Bilancio europeo 2021-2027, Grean Deal. Sassoli: Sfide ambiziose o rischio crescita Ue

Dietro l'angolo, altri sacrifici per i cittadini Ue. Sassoli fa appello alla responsabilità dei governi per evitare che le proposte della Commissione falliscano: Ma chi, quale governo, vorrà assumersi la responsabilità di far fallire le proposte della nuova Commissione? Di non consentire risorse adeguate al fondo per una transizione giusta, e consentire alle nostre imprese di adeguarsi al green deal e non di chiudere o perdere posti di lavoro?

Roma –  Il tema dei negoziati in corso sul nuovo Quadro Finanziario Pluriennale 2021-2027, focus della convention del 7 febbraio scorso a Roma, organizzata dall’Ufficio del Parlamento europeo in Italia e dalla Rappresentanza in Italia della Commissione europea. Svolto nella Sala del Tempio Adriano, l’appuntamento ha rappresentato un momento cruciale nella promozione degli interessi dei cittadini, delle imprese e dei territori dell’Unione europea. 

Intervenuti il Presidente del Parlamento europeo, David Sassoli, seguito da rappresentanti e autorità delle istituzioni italiane ed europee, delle categorie economiche-sociali e del mondo dell’educazione e della ricerca. A chiudere il dibattito il Presidente del Consiglio, Giuseppe Conte.

All’apertura dei lavori del convegno, il Presidente del Parlamento europeo, David Sassoli,  nel definire un’Agenda ambiziosail programmadell’assemblea Ue, ha sottolineato la grande opportunità di parlare al sistema politico italiano della direzione da dare all’Europa e alla nostra società.

Al centro della giornata, le 50 proposte legislative che la Commissione europea Von der Leyen si è impegnata a lanciare nei prossimi due anni, fondate essenzialmente sul percorso e socialmente equo del Green Deal europeo. Il programma fa da cornice agli interventi che accompagneranno le scelte da compiere sul Quadro finanziario pluriennale dell’Unione, dal quale passa la qualità della vita nei prossimi 7 anni dei cittadini europei.  Partendo dalla condivisione delle nuove proposte avanzate dalla Commissione Von der Leyen, il Presidente Sassoli pone una riflessione sulla sostenibilità del finanziamento degli interventi attraverso lo stesso budget del vecchio bilancio. Il che necessariamente comporterà il taglio dei fondi di tutti i programmi dell’Unione europea e dunque una riduzione dei fondi sulla coesione, sulla politica agricola, sulla ricerca, su Erasmus, sull’industria, sul fondo sociale europeo. 

Gli impegni dovranno essere sostenuti da aumenti che se insufficienti rischiano di mettere a rischio la crescita in Europa. Sassoli nel presentare e difendere, le proposte del Parlamento europeo che riguardano le politiche e le persone, non cifre virtuali in tema di sfide climatiche, digitali e geopolitiche,  rimarca che  un aumento dell’1% non porterà a nulla  insieme a quello proposto dalla Finlandia dell’1,07 % . Bisognerà arrivare ad un aumento all’1,3%. sottolinea il Presidente David Sassoli,  passando ad esaminare con positività lo sforzo dell’Italia nell’ultima manovra di bilancio del governo, che ha mantenuto ”alto lo sguardo strategico sul futuro”. Uno sforzo apprezzato da Bruxelles ”che ha concesso ulteriore fiducia al nostro paese”.

Sassoli fa quindi appello alla responsabilità dei governi per evitare che le proposte della Commissione falliscano :’’Ma chi, quale governo, vorrà assumersi la responsabilità di far fallire le proposte della nuova Commissione? Di non consentire risorse adeguate al fondo per una transizione giusta, e consentire alle nostre imprese di adeguarsi al green deal e non di chiudere o perdere posti di lavoro? 

