
PIERFRANCO BRUNI
La discussione e l’emozione per la scomparsa di Papa Francesco andrà sempre ormai più scemando. Resterà il ricordo. Il ricordo di giorni e di folle che hanno fatto di Roma il centro della cattolicità e della curiosità. La curiosità è stata tanta affiancata certamente alla fede. Resta la meditazione più calma, ponderata, più “meditata” su un Papato che nonostante tutto si è caratterizzato per molte contraddizioni.
Un Papato che se dopo le dimissioni di Benedetto XVI sembrava piuttosto armonioso si è rivelato piuttosto pieno di polemiche e fortemente conflittuale mettendo in evidenza le diverse linee e i diversi posizionamenti teologici. Di una teologia che ha posto in essere almeno tre aspetti di natura, perché no, purtroppo è giusto dirlo, tendenzialmente “politica”. Ovvero una visione della vita, una dimensione spirituale, un immaginario morale.

Tre elementi caratterizzanti di una guida filosoficamente proiettata tra uomo e Dio. Continuo a chiedermi perché fu un Papa definito “progressista”? Cosa significa? Perché ha abbracciato la dottrina sociale o perché ha ricontrstualizza il Vaticano II? Il termine “sociale” viene spesso letto sul piano tendenzialmente di una “dottrina” progressista o meglio per molti di sinistra. Parlare di sinistra implica comunque un coinvolgimento ideologico. Quindi un Papa che ha fatto una scelta di campo ideologico? Non credo che culturalmente i fatti stiano proprio così.
Un Papa, non un papato, non lo si deve leggere e interpretare soltanto dalle azioni, dai fatti, dalle congiunture storiche? Non direi. Credo che bisogna considerarlo soprattutto dalle Encicliche perché sono il Manifesto vero di un processo identitario di un Pontefice. Questione che ho cercato di affrontare proprio in questi giorni nei miei diversi saggi.
Ebbene se dovessimo rileggere le quattro encicliche (Lumen Fidei” 2013, “Laudato si'” 2015, “Fratelli tutti” 2020 e “Dilexit nos” 2024) e le Sette Esortazioni apostoliche ci renderemmo conto che ci sono dei passaggi e delle diversità, dalla prima all’ultima delle Encicliche, fondamentali del pensare il processo spirituale e teologico di Francesco. Anche nei suo 47 viaggi apostolici in 67 Paesi si notano delle posizioni che pongono numerosi interrogativi in riferimento alla visione di un Papa progressista. È naturale che la Chiesa deve essere sociale altrimenti che religione diffonderebbe?
Da qui a ideologizzare un pensare reliogio-antro-metafisico ci sarebbe un lungo viaggio da compiere. È come se dovessimo affermare che San Francesco d’Assisi è un rivoluzionario progressista. Non è affatto così. Sarebbe il momento di comprendere le diversità di fondo di una questio che interessa in prima istanza l’anima e i popoli, lo loro antropologia, il loro essere nel mondo e il Mistero Divino.
Direi piuttosto che la Fede è conservatrice e ha bisogno della Tradizione per reggersi altrimenti sarebbe relativismo e evoluzionismo. Se abbracciasse questi due concetti non sarebbe Fede. Appunto sarebbe ideologia. Non credo che le Encicliche di Francesco vadano verso questa direzione. Una contestualizzazione francescana, pur in una formazione gesuitica, va chiaramente oltre perché il Cantico delle Creature resta un punto fermo nella religiosità popolare dal primissimo Medioevo in poi comprese la temperie illuminista e risorgimentale. Accanto a San Francesco è posto San Paolo. Soprattutto nella Enciclica “Dilexit nos” si cita Heiddiger come testimonianza di tempo nella fede e di fede nell’essere e tempo.
Qui Papa Francesco porta la Chiesa sulla via della Tradizione in modo emblematico e con Heidegger va oltre. Anche nella “Laudato si” pur non citandolo direttamente Heidegger è tra il pensare e lo scrivere. D’altronde il pensiero non solo teologico ma filosofico di Benedetto XVI è coerentemente presente come lo è Pascal tra Ragione e Fede e Romano Guardini. Filosofi della metafisica dell’anima nel senso puro del concetto dell’abitare la fede di Maria Zambrano.
Tutto questo è appunto in quella “ragionevolezza” che spesso si incontra quando la presenza di Hegel supera la fenomenologia e diventa esperienza interrogante sulla polarità. È chiaro che alla base è costante, come già sottolineato, il pensiero di Heidegger. Perché? Perché in esso ri-trova la Tradizione.
Ma Benedetto XVI nei confronti di Heidegger aveva una visione piuttosto critica e comunque con esso si supera l’idealismo. La complessità però conduce a una discussione sulla valenza del Valore Vita. È vero che cita il filosofo tedesco nel momento in cui si afferma che “per ricevere il divino dobbiamo costruire una casa degli ospiti”.
È pur vero che Heidegger è il filosofo del superamento delle ideologie: “La filosofia implica una mobilità libera del pensiero, è un atto creativo che dissolve le ideologie”. Una concezione infatti ripresa da Zambrano e che Papa Francesco ha fatto sua. Scendendo nella modernità e nel nichilismo la situazione resta tutta aperta da Platone a Nietzsche. Insomma si è dentro un legame tra teologia e filosofia dove sembra che la filosofia possa prendere il sopravvento.
Un discorso tutto aperto e che comunque non può permetterci di orientare Papa Francesco verso una visione “progressista”. La Tradizione è un antico dentro il Vangelo. Il fatto che Francesco riprende concettualmente e non dialetticamente San Paolo, come appunto nella Enciclica del 2024, è un dato che intreccia la Tradizione stessa al pensiero conservatore. Papa Francesco è stato realmente un pontefice “progressista”? Io direi di no. Anzi ha conservato la Tradizione andando oltre.
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Pierfranco Bruni è nato in Calabria.
Archeologo direttore del Ministero Beni Culturali, presidente del Centro Studi “Grisi” e già componente della Commissione UNESCO per la diffusione della cultura italiana all’estero.
Nel 2024 Ospite d’onore per l’Italia per la poesia alla Fiera Internazionale di Francoforte e Rappresentante della cultura italiana alla Fiera del libro di Tunisi.
Per il Ministero della Cultura è attualmente:
• presidente Commissione Capitale italiana città del Libro 2024;
• presidente Comitato Nazionale Celebrazioni centenario Manlio Sgalambro;
• segretario unico comunicazione del Comitato Nazionale Celebrazioni Eleonora Duse.
È inoltre presidente nazionale del progetto “Undulna Eleonora Duse”, presidente e coordinatore scientifico del progetto “Giacomo Casanova 300”.
Ha pubblicato libri di poesia, racconti e romanzi. Si è occupato di letteratura del Novecento con libri su Pavese, Pirandello, Alvaro, Grisi, D’Annunzio, Carlo Levi, Quasimodo, Ungaretti, Cardarelli, Gatto, Penna, Vittorini e la linea narrativa e poetica novecentesca che tratteggia le eredità omeriche e le dimensioni del sacro.
Ha scritto saggi sulle problematiche relative alla cultura poetica della Magna Grecia e, tra l’altro, un libro su Fabrizio De André e il Mediterraneo (“Il cantico del sognatore mediterraneo”, giunto alla terza edizione), nel quale campeggia un percorso sulle matrici letterarie dei cantautori italiani, ovvero sul rapporto tra linguaggio poetico e musica. Un tema che costituisce un modello di ricerca sul quale Bruni lavora da molti anni.
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