Camorra: Don Raffaele è morto!

Raffaele Cutolo, “’O prufessore”, è morto ieri nel reparto sanitario detentivo del carcere di Parma

“O professione”, così era chiamato Raffaele Cutolo, il boss che riscrisse i fondamenti della camorra, attraverso una delle più sanguinose faide. Oggi del boss sanguinoso era rimasto ben poco, da 57 anni rinchiuso in carcere al 41 bis, costretto a prendere 5 pillole al giorno, pieno di acciacchi e malanni. Dell’affascinante “dittatore” della camorra, e dell’uomo che aveva tenuto in scacco per anni i verti dello stato rimane ben poco, così come rimane poco del periodo in cui fu reggente. 

Cutolo fu un boss di potere, quindi temuto, ma anche ammirato grazie alla sua capacità di parlare, con parole forbite.

Nasce da “Peppe ‘o monaco” nel 1941, ad Ottaviano, e da piccolo è un bambino tranquillo, si dice anche che servisse la messa, un bambino con una intelligenza brillante ma con un carattere impulsivo, che lo porto piano piano a divenire prima un bullo, e poi il capo della camorra.

La sua storia di potere nasce dopo una rissa nata ufficialmente per questioni stradali, ma che poi sarà rivelato che nacque da un apprezzamento di troppo alla sorella Rosetta, infatti dopo aver ucciso un uomo, a 22 anni fu arrestato e portato nel carcere di Poggioreale. Approfitta del tempo da trascorrere in carcere per leggere testi di giurisprudenza e scrivere poesie, acquisisce, così,  un vocabolario forbito e grazie a questo viene chiamato “’O professore”, che sarà il capo indiscusso della nuova camorra organizzata. Organizzazione che sarà in grado d sfidare tutte le famiglie della camorra di Napoli e provincia, ma non solo sfidò anche le famiglie della Mafia siciliana. Il pensiero di essere immortale e oltre qualsiasi regola, supportato dai suoi uomini che si lanciavano in qualsiasi impresa il boss gli chiedesse, porta Cutolo a gesti di pura barbaria, come quando dopo aver fatto uccidere un suo nemico ne mangia il cuore. Un boss che conosce bene la forza della comunicazione, e dell’uso dell’immagine, tanto da farsi intervistare da Marrazzo, che scrisse anche un libro su di lui. Raggiunse il culmine quando rispondendo al sociologo Isaia Sales, che spiegava la devianza sociologica del potere rispose che: “Se fare del bene, aiutare i deboli, se riscattare la dignità di un popolo rischiando la propria vita è camorra, allora ben mi sta questa etichetta”. Un uomo che ha fatto la storia della nuova camorra, oggi morendo porta con sé chissà quanti segreti e misteri del periodo in cui fu reggente. In una intervista disse: ” Aiutai  l’assessore regionale Ciro Cirillo (rapito e successivamente rilasciato dalle Br, ndr), potevo fare lo stesso con lo statista. Ma i politici mi dissero di non intromettermi». Nel ’78 Cutolo era latitante e si sarebbe fatto avanti per cercare, sostiene lui, di salvare Moro. «Per Ciro Cirillo si mossero tutti, per Aldo Moro nessuno, per lui i politici mi dissero di fermarmi, che a loro Moro non interessava».

A volte, dipenda da quale visione si raccontano le storie, cambia palesemente il senso. La storia affascinante di un uomo che dal basso arriva ad avere più potere di un ministro va letta e contestualizzata nel periodo storico, in cui questo potere arriva e si definisce passando sopra migliaia di morti, in una cultura, anzi subcultura, fatta di bullismi e omicidi, fatta di paura ed orrore.

Cutolo non ci mancherà ma con lui sparisce un pezzo di storia fatta di accordi segreti e collusioni varie, in un periodo storico, come il nostro, in cui le mafie hanno ancora sia potere che disponibilità economica per deviare sia parti di stato, che mercati e famiglie.

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