Le battaglie dunque non sono finite, adesso bisogna fronteggiarne una nuova, per cittadini dell’Ue e soprattutto per quelli appartenenti ai Paesi in recessione come gli italiani, i sacrifici continuano, malgrado le spiegazioni ragionevoli sulla necessità di proseguire nella lotta che dia un segnale forte di crescita e coesione in Europa, evidenziate dal Presidente del Parlamento europeo, la domanda che accompagna il suo intervento sul nuovo bilancio europeo 2021-2027, declinata in molti ragionamenti , si ripete e rimane una sola :  

Che bilancio vogliamo per i prossimi 7 anni? Dove vogliamo mettere i soldi, o toglierli? Cosa vogliamo diventare?

“Ho sempre detto, un po’ scherzando, che quando parliamo di bilancio le persone scappano, ma é nostro compito e nostra responsabilità spiegare ai cittadini che dalle scelte che si faranno sul bilancio pluriennale dell’Unione europea passa la qualità della nostra vita nei prossimi 7 anni. Saranno scelte impegnative che diranno quale Europa vogliamo e quale Europa siamo disposti a costruire. 

Prima di affrontare questo tema dobbiamo porci una domanda fondamentale: saremmo in grado, oggi, con gli strumenti che abbiamo a disposizione, di affrontare un’altra crisi come quella che 10 anni colpì i nostri Paesi? 

Io credo di no. Penso che le regole che abbiamo usato fino a questo momento non siano più in grado di affrontare tempeste simili e soprattutto non siano in grado di mantenere standard adeguati al nostro tenore di vita. 

C’è un problema preliminare da affrontare nella società attuale se vogliamo veramente porci il tema del nostro futuro. Noi abbiamo distanze troppo lunghe. È troppo distante il nord dal sud, il centro dalla periferia. E questo nel piccolo dei nostri paesi e nello spazio europeo. Ridurre le distanze è urgente per affrontare sfide comuni, per diminuire le diseguaglianze, per consentire di partecipare ad un destino comune. Dobbiamo ridurre le distanze. All’inizio di questa legislatura europea ci siamo chiesti quale chiave di lettura fosse possibile per la nostra contemporaneità. 

E la riflessione ha intravisto una opportunità in un interesse comune e condiviso che può costituire una grande leva per un profondo cambiamento di passo. Salvare il pianeta non è un optional, ma la cornice su cui articolare la nostra riflessione su un nuovo modello di sviluppo. Non si tratta solo di sviluppare buone pratiche, ma di far leva sulla lotta al cambiamento climatico per declinare una sostenibilità economica e sociale. Ne abbiamo bisogno? È utile? Come altrimenti potremmo consentire di avviare una revisione di un modello di sviluppo che tutti capiscono non è più in grado di assicurare sviluppo, crescita, posti di lavoro, competitività? 

Questa legislatura europea sta indicando una strada tutta da pavimentare, con l’idea fissa che nessuno dovrà restare i indietro. Non dovranno restare le imprese, i nostri paesi, i lavoratori. Questa riflessione attorno alla proposta del green deal europeo, nata in parlamento e fatta propria dalla nuova Commissione, non può certo restare un’indicazione circa gli obbiettivi da raggiungere. Non può restare un’indicazione di massima per arrivare nel 2050 ad un’Europa ad emissioni zero. 

Il traguardo può essere raggiunto solo pavimentando la strada che abbiamo deciso di percorrere. Solo assicurando sviluppo e crescita potremmo raggiungere l’obbiettivo di assumere la leadership nella lotta al cambiamento climatico. È attorno a questa riflessione che il green deal, libro ancora tutto da scrivere, ha preso quota, diventando oggi un progetto a cui tutti sono chiamati a partecipare. E questo obiettivo può essere raggiunto solo se metteremo in campo ogni risorsa disponibile. Ma come consentire che nessuno resti indietro? 

La commissione europea ha preso l’impegno di presentare 50 proposte legislative nei prossimi due anni. Saranno interventi che modificheranno comportamenti industriali e finanziari, le regole dei settori produttivi, che cercheranno di rafforzare il nostro modello sociale, di sviluppare nuove modalità di trasporto, che definiranno alcune priorità nel campo della ricerca. 

