Siccità. Cambiare le strategie per non rimanere a secco.

Non c'è più spazio per parlare di prevenzione ambientale e contrasto ai mutamenti climatici. Siamo nella fase dell'adattamento e per la siccità l’Italia ha una sfida da vincere: accogliere il cambiamento, anche tecnologico, e adottare in massa nuove modalità di gestione della risorsa idrica. Inizia con Luigi Petta di Enea un ciclo di approfondimenti sul tema della siccità nel nostro Paese.

Parliamo di siccità. Ci siamo accorti che anche in Italia la questione stava prendendo una brutta piega nel corso dell’estate 2022. Le immagini del fiume Po in secca, la risalita di acqua salmastra dalla foce a danno delle irrigazioni, gli appelli all’uso razionale di acqua nelle grandi città; con l’arrivo dell’inverno ci siamo illusi che la questione fosse rimandata al prossimo anno e invece no.

La novità dell’Italia, infatti, è che nel corso del mese di gennaio sono iniziati i razionamenti di acqua potabile in alcune aree del nord ovest. L’altra novità è che i razionamenti non avvengono a valle ma in montagna. Le autobotti procedono in senso inverso raggiungendo i paesini montani; il 6,5% dei comuni di Piemonte e Lombardia sta ricorrendo a questa modalità per garantire l’approvvigionamento di acqua.

A cavallo tra il 2022 e il 2023 sono diminuite le precipitazioni, con punte del 60% in meno rispetto all’inverno precedente e questo ha determinato un mancato rinnovo delle fonti idriche. Aggiungiamo che il nord Italia è sempre stato caratterizzato da un certo stoccaggio nevoso, per cui la neve che cade in inverno viene rilasciata gradualmente nei mesi successivi. Ma quest’anno lo stoccaggio non ci sarà, replicando ed aggravando una situazione già verificatasi nel corso della primavera-estate del 2022 con i noti episodi di carenza idrica diffusa”.

Basta questa osservazione a dare la dimensione del problema ed in effetti quasi non ho più domande da porre a Luigi Petta, responsabile del laboratorio ENEA per l’uso e la gestione efficiente di acqua e reflui. Avrei sperato di sentire che il problema fosse legato all’uso sconsiderato di acqua, alla mancanza di investimenti e invece è la natura che ha perso il suo ciclo. Ed è uno degli effetti dei cambiamenti climatici.

Leggi anche Allarme siccità: assediate città e campagne

Avremmo potuto evitare questa situazione?

Sicuramente non abbiamo fatto del nostro meglio come sistema paese per fronteggiare questo problema o per riconoscerne la rilevanza. L’Italia viene da diversi decenni di scarsità di investimenti nel settore idrico e questo è dovuto a molteplici fattori che vanno dall’interesse del decisore politico di intervenire sulla questione in ottica preventiva, quando i problemi erano ben altri, sino poi alle problematiche connesse all’assetto gestionale del servizio idrico che pure determina delle criticità.

Perché in Italia l’acqua è stata data così per scontata?

È tipico dei sistemi economici in cui ci sono beni in disponibilità praticamente illimitata e quindi non acquisiscono un preciso valore economico. Purtroppo, ci troviamo in una società di consumo in cui l’importanza delle cose è data dal valore economico, c’è poco da fare. Un valore economico basso porta le persone a non rispettare quel bene, a non ritenerlo importante. Quanto ci pesa lasciare un rubinetto aperto? Poco e niente. Può esserci una leva etica che porta il singolo a consumare meno, ma l’impatto economico della scelta è quasi impercettibile. In tal senso, il rafforzamento di meccanismi incentivanti potrebbe favorire l’applicazione di comportamenti e pratiche virtuose.

Eppure molte regioni del Sud e del Centro vivono il tema della scarsità dell’acqua. Non dovrebbe esserci una consapevolezza diversa?

Il tema della scarsità dell’acqua è presente in numerose regioni italiane, tipicamente al centro e al sud. Tuttavia anche queste regioni non hanno attuato interventi di prevenzione di grande portata in quanto ci si è abituati ai razionamenti estivi, è quasi una tradizione. Nel nord, invece, si è finora potuto contare su una certa abbondanza di acqua; è vero che il tema non è nuovo e quindi nel frattempo diverse azioni per mitigare gli effetti della siccità sono state intraprese, ma nella maggior parte dei casi si tratta di azioni di tipo dimostrativo e, di certo, non tali da consentire di fronteggiare un calo così significativo di precipitazioni come quello verificatosi quest’anno.

