I fronti aperti e il silenzio dell’Occidente

Da Gaza all’Ucraina, tanti morti civili e poca speranza

“La Striscia è un inferno in terra”. “La polverizzazione di Gaza è tra i peggiori attacchi contro una popolazione civile del nostro tempo”.

Dove andremo a finire? La situazione umanitaria a Gaza peggiora di ora in ora, mentre i carri armati israeliani sono entrati a Khan Younis, la principale città nel sud della Striscia. Il coordinatore degli aiuti di emergenza delle Nazioni Unite, Martin Griffiths, ha parlato di condizioni “apocalittiche”. L’Onu afferma che ormai l’80% della popolazione è sfollata e che oltre 600mila palestinesi hanno ricevuto l’ordine di evacuazione. Ma per loro non c’è nessun posto dove andare perché i rifugi sono pieni e al momento “nessun luogo è sicuro”. Intanto il bilancio delle vittime avrebbe superato quota 16mila, in confronto – riporta il Financial Times – nei primi nove mesi dell’invasione americana dell’Iraq nel 2003 furono registrati 12mila civili uccisi. Un fallimento totale della nostra comune umanità.

Partiamo da qui per raccontare l’”inferno” di una delle tante guerre che si stanno combattendo oggi, dando seguito a quel filo rosso che non smettiamo mai di narrare sulle nostre pagine e che ci porta ad altri conflitti ancora in corso.

Cosa sta accadendo in Ucraina? La controffensiva non è andata come sperato e il sostegno all’Ucraina scricchiola, ma ad avvantaggiare Putin è un’Europa che non si impegna abbastanza. Dopo mesi di effettivo stallo e una controffensiva che ha deluso le aspettative, alla fatica per la guerra sta subentrando la sfiducia. “Dobbiamo essere pronti anche alle cattive notizie”, ha detto il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg in un’intervista all’emittente tedesca ARD. A pochi giorni dalla firma di un decreto con cui il presidente russo Vladimir Putin ha aumentato il numero degli effettivi di circa 170mila unità, portandolo a un totale di 1,3 milioni. Negli ultimi mesi le linee del fronte si sono mosse poco e ora il gelo dell’inverno è calato sul paese, rendendo più difficile ogni avanzamento così come spostarsi e assicurare i rifornimenti. Il gelido inverno, ma non solo. Le crepe iniziano a farsi sentire anche all’interno del paese: il sindaco di Kiev, Vitali Klitschko, ha puntato il dito contro il presidente ucraino Volodymyr Zelensky per il fallimento della controffensiva, in un attacco senza precedenti contro il suo operato e il “crescente autoritarismo”. Secondo il primo cittadino della capitale, divenuto un volto noto della classe politica ucraina anche a livello internazionale, il presidente ha commesso degli “errori” e dovrebbe guardare con onestà alla reale situazione dell’Ucraina dopo l’invasione russa. Lo stesso Zelensky ha ammesso che la controffensiva “non ha raggiunto i suoi obiettivi” attribuendo parte della colpa alla lentezza degli aiuti militari dall’Occidente.

E’ chiaro come il conflitto scoppiato fra Israele e Hamas in Medio Oriente ha non solo distolto l’attenzione internazionale dalla guerra in corso in Europa orientale, ma ne ha perfino relativizzato l’eccezionalità. È in questo scenario di un Medio Oriente sull’orlo del baratro, con il rischio che il conflitto tra Israele e Hamas si estenda ad altri attori regionali, che oggi ha fatto la sua comparsa sulla scena Vladimir Putin. In un raro viaggio all’estero, dopo il mandato di arresto internazionale spiccato nei suoi confronti, il leader russo è arrivato ad Abu Dhabi per incontrare il presidente degli Emirati Arabi Uniti, lo sceicco Mohammed bin Zayed Al Nahyan. Putin ha proseguito il viaggio verso l’Arabia Saudita, a Riad per incontrare il principe ereditario e leader di fatto del paese, Mohammed bin Salman. Con entrambi, Putin ha parlato di accordi commerciali, produzione petrolifera e, naturalmente, della situazione in Ucraina e a Gaza, che il presidente russo imputa ai “fallimenti della politica statunitense nella regione. Putin ha voluto dimostrare di essere ancora un attore di primo piano in Medio Oriente, rafforzando l’immagine di Mosca come quella di un ‘polo alternativo’ agli Stati Uniti, capace di parlare con tutti. Stride, in questo contesto, il silenzio delle capitali occidentali incapaci di imporsi in due crisi che sembrano sfuggire alla loro portata: mentre l’Europa è preda delle divisioni interne e una totale mancanza di strategia, gli Stati Uniti osservano inermi l’alleato israeliano contravvenire alle sue pressioni. Ogni giorno che passa vediamo sempre più bambini morti e nuove profondità di sofferenza per le persone innocenti che sopportano questo inferno – ha denunciato Jan Egeland, capo del Consiglio norvegese per i rifugiati, secondo cui i paesi che sostengono Israele con le armi devono capire che queste morti civili costituiranno una macchia permanente sulla loro reputazione”. Quello che sta accadendo ha aggiunto Egeland “è un fallimento totale della nostra comune umanità”.

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