
L’Istituto Italiano di Cultura di Londra e l’Associazione Aedificante presentano la mostra Insulae Aqua. Gianni Berengo Gardin e Filippo Romano.
A cura di Alessandra Klimciuk, l’esposizione sarà ospitata fino al 25 giugno 2025 presso Italian Cultural Institute, 39, Belgrave Square London.
La nuova mostra fotografica presenta una preziosa esibizione di 63 splendide opere fotografiche (immagini in bianco e nero e a colori, molte delle quali stampe d’epoca), scattate sull’isola di Linosa (Isole Pelagie, Sicilia) nel 1991 da Gianni Berengo Gardin – maestro indiscusso della fotografia internazionale – che ne espone 26 in b/n. Da parte sua, l’acclamato visual storyteller Filippo Romano ne presenta 37 a colori scattate appositamente per questo progetto tra il 2021 e il 2024.
La mostra è un tributo all’isola che diviene immagine, simbolo, sogno e metafora per la nostra esistenza contemporanea esplorando il concetto di isolitudine, l’isola come isolamento e identità insieme.
Gianni Berengo Gardin e l’estetica del bianco e nero. Sempre

“Una fotografia bella può essere esteticamente ben composta e tecnicamente corretta, ma non raccontare niente. Una fotografia è buona, seppure quando è mossa o un po’ sfocata, quando racconta qualcosa.” (G.B.G.)
L’estetica del bianco e nero, scelta sempre, che si tratti di un reportage, un ritratto o altro. L’intensità, la complessità di uno scatto – scatto che, come l’amato George Simenon fa con le parole, descrive dettagliatamente e con impeccabile cura una scena – non possono essere distratte in chi guarda dal profondo blu di un occhio.
Quando c’è una verità da mostrare, tanto più quando le fotografie parlano del sociale, degli operai arrampicati su un’impalcatura di tubi innocenti (sagome umane e sagome geometriche nere unite insieme nel contrasto di uno sfondo bianco), della forza di figure umane al lavoro su un battello in Francia o di un muratore che riposa disteso su una nicchia ricavata all’interno di una catasta di mattoni, ma anche della dolce simmetria di tanti piccoli cipressi piantati come piccoli testimoni oscuri lungo una strada di campagna che sale polverosa a piccoli tornanti su per una collina senese o dei volti riflessi nei vetri di porte su un vaporetto o di stazioni ferroviarie o di interni di fabbriche pulsanti di operaia energia o di piccole facciate bianche di paesini pieni o vuoti di gente o… Insomma, laddove lo spazio all’improvvisazione non ci può essere, allora c’è la fedele Leica che sa cosa fare: assecondare l’uomo che sa come usarla e sempre e ovunque in bianco e nero. Le eccezioni sono rarissime. La verità esige il bianco e nero. Il messaggio vuole il bianco e nero. Nascono allora i racconti nei libri, non quelli letterari, ma i racconti che si servono della lunga narrazione fotografica per esprimere quello che non può essere raccontato in pochi scatti, come le notizie flash di un telegiornale o di un quotidiano, ma magari in qualche decina o centinaia di fotografie. Tanti libri sono stati ‘scritti’ da Berengo Gardin nel corso della sua lunga e preziosa esistenza. Oltre 260. I Libri sì, perché è la letteratura la forma d’arte più vicina alla fotografia, non la pittura. Lo dice il Maestro: ‘La letteratura ti ispira, ti aiuta a capire’.
E ora, oggi, il volto stesso del grande fotografo appare come se avesse raggiunto la summa completa di tutti i suoi volti, di tutti i suoi racconti, vibrante di una strana luce fatta di chiaroscuri e di contrasti che a migliaia si intrecciano in una serie infinita di segni e incroci in un’unica espressione dominante di umana esperienza raccolta per le strade insieme alle umane forme e alle fome della vita stessa. È un volto bellissimo, il suo, il volto di un uomo di novantaquattro anni che ancora vibra di grande vitalità e curiosità e interesse al di qua e al di là di una macchina fotografica.
