“Il passato calpestato”, antichi manufatti in argilla e ceramica in mostra a Misilmeri (Pa)

La mostra, al Palazzo della Cultura, resterà aperta fino al 28 novembre

MISILMERI, 31 ottobre 2021 – Un’interessante mostra che rievoca un lontano passato e lo ripropone alla fruizione dei più giovani, si sta svolgendo al Palazzo della CulturaGiusto Sucato” a Misilmeri, nell’hinterland palermitano, dal titolo “Il passato calpestato”.

La mostra riguarda gli oggetti di uso quotidiano, impiegati un tempo dai nostri bisnonni, molti anche tramandati fino ad oggi ma come bellissimi oggetti ornamentali, fatti di argilla lasciata asciugare e realizzati negli antichi stazzuni, “luoghi della lavorazione dell’argilla per la realizzazione di vasi e mattoni”, o le paste delle fabbriche palermitane del Duca di Sperlinga e del Barone di Malvica, passando per le fornaci di Burgio, Collesano, Naso, Palermo, Patti, Santo Stefano di Camastra, Caltagirone, Sciacca, Trapani.

“Il titolo della mostra – tiene a sottolineare Enrico Venturini, direttore della biblioteca comunale e membro del comitato scientifico della mostra – identifica non solo i “maruna”, che nei secoli sono stati calpestati, ma anche oggetti e arredi che sono scomparsi o che vanno scomparendo per la loro stessa natura facilmente deperibile. Bisogna dire grazie alla sensibilità di alcuni collezionisti se il comitato scientifico formato anche da Angela Costa, Gaetano Correnti, Stefano Corso, ha potuto raccogliere e mettere in esposizione alcuni esemplari di un patrimonio molto vasto”.

Questa mostra è un evento di grande valore culturale e per questo abbiamo il privilegio di sostenerla – afferma Giovanni Lo Franco, assessore alla Cultura –, sperando di poter proseguire con impegno concreto la via intrapresa. Ringraziando per la grande professionalità e l’entusiasmo i curatori di questa iniziativa, consegniamo alla nostra comunità un momento che resterà testimonianza di un amore costante per la storia, le tradizioni e i costumi del nostro territorio”.

Ma entriamo nello specifico della mostra che permette di vedere pezzi veramente pregiati e che richiamano a storie vissute. Con l’aiuto degli esperti ci facciamo spiegare le varie tecniche ma anche gli elementi:

TERZO FUOCO 1760-1825

«Si chiama “piccolo fuoco” o “fuoco a muffola” o “reverbero”, nella lavorazione delle maioliche, la cottura che non supera la temperatura di 600 gradi, in contrapposto al gran fuoco, che oscilla tra i 900 e i 950 gradi. Il piccolo fuoco serve per fissare i colori che, ad una temperatura più alta, sarebbero danneggiati. La maiolica, dopo la prima cottura, “biscottatura” e la seconda, “smaltatura”, viene passata a “piccolo fuoco”: da qui il nome di terzo fuoco. A Palermo, alla fine del XVIII sec., due erano le fabbriche: Sperlinga e Malvica. Il duca di Sperlinga e il barone Malvica impiantarono le loro manifatture nelle rispettive casene, a Malaspina e alla Rocca sotto Monreale, luoghi di villeggiatura, ma anche sedi dell’attività produttiva. Tutto ciò in sintonia con le tendenze della corte borbonica di Napoli, mai così vicina alla Sicilia, fino a risiedervi, a causa dei ben noti accadimenti storici».

I MARUNA

«Le prime piastrelle furono delle “piastre di terra battuta”, realizzate per essere un supporto su cui scrivere testi importanti. Su delle lastre di argilla cruda, gli incisori scrivevano leggi o direttive, frasi religiose o storie di re e guerrieri. Una volta cotte, queste prime piastrelle diventavano dei veri e propri testi di divulgazione, dei “libri”, estremamente durevoli. Da questi manufatti, inizia la storia che porterà ai moderni rivestimenti in ceramica, che troviamo nelle pareti e nei pavimenti di casa nostra. Un’innovazione interessante furono i cilindri realizzati in marmo: venivano passati, facendoli rotolare, sull’argilla bagnata per creare delle decorazioni che si ripetevano in continuazione. Un’ulteriore innovazione fu la smaltatura, ovvero la decorazione con “vernici vetrose”. Durante il dominio moresco, la piastrella in ceramica da rivestimento arriva in Spagna, vedi interno dell’Alhambra a Granada. Nel 1300 l’utilizzo degli Azulejos è diffuso anche in Portogallo. Partendo dall’isola di Mallorca, (maiolica) i manufatti arrivano in vari centri italiani. I ceramisti siciliani di Palermo, Burgio, Caltagirone, produrranno sino alla seconda metà del XIX sec. Mentre Sciacca, Naso, Trapani e Collesano fermeranno la produzione nel XVIII sec.».

CERAMICA SICILIANA

«In ogni maggior centro della Sicilia esisteva uno “Stazzuni”, fornito di tornio, dove venivano prodotti utensili per l’uso quotidiano: “bummuli, pignati, quartari, lucerne,” ma soprattutto “canali e maruna” solo di prima cottura. Le botteghe di produzione ceramica, in Sicilia, nei vari secoli, hanno avuto sede a Burgio, Collesano, Naso, Palermo, Patti, Trapani. I maggiori centri oggi sono: Santo Stefano di Camastra (ME), Caltagirone (CT) e Sciacca (AG) Pur essendo realizzate più o meno con lo stesso procedimento, le ceramiche differiscono, da un posto all’altro, per i disegni e i colori e rispetto alle maioliche del centro Italia si ispirano a un modello ispano arabo».

U STAZZUNI

«E’ il luogo della lavorazione dell’argilla per la realizzazione di vasi, mattoni e simili, e stazzunara sono gli artigiani addetti alla realizzazione dei manufatti di terracotta. Lu mastru stazzunaro è un vero maestro del tornio, che nell’uso sapiente di questo particolare strumento e nella scaltrita conoscenza delle tecniche di tornitura, esplicita un patrimonio culturale di maggiore spessore e complessità. I Stazzuna erano posti in relazione ai luoghi di estrazione della materia prima e alle fonti di approviggionamento dell’acqua e, in parte, alle vie di comunicazione che favorissero la commercializzazione. L’attività si svolgeva da aprile ad ottobre: il vasaio usa l’argilla così come la trova in natura e, dopo una depurazione sommaria, passa direttamente alla modellazione, oggi chia-mata “foggiatura a mano”, con l’ausilio delle sole mani senza alcuna attrezzatura, perché era sufficiente rendere concavo, attraverso la pressione delle mani, un pane di argilla, che era poi ulteriormente sagomato e rifinito. Da queste prime ed elementari tecniche, si passa a quella molto più precisa del tornio. A foggiatura finita, il vaso è posto ad essiccare, per fargli perdere l’acqua in eccesso. Si applicano successivamente eventuali rivestimenti e la decorazione».

Insomma una mostra che vale la pena vedere e che già in tanti, soprattutto giovani scolaresche hanno visitato per una sana immersione nel passato e nella storia.

La mostra sarà aperta al pubblico fino al 28 novembre. L’ingresso è gratuito e l’esposizione è visibile dal lunedì al venerdì dalle ore 9,00 alle ore 13,00, il martedì anche il pomeriggio dalle 15,00 alle 18,00, il sabato dalle 16,00 alle 19,00 e la domenica dalle 10,00 alle 13,00. (GPC)

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