Non basta annunciare un obbiettivo, lo sforzo dev’essere su come raggiungerlo. Ed è per questo che oggi serve che le agende nazionali si adeguino a quella europea. 

Ed è riconosciuto a Bruxelles che anche nell’ultima manovra di bilancio il governo italiano sia riuscito a mantenere alto lo sguardo strategico sul futuro. Uno sforzo apprezzato che ha concesso ulteriore fiducia al nostro paese. 

Adesso però ci troviamo all’inizio di una nuova battaglia. Se il green deal è la cornice di interventi che accompagneranno per lungo tempo, le scelte da compiere sul Quadro finanziario pluriennale dell’Unione diventano l’altra faccia della stessa medaglia. 

…..Che bilancio vogliamo per i prossimi 7 anni? Dove vogliamo mettere i soldi, o toglierli? Cosa vogliamo diventare? 

La definizione del nuovo bilancio pluriennale parte da una considerazione molto semplice. Se pensiamo che le nuove proposte avanzate dalla Commissione Von der Leyen dovranno essere finanziate con lo stesso budget del vecchio bilancio dovremmo procedere a tagliare i fondi di tutti i programmi dell’Unione europea. Con un aumento dell’1% non saremmo in grado di mantenere nessun impegno. Dovremmo ridurre i fondi sulla coesione, sulla politica agricola, sulla ricerca, su Erasmus, sull’industria, sul fondo sociale europeo. Per finanziare i nuovi progetti tutto questo è a rischio. 

Ma come potremmo cercare d accorciare le distanze se tagliassimo i fondi della coesione che garantiscono alle nostre regioni e ai nostri territori di raggiungere standard comuni? 

L’1,07% proposto dalla presidenza finlandese è di certo insufficiente. 

Si tratta di 237 miliardi in meno rispetto alla proposta del Parlamento europeo che parte dall’analisi di quanto valgono gli interventi settoriali vecchi e nuovi. 

Da qui nasce lo scandalo indicato di arrivare ad un aumento all’1,3%. E non facciamoci ingannare: qui non si tratta di trasferimenti che colpiscono i bilanci nazionali, ma di aumentare le capacità dei nostri Stati membri, e investire sulla loro capacità e crescita. 

Ma la proposta del Parlamento non si ferma qui. Dopo anni di dibattiti, vogliamo aprire con il Consiglio una vera trattativa anche sulle risorse proprie dell’Unione europea. Si tratta di risorse che non toccano i bilanci nazionali, formate da nuove imposte, da trasferire direttamente all’Unione in modo da consentire il finanziamento autonomo delle iniziative comunitarie. Le possibilità sono molteplici. 

Parliamo di risorse proprie verdi, come i redditi derivanti dal sistema di scambio di quote di emissione e di un meccanismo di adeguamento del carbonio alla frontiera, per contribuire agli obiettivi ambientali e agli sforzi di de-carbonizzazione. 

Sulla proposta della Commissione di inserire fra le risorse proprie una tassa sulla plastica abbiamo fatto presente che si tratta di una risorsa destinata a non autoalimentarsi per le decisione assunte sull’uso della plastica, destinata ad uscire dal mercato. 

E io sono felice di presentare e difendere le proposte del Parlamento europeo, che riguardano le politiche e le persone, non cifre virtuali. Ci troviamo di fronte a un’agenda molto ambiziosa per quanto riguarda le sfide climatiche, digitali e geopolitiche. Dobbiamo lottare e dare un segnale forte per la crescita e la coesione in Europa. 

Nel processo di approvazione del bilancio, il Parlamento ha l’ultima parola e la proposta che abbiamo formulato ha l’unanimità dei gruppi politici. È chiaro che per me rappresentare una posizione coerente e unanime è di grande soddisfazione e mi consegna una grande responsabilità nel negoziato. Stiamo lavorando per i nostri paesi e per la loro capacità di sviluppo, non contro di essi. 

