2016, un anno di guerre

Nel mondo sono 67 gli Stati coinvolti in conflitti di vario genere

Immagine: Natale in Siria

Un anno di guerre. Sono soltanto 10 i paesi che vivono in pace nel mondo. I dati elaborati dal Global Peace Index 2016 (GPI) segnalano un aumento dei conflitti, di diversa portata, sul pianeta. Gli Stati coinvolti sono 67 suddivisi tra Africa (29 Stati e 215 tra milizie-guerrigliere, gruppi terroristi-separatisti-anarchici coinvolti), Asia (16 Stati e 169 tra milizie guerriglieri e gruppi terroristi-separatisti), Europa (9 Stati e 81 compagini antigovernative), Medio Oriente (7 Stati ma ben 244 tra milizie-guerrigliere e gruppi terroristi) e Americhe (6 Stati e 26 tra cartelli della droga, milizie-guerrigliere e gruppi terroristi-separatisti-anarchici coinvolti). Un numero complessivo di 67 Stati coinvolti e la cifra “monstre” di 736 gruppi tra milizie-guerrigliere, terroristi-separatisti-anarchici. Questo è lo scenario che il pianeta oggi presenta, una realtà spesso celata dietro le trame imperscrutabili del “quarto potere” di “wellesiana” memoria che, sovente, indirizza il suo spotlight lasciando inevitabilmente nell’ombra il resto del palcoscenico. Da Aleppo a Berlino, passando per Parigi, Nizza, Baghdad, Mosul, Damasco, Kobanê, Kirkuk, Raqqa, Monaco, Ansbach, Ankara, Istanbul e la lista potrebbe continuare. In queste oreè il Medio Oriente che desta maggiori preoccupazioni all’opinione pubblica occidentale, per le forze in campo e gli interessi legati a quell’area da parte delle potenze coinvolte. I punti caldi sono, purtroppo, i soliti ormai da anni: Iraq (guerra contro i militanti islamici dello Stato Islamico), Israele (guerra contro i militanti islamici nella Striscia di Gaza), Siria (guerra civile), Yemen (guerra contro e tra i militanti islamici). L’Africa poi, nel dettaglio, presenta conflitti di diversa portata e difficile risoluzione: Egitto (guerra contro militanti islamici ramo Stato Islamico), Libia (guerra civile in corso), Mali (scontri tra esercito e gruppi ribelli), Mozambico (scontri con ribelli RENAMO), Nigeria (guerra contro i militanti islamici), Repubblica Centrafricana (spesso avvengono scontri armati tra musulmani e cristiani), Repubblica Democratica del Congo (guerra contro i gruppi ribelli), Somalia (guerra contro i militanti islamici di al-Shabaab), Sudan (guerra contro i gruppi ribelli nel Darfur), Sud Sudan (scontri con gruppi ribelli). E poi c’è l’Asia che presenta dinamiche endemiche come l’Afghanistan (guerra contro i militanti islamici), la Birmania-Myanmar (guerra contro i gruppi ribelli), le Filippine (guerra contro i militanti islamici), il Pakistan (guerra contro i militanti islamici) e laThailandia (colpo di Stato dell’esercito maggio 2014). In un Europa geograficamente più allargata possiamo quindi inserire la perdurante guerra contro i militanti islamici in Cecenia e in Daghestan, la secessione dell’autoproclamata Repubblica Popolare di Donetsk e dell’autoproclamata Repubblica Popolare di Lugansk in Ucraina, per non tacere degli scontri, seppur diminuiti, tra l’esercito azero contro quelloarmeno e l’esercito del Nagorno-Karabakh, conflitti che accadono proprio in quest’ultima regione. Neanche le Americhe sfuggono all’acido conteggio dei conflitti che abbiamo finora elencato, tra il Messico e gli Stati Uniti è caccia aperta ai cartelli dei Narcos e intere regioni non sono assistite dai rispettivi governi con conseguenze gravi sulla sicurezza della popolazione. Il Global Index è calcolato, su base annuale, dall’Institute for Economics and Peace (PEI) in collaborazione con una équipe internazionale di esperti di pace, da istituti di ricerca e da think tank (organismi sociali apolitici), su dati forniti e rielaborati dall’Economist Intelligence Unit (società di ricerca e consulenza che fornisce analisi sulla gestione di stati ed aziende).I dati e i numeri appena evidenziati di certo non sono confortanti, così come non lo sono quelli dell’ultimo rapporto, sempre del PEI, sul terrorismo globale. Mi piace ricordare, infine, una frase di Winston Churchill che sconfisse lo spauracchio nazista, il più grande incubo del “secolo breve”: “L’ottimista vede opportunità in ogni pericolo, il pessimista vede pericolo in ogni opportunità”.  Ecco, forse l’unico modo di sopportare tale deriva non certo virtuosa è rimanere ottimisti, e continuare a credere che il futuro possa riservare meno bombe e più felicità. 

Stampa Articolo Stampa Articolo