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IL FILM “PUSSY VS PUTIN” CHE I RUSSI NON HANNO VISTO

Immagine: Gli autori del film-documentario

La storia delle tre ragazze russe che, con grande coraggio e determinazione, hanno osato sfidare Vladimir Putin sul campo minato della difesa dei diritti umani ora è un film documentario, presentato per la prima volta in Italia, a Roma, e distribuito dall’associazione Blue Desk.

Vincitore dell’IDFA di Amsterdam (il più importante festival europeo di documentari) il film, senza false enfasi, fa sentire il dolore della repressione, mostrando il clima in cui è maturata la reclusione di alcune ragazze del collettivo Pussy Riot. All’anteprima nell’affollata Sala della Protomoteca in Campidoglio erano presenti gli autori Taisiya Krougovykh e Vasily Bogatov, Floriana Pinto e Simone Amendola (Blue Desk), Gianluca Peciola e Imma Battaglia (Sel).

Il film, girato dai diversi componenti del gruppo, narra la storia delle Pussy Riot, dalla formazione, avvenuta nel 2011, fino all’arresto del marzo del 2012. Il nome “Pussy” indica ragazza ma anche gatta e “Riot” è la rivolta di strada.
Le tre giovani hanno voluto identificarsi con un nome che fosse forte e tenero allo stesso tempo. Si ispirano alle riot grrrl degli anni novanta che indossavano una maschera di scimmia.

Gli autori del documentario sottolineano che non si tratta di un montaggio moralistico ma soltanto della narrazione delle proteste del gruppo femminista punk che si è esibito più volte in luoghi pubblici: sul tetto degli autobus, nelle stazioni della metropolitana, sulla Piazza Rossa per denunciare la continua violazione dei diritti umani, in particolare delle donne, l’omofobia feroce, la campagna elettorale ed i presunti brogli con cui Putin si sarebbe assicurato la rielezione per la seconda volta nel 2012. “Il gay pride viene mandato in Siberia” recita un verso delle loro canzoni.

Il loro abbigliamento usuale è costituito da indumenti leggeri a colori vivaci, su collant, indossati anche sotto la neve come nell’esibizione che hanno tenuto sulla Piazza Rossa, sventolando una bandiera viola, simbolo del femminismo. Per nascondere la propria identità portano i passamontagna(balaclava) sia durante le esibizioni sia nelle interviste. L’atto di coprirsi il volto denuncia la loro ostilità nei confronti del capitalismo per non vendere la propria immagine.

Nel febbraio del 2012 il gruppo
decide di esibirsi, sempre a volto coperto, all’interno della Cattedrale del Cristo Redentore di Mosca, tempio della Chiesa ortodossa russa. Dopo essersi tracciate il segno della croce le ragazze cantano il brano “Vergine Maria liberaci da Putin”. Il testo denuncia il sostegno dato da alcuni esponenti della Chiesa ortodossa al primo ministro Vladimir Putin e invita la Vergine Maria a diventare femminista e a cacciare il leader russo. Nadezhda Tolokonnikova (25 anni) Maria Alekhina (26 anni) e Ekaterina Samutsevichi (32 anni) vengono arrestate con l’accusa di vandalismo e condannate a due anni di detenzionein una colonia penale.

Attualmente le Pussy Riot, dopo aver scontato la pena, sono libere, lavorano in un’associazione, tutt’ora illegale, che porta sostegno ai prigionieri in carcere.
Come riferisce Taisiya Krougovykh, la situazione oggi in Russia è terribile e peggiore di sette anni fa. Un uomo che ha manifestato sulla Piazza Rossa in occasione degli attentati di Parigi con “Je suis Charlie” è stato arrestato e rischia fino a 5 anni di reclusione.

Una donna omosessuale ha trovato sulla propria auto la testa di un’attivista lesbica. Se sette anni fa 10 poliziotti fermavano le Pussy Riot – continua – oggi ci sono 50 poliziotti e 50 attivisti di Putin pronti ad intervenire. Il leader russo ha inasprito i controlli e le pene; la violazione dei diritti umani è molto più violenta e feroce. Gli autori stessi del documentario non possono partecipare ad alcuna attività politica, possono comunicare il loro dissenso soltanto con il cinema ma le loro opere non vengono diffuse nel Paese.

Floriana Pinto e Simone Amendola, invitati al festival come Blue Desk, quando vengono a conoscenza del fatto informano dell’accaduto il regista Philip Groening (Il grande silenzio, La moglie del soldato) presente in veste di giurato. Dopo la premiazione Groening legge una nota della giuria nella quale, con intelligenza, si ringraziava il festival “per aver invitato nella selezione ufficiale un film come “Pussy Vs Putin”. Prima dell’applauso sulla sala è calata un’ondata di gelo.

(Per organizzare proiezioni del film e chiederne copia: [blue][b]info@bluedesk.it )[/b][/blue]

ripreso dalla Newsletter di febbraio 2015 dell’AGE