Raqqa è caduta. Si formerà un nuovo Stato dei curdi?

L’Unità di Protezione Popolare (Ypg) chiede una nazione per il suo popolo, quali gli scenari futuri?

A pochi giorni dalla caduta, e presa, di Raqqa città siriana roccaforte dell’Isis molti, troppi, sono gli interrogativi che scuotono l’opinione pubblica circa il destino delle aree sottratte ai miliziani dello pseudo “califfato”, nero.

Adesso, e forse a ragione, l’Ypg rivendica per il popolo curdo proprio queste aree sottratte – dopo mesi di combattimenti in prima linea – ad Abu Bakr al-Baghdadi e Co. Senza dimenticare l’oscuro episodio di Kirkuk dove gli iracheni hanno assaltato i loro ex alleati curdi occupando poi la città. Parliamo, per capirci, degli stessi iracheni che avevano perso Kirkuk tempo a favore dell’Isis, sconfitto poi dai curdi nel 2014.

Cosa succede quindi? Cosa lega la caduta di Raqqa alla “scivolata” di Kirkuk?

Stiamo parlando della capitale – non riconosciuta – del califfato di al-Baghdadi che da tre anni ha sconvolto l’area mediorientale e le capitali europee con i suoi adepti nascosti qua e là tra le pieghe delle metropoli nostrane. Quindi la caduta di Raqqa è un evento molto importante, certo. Qui il califfo aveva costruito il proprio apparato amministrativo e organizzava i suoi foreign fighter attraverso l’abile regia mediatica. Il problema tutto “europeo” sta proprio qui, poiché pare che nel corso della battaglia per la presa di Raqqa tra i curdi e i miliziani Isis sono intervenuti i capi delle tribù locali che pare abbiano persuaso quelli del califfato a lasciar andare 3mila civili. In cambio pare che i curdi si sono impegnati a non intervenire su alcune centinaia di foreign fighter a cui è stato permesso di scappare.

Dove andranno adesso questi fanatici? Perché il tutto suona come l’ennesima beffa. Beffa nei confronti di quell’Occidente che – dietro le quinte – tiene gli uni e gli altri legati a un doppio filo di bugie. Pare che alcuni foreign fighter siano rimasti a combattere tra la polvere della città di Raqqa, ma questo non cambia la follia di una decisione presa senza consultare alcun comando europeo.

Breve storia recente di Raqqa

Ad ogni modo a Raqqa sono stati conquistati lo stadio di calcio e l’ospedale, due dei punti chiave, lì dove i miliziani spesso decapitavano i loro prigionieri, lì dove l’orrore puro ha esercitato la sua più cruda attitudine. Raqqa, conquistata nel 2013 dalle formazioni ribelli siriane – insieme di sigle che combattevano il regime di Assad – è una città molto importante, circa un milione di abitanti, circondata dal petrolio e situata nella valle dell’Eufrate. Aleppo si trova a soli 160 chilometri di distanza, idem la Turchia molto vicina, mentre il confine iracheno dista 200km. Grazie alla diga di Tabqa, Raqqa è un centro fondamentale per l’agricoltura di tutta la regione. I ribelli, comunque, sono stati cacciati nel 2014 dal califfo che ne fece la capitale non riconosciuta del suo pseudo Stato. L’offensiva curda, che ha portato alla vittoria del 17 ottobre, è iniziate (pensate) nel giugno 2015, 28 mesi di sofferenza. Nel corso di questi lunghi mesi Raqqa è stata ripetutamente bombardata da siriani, russi e dalla coalizione guidata dagli USA, la diga di Tabqa cade il 10 maggio scorso e dal 6 giugno di quest’anno i curdi iniziano a entrare, metro dopo metro, in città fino alla vittoria recente.

Cosa cambierà nei rapporti politici di forza nell’area?

I curdi – popolo tra i più numerosi tra quelli a non avere una patria (circa 35milioni) – sono invisi anzitutto al premier turco Recep Tayyip Erdogan, che scongiura una loro unificazione su un territorio attiguo a quello della Turchia, ma vi sono curdi anche in territorio siriano, in Iraq e in Iran. Nell’episodio di Kirkuk si pensa ci sia la mano di Teheran, da quelle parti nessuno vuole uno Stato curdo. E Trump? Il presidente americano ha dichiarato che non patteggerà per nessuno, assecondando un atteggiamento di costante abbandono degli Stati Uniti verso Asia e Medio Oriente. I russi, per bocca del loro ministro degli Esteri Lavrov si sono detti d’accordo a una patria curda. Sarà il tema geopolitico dell’area nei prossimi mesi.

Stampa Articolo Stampa Articolo