Ecco perché lo ripeto con le stesse parole che ho usato nell’ultimo Consiglio dei casi di Stato e di governo: se non vi sarà un bilancio pluriennale adeguato alle sfide, il Parlamento europeo è deciso ad andare fino in fondo. 

Ma chi, quale governo, vorrà assumersi la responsabilità di far fallire le proposte della nuova Commissione? Di non consentire risorse adeguate al fondo per una transizione giusta, e consentire alle nostre imprese di adeguarsi al green deal e non di chiudere o perdere posti di lavoro? 

Il Fondo per una transizione giusta, presentato la scorsa settimana dalla Commissione, è un’iniziativa che può essere accolta favorevolmente, anche se le risorse di cui questo fondo sarà dotato non saranno probabilmente proporzionate alle sfide sociali che dovremmo sostenere. 

Infatti, a fronte di un PIL annuo dell’UE di circa 15.000 miliardi di euro e degli enormi costi che le misure di lotta al cambiamento climatico imporranno, in particolare alle famiglie, il Just Transition Fund di 100 miliardi di euro, ripartito su diversi anni, si mostra insufficiente. È infatti essenziale rispondere ai timori di queste perdite potenziali – e dell’aumento dei prezzi dell’energia – con misure di compensazione, in particolare per creare posti di lavoro di alta qualità e ben pagati, per garantire il successo politico del Green Deal europeo. 

Le misure previste dalla Commissione europea per raggiungere gli obiettivi ambientali fissati per il 2030 sono solo in parte sostenute dalle linee di bilancio previste nel QFP. Una parte significativa degli investimenti necessari per raggiungere gli obiettivi dovrebbe quindi provenire dagli investimenti pubblici degli Stati membri, ma anche dagli investimenti privati. 

Per quanto riguarda gli investimenti pubblici da parte degli Stati membri, è attualmente in corso una riflessione, guidata dal Commissario Gentiloni, sul trattamento di tali investimenti per la transizione energetica secondo le regole di bilancio europee. 

Per quanto riguarda gli investimenti privati, è nell’interesse stesso dei gestori del risparmio e delle principali banche d’investimento trovare alternative agli investimenti in attività finanziarie legate ai combustibili fossili, attività la cui rigorosa performance finanziaria potrebbe rivelarsi non redditizia nel medio termine, in quanto il costo delle energie rinnovabili diminuisce. 

Questo è il messaggio che mi è stato trasmesso a Davos durante i miei incontri con i capi di fondi d’investimento che includono la transizione ecologica nei loro investimenti. Per il prof Stiglitz, solo l’Europa può assumere questa strategia e offrire questo modello ad un mondo senza regole ma che deve trovare regole. 

È quindi essenziale in questo contesto per gli investitori che le istituzioni dell’UE lavorino a stretto contatto con loro per integrare gli obiettivi del Green Deal europeo, insistendo ovviamente da parte nostra affinché i loro investimenti che garantiscono l’accesso a fonti di energia più pulite siano condivisi da tutti e che i lavoratori e le comunità interessate siano sostenute nel periodo di transizione. 

In questa prospettiva, proponiamo di organizzare il prossimo autunno una conferenza sul finanziamento privato della transizione ecologica, che riunisca i decisori politici, i responsabili dei progetti ambientali e gli investitori privati che desiderano partecipare in Europa alla grande transizione climatica che intendiamo guidare. 

C’è grande attesa su come l’Europa intende muoversi e sulle decisioni che assumerà. 

Ma tutto questo sarà possibile se il rapporto fra Unione Europea e Paesi membri diventa maggiormente collaborativo. Tutte le istituzioni democratiche, non quelle di Bruxelles, sono devono sentirsi parte importante della democrazia europea. Lo sono i governi nazionali, i Parlamenti nazionali, le amministrazioni regionali e locali. 

