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Roma Teatro Trastevere, Capitano Ulisse di Alberto Savinio 17 – 22 marzo 2020

 

"Ulisse non è più Ulisse. Ulisse è un desiderio, una nostalgia vagante."

 

Dopo aver affrontato il dadaismo con “Il Cuore a Gas” di Tristan Tzara e

il surrealismo con “Le Mammelle di Tiresia” di Guillaume Apollinaire,

ecco “CAPITANO ULISSE”, un salto senza reti di protezione nella metafisica di Alberto Savinio,

uomo di teatro, di lettere, di musica e di pittura, artista totale e pensatore inquieto.

 

 

L’opera è una visione di Ulisse filtrata dalla lente deformante di un grande autore del Novecento. Scritto nel 1925 per l’effimero Teatro d’Arte di Pirandello, venne rappresentato per la prima volta solo nel 1938, in un clima che viene definito “ostile”; da allora, fino a oggi, il quasi totale oblio per un testo considerato minore tra le opere di questo prolifico scrittore. Ulisse è per Savinio un uomo sfinito, svuotato, un anti-eroe che non è in grado di prendere in mano la sua vita, soprattutto quella sentimentale, diviso com’è nel rapporto con tre donne che sembrano a lui la stessa persona. La regia di Andrea Martella proietta l’azione dentro la mente del protagonista, rappresentata come un carcere di massima sicurezza all’interno del quale Circe, Calipso e Penelope sono prigioniere dell'incubo ricorrente di un uomo disturbato e confuso, prigioniero lui stesso del proprio caos psicologico, alimentato anche da altre presenze che si aggirano in modo poco nitido nei suoi ricordi annebbiati, la Dea Minerva, i marinai della sua nave. Il contatto con noi osservatori in platea, il ponte tra concretezza e immaterialità, è rappresentato da un personaggio fulminante e geniale, lo spettatore, p""ortatore “sano” di una strepitosa ed inaspettata comicità.
 

“Appena ho letto il testo, ho avuto da subito la sensazione che la mossa iniziale di Savinio sia stata quella di prendere un eroe e di recidere con un colpo netto e deciso la sua motivazione di essere eroe, l’essenza stessa del suo eroismo: quella che vedevo di fronte a me dopo questa operazione chirurgica era “semplicemente” una persona, nella sua complessità e nelle sue quotidiane e private incertezze. L’essenza della fama di Ulisse risiede non tanto nella sua forza fisica, quanto nella sua intelligenza, nella sua furbizia, nella sua capacità di stratega e anche di improvvisatore di fronte al pericolo e all’imprevisto, ma il senso del suo eroismo è da cercare nell’azione più forte che un essere umano possa compiere: l’amore. Infatti è proprio l’amore per Penelope a guidare il suo viaggio da Troia ad Itaca. Savinio, cancellando con una mossa astuta e teatralmente ingegnosa il ricordo o meglio la coscienza di quell’amore, di fatto annulla il personaggio di Ulisse così come siamo abituati a conoscerlo e ci mostra un nuovo Ulisse, un capitano che non è più a capo di nessuno, neanche di se stesso, precipitato in un mondo onirico che appare più un incubo che un villaggio incantato. Per questo (e in continuità con i primi due capitoli della trilogia dell’avanguardia) ho deciso, con molta sofferenza, di ridurre il testo originale, trattenendo solamente il nucleo relativo al rapporto tra Ulisse e le donne della sua vita, epicentro emotivo di tutta la sua avventura.” cit. Andrea Martella

 

Regia

Andrea Martella

Con 

ULISSE – Flavio Favale

CIRCE – Simona Mazzanti

CALIPSO – Vania Lai

PENELOPE – Giorgia Coppi

MINERVA – Martina Brusco

EURILOCO/EUMEO – Walter Montevidoni

 

SPETTATORE – Edoardo La Rosa

AMBIENTI SONORI – Attila Mona
SCENE E COSTUMI – Anthony Rosa
DISEGNO LUCI – Pietro Frascaro
SUPPORTO ORGANIZZATIVO – Alessia Cottone
FOTO DI SCENA – Leonardo Esposito