Brexit, il 23 giugno il referendum in Gran Bretagna

Cosa accadrà se vinceranno i sì?

Ci siamo. Il 23 giugno si terrà il referendum sulla permanenza o meno della Gran Bretagna nell’Unione Europea, ancora quattro giorni di passione per l’Europa che terranno in bilico le borse e la politica targata Bruxelles. Comunque vada il referendum sulla Brexit David Cameron ha già intuito di aver fallito tutti i suoi piani, meno uno: trovare uno stratagemma per distrarre i mercati dalle altre trappole disseminate in questo travagliato inizio d’estate per l’Europa. Lo scorso anno il premier inglese aveva promesso un referendum sulla rottura britannica con l’Unione, sicuro – anzi sicurissimo – che non si sarebbe mai tenuto, credeva quindi che i suoi Tory sarebbero tornati al potere assieme ai liberal-democratici pensando che questi ultimi avrebbero impedito il fatidico voto. Ma questo referendum non è la sola “curva pericolosa” di un’estate che si preannuncia bollente sotto il profilo politico per tutta l’Europa, i ballottaggi delle amministrative in Italia hanno confermato il risultato delle forze contrarie all’Euro accolto dai mercati con un’impennata di dodici punti del costo del debito italiano, oltre le medie insomma. La vittoria degli euroscettici in Italia, Roma e Milano su tutte, non passerà inosservata in Europa, tra due giorni poi la Corte costituzionale tedesca deciderà sulla legittimità delle Omt, l’ombrello della Banca centrale europea che dal 2012 tiene la Spagna e l’Italia al sicuro. Qualora Karlsruhe vietasse alla Bundesbank di partecipare alle Omt l’architettura dell’euro ne uscirebbe indebolita, quindi dopo altri due giorni i britannici andranno alle urne e domenica 26 gli spagnoli rivotano dopo sette mesi di stallo, Podemos –partito anti sistema – è già salito al 20,7% nel dicembre 2015 e al 25,6% starebbe oggi secondo gli ultimi sondaggi. Lisbona rischia di dover chiedere un nuovo salvataggio entro l’anno specie se la Brexit si avverasse gettando nel caos i mercati. Cameron, insomma, non aveva previsto che la sua trovata avrebbe rischiato di innescare un altro giro della macchina infernale della crisi, anche se non è il solo – a quanto pare – ad aver sbagliato tutti i calcoli. Torniamo alla Brexit. Se vincerà il sì l’ala “pro Brexit” del partito conservatore britannico ha già in mente alcune ipotesi di leggi per gestire il percorso di transizione fino all’uscita definitiva, accanto a ministri e politici al tavolo delle trattative dovrebbero sedersi anche i maggiori uomini d’affari ed esponenti delle organizzazioni di beneficenza per avere una legittimazione più democratica della trattativa. Il Regno Unito non attiverebbe immediatamente l’articolo 50 del Trattato di Lisbona, che fissa un termine di 2 anni per le negoziazioni sui termini dell’uscita dall’Ue. Anche se un accordo tra tutti gli Stati membri estenderebbe i tempi, inoltre la Gran Bretagna chiederebbe all’Unione di considerare lo scenario di un processo più informale inteso a tessere un accordo commerciale e altri dettagli entro il 2019. Il momento clou sarebbe nella seconda metà del 2018 quando si inizierebbe a legiferare per smantellare l’Europian Communities Act del 1972 e completare così la Brexit. La prima legge sarebbe quella di limitare il potere della Corte europea di giustizia di intervenire in materia di diritti umani, nello specifico la facoltà di decidere chi espellere dal Paese, nel biennio 2017-2018 sarà la volta delle leggi per ridurre l’Iva sulle bollette, misure impraticabili in base alle norme comunitarie Ue e poi una legge sul controllo dell’immigrazione sul modello di quella australiana. Nel frattempo, quindi, libera circolazione dei lavoratori comunitari con la clausola che alla Gran Bretagna sia concesso di intraprendere azioni unilaterali se prima della Brexit definitiva ci fosse un’impennata dei flussi in entrata. Secondo l’Economist Intelligence Unit l’abbandono dell’Unione Europea potrebbe scatenare nel Regno Unito una forte recessione, con seguente crollo del Pil del 6% entro il 2020, circa 106 miliardi di sterline. Molti quattrini. Senza considerare la svalutazione della sterlina del 14% sul dollaro. Non ci rimane che aspettare quindi.

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