Maduro apre al dialogo ma Guaidó non ci sta e convoca la mobilitazione di piazza

Cinquemila soldati in Colombia, fotografato l’appunto di Bolton

A una settimana dall’auto proclamazione di Juan Guaidó a presidente ad interim del Venezuela, le tensioni all’interno del paese non accennano a placarsi e come sempre a pagarne lo scotto più grave è la popolazione civile.

Trovo utile a questo punto chiarire che il Venezuela è una repubblica presidenziale federale che concentra quindi i poteri nelle mani di un presidente che è sia capo dello Stato che del governo. Il presidente viene eletto con elezioni dirette e rimane in carica sei anni, a seguito poi della modifica della Costituzione Bolivariana del Venezuela avvenuta nel 2009, non c’è limite al numero di volte che un presidente può rinnovare la sua carica.

Le ultime elezioni si sono tenute il 20 maggio 2018 e hanno confermato in carica Nicolás Maduro, delfino di Hugo Chávez e già presidente dall’aprile 2013. Osservatori internazionali, organizzazioni non governative, stati esteri e opposizioni, hanno definito queste elezioni una farsa asserendo che il risultato fosse stato già deciso a tavolino. Si è trattato comunque di elezioni anticipate frutto di una grave crisi economica e politica che dilania il paese da anni e che ha costretto centinaia di migliaia di venezuelani a emigrare e ridotto milioni di altri alla povertà e alla fame.

Tornando all’ordinamento politico in vigore nel paese, un’altra informazione utile è che il Parlamento è costituito da un’unica camera ed è denominato Assemblea Nazionale il cui presidente resta in carica cinque anni. Ed è qui che entra in scena Juan Guaidó che, eletto presidente dell’Assemblea Nazionale il 5 gennaio, ha prestato giuramento pubblico come presidente ad interim del Venezuela neanche venti giorni dopo, durante una manifestazione antigovernativa convocata dall’opposizione.

La carta costituzionale già citata in effetti prevede che il presidente dell’Assemblea Nazionale può fungere da presidente ad interim qualora la carica di Presidente della Repubblica diventi vacante. Guaidó a suo dire quindi si è sentito legittimato da quella che lui considera una vera e propria crisi presidenziale che sta lacerando in due il paese e che ben delinea l’incapacità di Maduro di portare avanti il suo mandato.

Ma se questa è la legittimazione interna, non mancano certo le legittimazioni “esterne”. Prima e più evidente fra tutte quella degli Stati Uniti che hanno prontamente dichiarato il proprio appoggio e riconoscimento all’auto proclamato presidente. Ad affiancare l’alleato atlantico anche i governi di Francia, Regno Unito, Spagna, Canada, Brasile, Colombia, Paraguay, Argentina, Perù, Ecuador, Cile, Guatemala e Costa Rica.

Per quanto riguarda invece il governo nostrano la questione ha creato decisamente più di qualche imbarazzo considerando che da un lato c’è il ministro Salvini e il suo seguito, decisamente schierati a favore di Guaidó, e dall’altro il Movimento Cinque Stelle la cui posizione forse è ben sintetizzata dalle mai troppo velate simpatie chaviste di Alessandro Di Battista.

Fra i paesi invece che riconoscono ancora ufficialmente Maduro come il legittimo presidente del Venezuela abbiamo Russia, Cina, Messico, Cuba, Bolivia, Uruguay, Turchia, Nicaragua ed El Salvador. Messico e Uruguay inoltre si sono anche proposti come facilitatori di un eventuale processo di mediazione fra i due aspiranti presidenti, proposta avanzata anche dalla Santa Sede e da Papa Francesco. Guaidó però ha rifiutato qualsiasi negoziazione.

Maduro ha associato le azioni di Guaidó a un vero e proprio colpo di stato architettato dagli Stati Uniti e non ha perso un minuto nell’interrompere le relazioni con Washington intimando a diplomatici americani di lasciare il paese entro 72 ore. In effetti è impossibile non notare più di qualche ingerenza esterna negli affari venezuelani, soprattutto considerando il lungo corso storico che hanno i tentativi americani di rovesciare i governi di sinistra nei paesi del Sud America.

Ma la conferma schiacciante, se ancora ce ne fosse bisogno, eccola servita proprio ieri dagli stessi Stati Uniti che hanno congelato i fondi della compagnia petrolifera statale venezuelana, Pdvsa, per un equivalente di circa 6 miliardi di dollari. E non è tutto: i fondi di Caracas in Usa sono stati messi a disposizione di Juan Guaidó. A completare il quadro ecco che durante una conferenza stampa del consigliere per la sicurezza nazionale americano, John Bolton, spunta fuori un biglietto (non si sa quanto “involontariamente”) dove campeggia la scritta: “5 mila soldati in Colombia”. Questo lascia ben intuire quindi che gli Stati Uniti non escludono un intervento militare in Venezuela.

Messo alle strette soprattutto dalle sanzioni americane, Nicolas Maduro ha dichiarato durante un’intervista all’agenzia russa Ria Novosti di essere disposto a parlare con l’opposizione e all’intervento di mediazione da parte di paesi terzi. Ma Guaidó per tutta risposta ha convocato a gran voce la mobilitazione di piazza e ha invitato i cittadini a esporre cartelli che esigano “la fine del governo dell’usurpazione”.

La vicenda venezuelana dunque divide l’opinione internazionale scatenando tensioni e polemiche, mentre a Caracas e in altre città venezuelane le persone continuano a morire sotto il fuoco delle proteste e in migliaia vengono arrestate.

Verrebbe spontaneo pensare che il popolo venezuelano e solo lui abbia il diritto di eleggere il proprio presidente, ma a quanto pare il buon senso “democratico” sembra in questo caso aver lasciato spazio ad altro. Non c’è dubbio che sotto la presidenza Maduro il paese abbia vissuto e continua a vivere una delle peggiori crisi che abbia mai conosciuto, ma non c’è altrettanto dubbio (o almeno così dovrebbe essere) sul fatto che non possono essere gli Stati Uniti o paesi terzi a decidere chi debba prendere le redini della presidenza.

Come ho detto all’inizio fra i due e più litiganti il terzo non gode, il terzo è il popolo venezuelano e il popolo venezuelano sta soffrendo.

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