gli fuoriesce dalla bocca. Cosa sarà allora il vero giudizio di Dio se non un fenomeno messianico universale di redenzione, di rivelazione, e di salvezza che verrà combattuto da parte del Signore su un piano esclusivamente di natura spirituale, perché Cristo è Dio e il colore bianco del suo cavallo sta a simboleggiare la purezza del suo amore per l’umanità, la totale dedizione del suo spirito di servizio nei confronti dell’uomo.

Questo – non me ne vogliano i realizzatori del film – sarà il vero Armagheddon Biblico, questo il combattimento escatologico, questo il volto e l’impegno personale ed eterno del Cristo di Dio. Con una unica come sempre drammatica incognita, naturalmente: vorrà l’uomo, creatura amata, e dotata da Dio di libero arbitrio, predisporre il proprio animo alla rivelazione e al suo Giudizio sul bene e sul male? Impossibile prevedere a priori la risposta dell’uomo a questo grandissimo e storicamente tanto decisivo evento. Però, personalmente parlando, mi piacerebbe e lo preferirei molto ma molto di più, secondo il più profondo sentire del mio cuore, immaginare un tale progetto divino culminare con un solo happy end possibile, quello della ricapitolazione, come diceva San Paolo, di tutte le cose in Dio, e della apocatastasi in cui molti illustri esegeti, commentatori e teologi nel corso dei secoli hanno creduto e credono ancora oggi.

A proposito del film Armagheddon (con Bruce Willis) o di tanti altri film cosiddetti catastrofici – e a quella che a me, non semplicisticamente ma a ragion veduta pare essere una spesso sfuocata interpretazione dell’Apocalisse di San Giovanni – è davvero il caso di dire che noi umani abbiamo un po’ la tendenza, a volte, invece che di credere nonostante le sembianze e le apparenze della vita reale in questo mondo nella bontà e nella santità di Dio, e di riconoscerci creati a sua immagine e somiglianza, di provvedere a crearlo “noi” Iddio, secondo il nostro quasi sempre ancora confuso e tormentato mondo emotivo interiore, a “nostra immagine e somiglianza”, come se Dio giudicasse, proprio come giudichiamo noi (“I miei pensieri non sono i vostri pensieri, le mie vie non le vostre vie”), che si offendesse e castigasse proprio come spesso capita e succede di fare anche a noi, come se, in ultimo, la stessa sofferenza e la morte, fossero decise da Lui alla maniera e secondo la mentalità di un uomo in grado e capace di offendersi e di condannare, e non inquadrare al contrario tutta questa realtà d’insieme sulla base dei due fulcri teologici ed empirici fondamentali  della eterna ed immutabile santità di Dio, da una parte, e della responsabilità morale dell’uomo dall’altra.

L’uomo è l’unico possibile e vero responsabile delle sue scelte e delle sue azioni, come secondo la legge evangelica della semina e della raccolta, o del karma hindu, o dell’azione e reazione, le cui libere azioni sono sempre destinate a ritornargli indietro, a mo’ di boomerang, come premio o come correzione, ma sempre secondo il principio cosmico originario del vero bene, dell’amore costruttivo e della giustizia misericordiosa di Dio. Soltanto Dio e il suo Cristo sono innocenti al cento per cento, dalla cima del capo alla punta dei piedi. È’ l’amore divino a renderli tali. E quando in talune circostanze leggendo le sacre scritture ci sembra che il comportamento di Gesù sia un po’ troppo strano e scandaloso, e che sembri pretendere un po’ troppo dalla nostra capacità o disponibilità di accettazione e di comprensione – impressione questa che possiamo avere tutti a volte leggendo per esempio dei suoi pranzi con i pubblicani e i peccatori, di quando veniva equivocato e scambiato addirittura con “Belzebu”, e delle tante incomprensioni da lui incontrate un po’ sempre e ovunque nel Vangelo – possiamo però trovare preziose ed indispensabili chiavi di lettura nel Libro di Isaia al paragrafo del quarto canto del servo del signore. Andiamo a rileggercelo insieme, e scopriremo così facendo come già nelle più antiche profezie si parlava di qualcuno che, soffrendo per l’umanità, avrebbe interceduto per lei e per le sue responsabilità, questa volta però come innocente e privo di alcuna colpa, macchia o responsabilità, morale o spirituale che sia.

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