Lo scenario quindi quale è?

L’Italia vive una serie di paradossi dal punto di vista della gestione della risorsa idrica. Consideri che: siamo la nazione che preleva più acqua a scopo potabile in Europa; siamo i maggiori consumatori di acqua minerale in Europa; siamo tra i paesi con il maggior tasso di perdite nella rete acquedottistica (su 100 litri di acqua immessi nel sistema, 42 vengono persi e 58 arrivano a destinazione); siamo il paese che da un lato ha la tariffa idrica tra le più basse d’Europa e siamo conseguentemente tra i paesi che investono meno – per abitante- sul servizio idrico. Va però aggiunto che nell’ultimo periodo si osservano elementi che lasciano sperare in un cambio di direzione, come ad esempio gli investimenti programmati con il PNRR.

Quali sono gli utilizzi dell’acqua?

Gli utilizzi di acqua sono di tre tipi: il principale è quello per l’agricoltura, che assorbe oltre il 50% del prelievo totale; a seguire vi sono gli usi industriali, in particolare quelli relativi al comparto agro-industriale e zootecnico, che sono prossimi al 30% ed infine vi sono gli usi residenziali o assimilati ai residenziali assorbono circa il 20% delle risorse idriche.

Partiamo proprio dagli usi di tipo residenziale. Spesso ho la sensazione, da cittadina che si attiene alle indicazioni sul risparmio idrico, che i miei sforzi si perdano nello spreco di altri. È come se non arrivasse mai una ricompensa.

In ambito residenziale occorre incrementare la consapevolezza dei consumi, anche mediante sistemi di contabilizzazione intelligente. Si discute anche dell’inserimento di meccanismi premiali. In primis per i grossi utilizzatori. Il mondo residenziale in quanto numericamente importante può determinare un impatto: se tutti risparmiamo si generano dei risparmi consistenti; ma non perdiamo di vista che occorre efficientare la parte agricola e quella industriale.

Leggi anche Siccità. I 20 consigli ENEA per il risparmio idrico (ed energetico)

Cosa fa la parte industriale?

Alcuni gestori virtuosi hanno iniziato a ricorrere a fonti non convenzionali, come avviene nelle pratiche di riutilizzo degli effluenti depurati. Tuttavia, va segnalato che in Italia la maggior parte delle aziende idroesigenti sono anche dotate di impianto di trattamento interno. Quello che anche come Enea cerchiamo di agevolare è chiusura dei cicli idrici in ambito produttivo, per fare in modo che o a livello di singola linea produttiva o agendo sull’impianto di depurazione le acque prodotte vengano trattate e rese riutilizzabili all’interno del ciclo produttivo limitando sempre di più il ricorso a nuove fonti idriche.

E l’agricoltura?

L’ostacolo maggiore è la resistenza al cambiamento delle modalità lavorative e produttive; occorre superare l’inerzia fisiologica di sistema e cercare di fare grandi numeri. Pensiamo ad esempio all’irrigazione goccia a goccia: ci sono aziende che l’hanno sperimentata, adottata e poi praticata con successo. L’ulteriore sviluppo è quello dell’introduzione di sistemi “smart” di fertirrigazione delle colture e di sistemi di irrigazione intelligente per migliorare l’efficienza irrigua. Finora tali azioni tendono ad essere azioni isolate, apparentemente più a scopo dimostrativo che sistemico, volte per lo più a dimostrare la fattibilità di alcune pratiche.

Esiste un problema di trasferimento tecnologico?

Lo sviluppo tecnologico deve essere continuo e costante, ma attualmente il problema non è di natura tecnologica. Piuttosto, bisogna fare in modo che la massa degli utenti idrici, in particolare quelli agricoli e produttivi, prenda consapevolezza del mutato contesto ed abbracci questi nuovi sistemi, che devono essere supportati da un quadro normativo attuale ed efficace. È chiaro che si tratta di investimenti economici e che devono essere sostenibili, su tale fronte si potrebbe fare ricorso a leve incentivanti. Il problema non è la mancanza di tecnologia ma fare in modo che diventino di larga adozione. Questa è la sfida ora.

Foto di David Becker su Unsplash

Stampa Articolo Stampa Articolo