Chi ci salverà? I barbari di Kavafis hanno occupato la piazza. Macerie e rovine sono lungo i nostri passi

Ormai siamo fagocitati dall’apparire e dal mostrarsi ciò che non si è. Un desiderio di dimostrare di esserci. Esserci sempre pur di non sentirsi esclusi. Non si tratta di una questione morale. Neppure etica. Neppure fenomenologica. È cercare di guardarsi dentro e dirsi: Chi sono realmente? Cosa voglio? Dove posso arrivare? Viviamo un tempo terribile. Un tempo pessimo direbbe Manlio Sgalambro. I barbari di Kavafis sono alle porte. Ma l’uomo senza qualità ha preso il sopravvento....

Pierfranco Bruni

Macerie e rovine sono tra i nostri passi e paesi. Il disamore prende il sopravvento. Ulisse è distante e Itaca è un labirinto tra le metafore della dissolvenza. Siamo eredi e non la sappiamo. Abbiamo una appartenenza e la nascondiamo. Cerchiamo una identità e viviamo da sradicamenti. Cosa potrà salvarci in questo mondo alla deriva?
Viviamo un tempo terribile. Un tempo pessimo direbbe Manlio Sgalambro. Cosa resta della civiltà della pazienza e del rispetto, ammesso che ci sia mai stato. Ma in questa ultima temperie la stagione dei lupi e delle iene ha preso il sopravvento.

Non si conosce cosa sia il rispetto. Non si conosce cosa sia l’eleganza. Non si sa più cosa sia l’amicizia. È inutile che si possa insistere che questa società è da porre sul lettino dello psicoanalista.
Per chi crede poco ai lettini, o per nulla, ai lettini delle confessioni e crede molto, invece, alla psichiatria farmacologica forse bisognerebbe tornare all’incipit della preistoria e delle comunità tribali per capire che terapia adottare in termini più veloci.
Siamo in un contesto della follia generalizzata e il meno folle è quello che si limita al sarcasmo sulla vita degli altri. Ormai siamo fagocitati dall’apparire e dal mostrarsi ciò che non si è.
Diamo le responsabilità sempre ad altri o a un desiderio di dimostrare di esserci. Esserci sempre pur di non sentirsi esclusi. L’esclusione la si legge come una solitudine coattiva. Senza rendersi conto che c’è un tempo per tutto.
L’Ecclesiaste è un viaggio non capito. Ma intorno a quel dire c’è la vera vita dell’uomo. Operiamo come se fossimo immortali. O come se dovessimo lasciare delle tracce visibili purchessia. Nel bene e nel male. Ma non sappiamo cosa c’è seriamente al di là del bene e al di là del male.
Non si tratta di una questione morale. Neppure etica. Neppure fenomenologica. È cercare di guardarsi dentro e dirsi: Chi sono realmente? Cosa voglio? Dove posso arrivare? Dove posso trovare la serenità? Invece no. L’odio trionfa. L’invidia è una abitatrice accanto o dentro. La gelosia è uno strumento di distruzione.
Nessuno che si chieda: Quali sono i miei limiti? Ovvero con le mie capacità dove posso arrivare, cosa posso fare, cosa mi piace di più, quali sono i miei interessi, cosa è la vera felicità e come posso non offendere nessuno… Un cassetto che nessuno ha il coraggio più di aprire perché tutti siamo convinti che anche senza una adeguata capacità possiamo ottenere ciò che altri si sono conquistati.

I barbari di Kavafis sono alle porte. Ma l’uomo senza qualità ha preso il sopravvento. Profezie di un tempo lontano. Di quando Orwell sapeva osservare nel suo di dentro, Musil scrutava il contemporaneo, Berto faceva arrivare su Saturno tutti i meridionali nel 2160 con la Speranza n. 5.
La Speranza. L’uomo dei nostri giorni quale Speranza rincorre? A quale si affida? Il potere annebbia. Anzi la corsa al potere paralizza tutto il resto. La politica respira tutto ciò, si nutre di pochezze umane trasformandole in problemi universali.

Il desiderio di cui si parlava si trasforma in un delirio, in cui tutto è possibile basta spingere l’acceleratore dei mezzi di comunicazione.
Una verità pessima. Ma siamo in un mondo pessimo dove l’unica consolazione è la misantropia, avrebbe detto ancora una volta il filosofo Sgalambro.
Ci trasciniamo fagotti inesistenti e tutto appunto è pessimo. Pessimo non ha nulla a che fare con il concetto di pessimismo. Il mondo greco è distante. Il mondo dell’intelligenza artificiale è vicino ma è ancora incomprensibile. L’uomo ha perso l’isola ma non è neppure in viaggio. Diamoci un senso. Come? Qui sta il punto. Forse penetrare la tradizione ancora oggi potrebbe parlarci. Forse! Restiamo appesi al forse.
Macerie e rovine sono lungo i nostri passi. Cosa ci salverà? Chi ci salverà? Restiamo appesi al forse ma i barbari di Kavafis hanno occupato già la piazza.

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Pierfranco Bruni è nato in Calabria.
Archeologo direttore del Ministero Beni Culturali, presidente del Centro Studi “ Francesco Grisi” e già componente della Commissione UNESCO per la diffusione della cultura italiana all’estero.
Nel 2024 Ospite d’onore per l’Italia per la poesia alla Fiera Internazionale di Francoforte e Rappresentante della cultura italiana alla Fiera del libro di Tunisi.
Incarichi in capo al  Ministero della Cultura

• presidente Commissione Capitale italiana città del Libro 2024;

• presidente Comitato Nazionale Celebrazioni centenario Manlio Sgalambro;

• segretario unico comunicazione del Comitato Nazionale Celebrazioni Eleonora Duse.
È inoltre presidente nazionale del progetto “Undulna Eleonora Duse”, presidente e coordinatore scientifico del progetto “Giacomo Casanova 300”.

Ha pubblicato libri di poesia, racconti e romanzi. Si è occupato di letteratura del Novecento con libri su Pavese, Pirandello, Alvaro, Grisi, D’Annunzio, Carlo Levi, Quasimodo, Ungaretti, Cardarelli, Gatto, Penna, Vittorini e la linea narrativa e poetica novecentesca che tratteggia le eredità omeriche e le dimensioni del sacro.
Ha scritto saggi sulle problematiche relative alla cultura poetica della Magna Grecia e, tra l’altro, un libro su Fabrizio De André e il Mediterraneo (“Il cantico del sognatore mediterraneo”, giunto alla terza edizione), nel quale campeggia un percorso sulle matrici letterarie dei cantautori italiani, ovvero sul rapporto tra linguaggio poetico e musica. Un tema che costituisce un modello di ricerca sul quale Bruni lavora da molti anni.

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