Biografia
Gianni Berengo Gardin nasce a Santa Margherita Ligure nel 1930 e inizia a fotografare nel 1954. Dopo aver vissuto a Roma, Venezia, Lugano e Parigi, nel 1965 si stabilisce a Milano, dove intraprende la carriera professionale, dedicandosi al reportage, all’inchiesta sociale, alla documentazione dell’architettura e alla descrizione dell’ambiente. Ha collaborato con i principali periodici illustrati in Italia e all’estero, ma si è dedicato principalmente alla produzione libraria, pubblicando oltre 260 volumi di fotografie. Le sue prime foto vengono pubblicate nel 1954 su II Mondo, a cura di Mario Pannunzio, al quale continua a collaborare fino al 1965, pubblicando centinaia di fotografie. Dal 1966 al 1983 collabora con il Touring Club Italiano, realizzando una lunga serie di volumi sull’Italia e sui paesi d’Europa, oltre che con l’Istituto Geografico De Agostini di Novara. Ha collaborato regolarmente con l’industria (Olivetti, Alfa Romeo, Fiat, IBM, Italsider, ecc.), realizzando servizi e libri sulle aziende. Nel 1979 inizia la collaborazione con Renzo Piano, documentando le tappe della realizzazione dei suoi progetti architettonici. Ha tenuto circa 360 mostre personali in Italia e all’estero, ha esposto anche a Photokina a Colonia, all’Expo di Montreal nel 1967 e a Milano nel 2015, e alla Biennale di Venezia; partecipa alla mostra The Italian Metamorphosis, 1943-1968 al Guggenheim Museum di New York nel 1994. Le sue immagini si trovano nelle collezioni di molti musei e fondazioni culturali, tra cui l’Istituto Centrale per la Grafica di Roma, il Museum of Modern Art di New York, la Bibliothèque Nationale e la Maison Européenne de la Photographie di Parigi, il Musée de l’Elysée di Losanna e il Museo Nacional Centro de Arte Reina Sofia di Madrid. Nel 1972 la rivista ModernPhotography lo ha inserito nella lista dei 32 “migliori fotografi del mondo”. Nel 1975 Cecil Beaton lo citò nel suo libro The Magic Image. Il genio della fotografia dal 1839 ai giorni nostri. Nel 1975 Bill Brandt lo seleziona per la mostra “Twentieth Century Landscape Photographs” al Victoria and Albert Museum di Londra. È stato l’unico fotografo citato da E.H. Gombrich nel suo libro The Imageand the Eye (Oxford 1982). In Storia della Fotografia Italiana (Roma-Bari 1987), Italo Zannier lo descrive come “il fotografo più eminente del dopoguerra”. È stato uno degli 80 fotografi scelti da Cartier-Bresson nel 2003 per la mostra “Leschoixd’ Henri Cartier-Bresson“. Nel 2015 è apparso nel volume di Hans-Michael Koetzle, Eyes Wide Open! 100anni di fotografia Leica. (tratta da ‘contrasto.it’).

Filippo Romano e le narrazioni visive
Romano è un noto visual storyteller nonché fotografo di architetture di città e periferie, luoghi e persone delle città: narratore di spazi urbani. Nei suoi laboratori il suo interesse primario è cercare di far avvicinare le persone (che non sono fotografi professionisti, ma gente comune che può usare anche un cellulare per documentare il circostante) a un’idea di narrazione delle città, degli spazi urbani liberandosi dai cliché o da qualsiasi imposizione tradizionalista che imbriglierebbe il racconto stesso. È forse molto più interessante e costruttivo che la fotografia ponga degli interrogativi piuttosto che offrire la certezza di risposte che inevitabilmente porterebbero a una chiusura, al traguardo di una ricerca a scapito di una più ricca apertura narrativa.
Trent’anni dopo Gardin, che la visitò nel 1991, Filippo Romano visita l’isola di Linosa, un luogo misterioso, dalla terra vulcanica, aspra e silenziosa, tra le più lontane dalla Sicilia. Un’isola che porta alla meditazione, a ricercare le atmosfere uniche e rare in un ecosistema così fragile e incantato dai silenzi lunghi interrotti dal canto di uccelli rari che forse cantano solo a Linosa e rendono poetici i pensieri e le immagini in ogni singolo scatto fotografico.
Biografia
Nato nel 1968, dopo la specializzazione in documentario fotografico presso il Programma full time dell’International Center of Photografy di Ney York, inizia la sua collaborazione con l’editore d’arte Skira, e pubblica con i prestigiosi magazine Abitare, Dwell, Domus, Io Donna, Courrier International, Huffington Post, Newsweek. Con il progetto OFF CHINA sullo sviluppo urbano delle città cinesi vince, nel 2007, la borsa di studio Pesaresi/contrasto. È coautore di SoleriTown, un libro sull’architettura utopica di Paolo Soleri Nel 2009 è stato selezionato nella mostra la Gioia al festival fotografico di Roma con “Waterfront”, una serie del progetto sulla città di Trieste. Nel 2010 è stato ad Haiti per un reportage fotografico sul terremoto e il suo progetto Route 106 sulla devastazione del paesaggio da parte degli edifici illegali nella regione Calabria è stato esposto alla Biennale di Architettura di Venezia nel 2010. Nel 2011 ha iniziato il suo progetto sul ghetto di Mathare a Nairobi e nel 2012 ha partecipato alla mostra “Sao Paulo Calling” nel museo d’arte di San Paolo. Il suo progetto su Nairobi fa parte della mostra MadeinSlum\Mathare Nairobi al Museo della Triennale di Milano nel 2013. Palladio e Jefferson è una lunga ricerca termica esposta a Montreal, in Canada, presso il Canadian Center for Architecture C.C.A. È membro dell’agenzia luzphoto, e docente presso la scuola di design Naba di Milano e nel master di fotografia presso la facoltà IUAV di Venezia.
Antonietta Saracino