In questa fase è importante che tutti mettano bene a fuoco che se non vi sarà un accordo tutti si troveranno per un anno il vecchio bilancio e questo non permetterà di finanziare le politiche proposte dalla Commissione e che il Parlamento sostiene. 

La realtà è che non possiamo ottenere un’Europa più ambiziosa con un budget ridotto. E la Brexit non può costituire un pretesto per limitare bloccare la nostra iniziativa e fare marcia indietro, altrimenti ci sarà una doppia perdita. Casomai la Brexit è un’occasione per dimostrare la convenienza dell’Unione. 

La trasformazione civile che l’Europa vuole realizzare per affrontare l’emergenza climatica richiede che si tenga conto della dimensione sociale e della lotta alle disuguaglianze, che dovranno necessariamente accompagnare questa trasformazione 

Non dobbiamo infatti dimenticare che le sfide 

ambientali possono essere risolte solo se mettiamo la riduzione delle disuguaglianze al centro dell’azione politica. 

Le sfide del clima e della disuguaglianza possono essere risolte solo insieme. 

Con molta franchezza devo ribadire che il Parlamento europeo non darà il suo consenso ad un Quadro Finanziario pluriennale senza ambizione. 

É fondamentale trovare un accordo rapidamente per consentire di finalizzare i negoziati sui programmi settoriali ed evitare i ritardi nell’attuazione dei quadri finanziari precedenti. Ma questo non significa affatto che il Parlamento accetterà un accordo qualsiasi. 

Il percorso verso il QFP 2014-2020 è un’esperienza da non ripetere. Nel 2013 c’è voluto quasi un anno per concludere il precedente accordo e i programmi sono stati fortemente ritardati. E i ritardi all’inizio del periodo della programmazione sono la ragione per cui l’UE non può raggiungere l’obiettivo climatico del 20% della sua spesa di bilancio per il periodo 2014-2020. 

Ci aspettiamo che il Consiglio entri in un negoziato con il Parlamento a tutti i livelli e su tutti gli aspetti. Un negoziato che deve comprendere le risorse proprie, le proposte legislative settoriali sui nuovi programmi dell’UE, la proposta sulla garanzia dello stato di diritto. Il negoziato deve ovviamente avvenire nel pieno rispetto delle prerogative legislative del Parlamento. 

Se il Consiglio europeo straordinario, convocato proprio sul QFP, il prossimo 20 febbraio tentasse di mettere in discussione il mandato della nuova Commissione, i cui impegni, per essere attuati, necessitano di risorse finanziare adeguate, sarebbe un vero e proprio tradimento delle aspettative dei nostri cittadini e noi non possiamo accettarlo. 

L’obiettivo principale del Parlamento é di ottenere il miglior risultato possibile per i cittadini europei e rilanciare in maniera decisa le nostre politiche europee per un’Europa sempre più forte e protagonista nel mercato globale. 

La giornata di oggi è particolarmente importante, perché se anche il sistema sistema italiano si allineerà alla posizione del Parlamento europeo, così come stanno facendo diversi governi, il dibattito in Consiglio potrà arrivare a conclusioni positive. Abbiamo tutti bisogno di alleanze. 

Alle forze di maggioranza e di opposizione italiane invito a collegarsi alle posizioni dei loro gruppi politici che al Parlamento europeo formano uno schieramento inedito e coeso impegnato a dimostrare che la vita dei nostri cittadini e la crescita dei nostri territori valgono per tutti, al di là delle sensibilità e delle legittime aspirazioni. 

Ma questa è una battaglia che la politica non può sostenere da sola. La politica può fare molte cose, ma mai senza i cittadini, le imprese, il mondo del lavoro e i giovani. Ed è per questo che ci rivolgiamo anche a loro perché facciano sentire la propria voce e dichiarino i propri interessi. Sono sicuro che con un sistema italiano consapevole e presente l’Europa sarà più giusta”. (Testo integrale della relazione del Presidente del Parlamento Europeo David Sassoli)

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