Siamo a rischio massacro economico-sociale

La politica s’è dimessa da tempo.

Siamo ben oltre il mancato rispetto delle buone maniere invano invocate e pochissimo rispettate anche nel dibattito pubblico, non solo per le volgarità ma per le falsità che lo animano. Prevalgono insulti quotidiani reciproci scambiati con disinvoltura da un campo all’altro, spesso da esponenti minori mandati in prima linea, supportati però quasi sempre dagli interventi decisivi dei capi che confermano in pieno la linea e brandiscono la parola “fine” sulla questione. Si tratta però di un ennesimo assalto rumoroso tutt’altro che conclusivo. Si risolve di solito in un ennesimo rinvio, nello spostamento ripetuto del consiglio dei Ministri che ridicolizza lo sforzo di mediazione del presidente Conte, accresce la frustrazione di tutti , disorienta opinione pubblica ed elettorato, squalifica ed isola sempre più l’Italia dall’Europa nel contesto internazionale.  La politica della chiacchiera e dell’urlo ne sta diventando sempre più testimonianza clamorosa a cominciare da certi talk show, nei quali “è solo un esempio” Dagospia o il ritorno di Luzzati annunciato da Freccero come grande novità, forse per bilanciare il prevalente flop del mellifluo Fazio e dell’eterno galleggiamento di Vespa. Non saranno di grande contributo contro il continuo degradare della nostra vita civile e della accresciuta distanza tra cittadini ed istituzioni, tra politica e spirito comunitario e di solidarietà. Dovrebbe invece preoccupare molto non solo primariamente Parlamento e forze politiche, le stesse famiglie e la scuola, le parrocchie e il variopinto dell’associazionismo laico e cattolico, della musica e dello spettacolo. Perché è dal concorso e dal loro essenziale contributo diffuso che potrà determinarsi un rinnovamento graduale ma profondo della nostra condizione etico civile, in ultima analisi della stessa politica e della capacità di governo.

Oltre che litigare, di tutto questo Di Maio e Salvini non sembrano minimamente rendersi conto, assorbiti interamente a contendersi spazi, potere, acquisizioni di posti e poltrone, al punto di non rendersi conto di essere in clamorosa contraddizione con le proprie proposte elettorali. Basta richiamare il sempre illuminante problema Rai. Era stato annunciato un nuovo corso “rivoluzionario”: l’uscita dei partiti da viale Mazzini e il trionfo delle professionalità. Sappiamo com’è andata con le vergognose nomine di consiglio e presidente, dei direttori in radio e tv, con interminabile platea di vice e capi redattori. Eppure trattasi pur sempre del più delicato “servizio pubblico”. Di servizio, appunto, a tutta la comunità e delle sue diverse espressioni e articolazioni non viziate da strumentalizzazioni, faziosità e interessi di parte. Quello che servirebbe davvero per contribuire ad incoraggiare lo spirito comunitario in una società troppo frantumata ed impaurita, a rischio di crescente impoverimento e ingiustizie, anche per la contrapposizione territoriale ed economica. Non basterà, certo, la retorica sulla pur importante “via della seta”ad aiutarci a svolgere il nostro ruolo globale in Europa e nel Mediterraneo, a valorizzare creativamente il nostro immenso patrimonio storico e culturale, che solo l’ignoranza, l’incompetenza e la pigrizia possono mettere ad ulteriore rischio. Invece, siamo al punto che in assenza di contenuti e prospettive politiche audaci e innovative, l’attenzione alla forma, si tratti di felpe diversificate in ogni occasione, a caratterizzare comportamenti e scelte politiche. E’ vero che si ricorda il famoso faccia a faccia tra Kennedy e Nixon sconfitto da un Kennedy molto più brillante e comunicativo. Forse però influì ancora di più “non mi chiedete tanto cosa il presidente farà per gli Usa, ma cosa ogni cittadino americano farà per gli Stati Uniti”.

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