Carulina ‘e Marechiaro, così nacque la leggenda della finestrella dell’amore

Ambientata alla fine dell'800, nel pittoresco borgo dei pescatori a Marechiaro. la storia narra la vita della bella e triste Carolina Anastasio, la ragazza che, senza saperlo e senza volerlo, ha contribuito a trasformare un piccolo villaggio di Posillipo, pressocché sconosciuto, in una meta turistica d'eccezione, oggi famosa in tutto il mondo. Peppe Manetti nel libro dimostra che Salvatore di Giacomo conosceva il borgo marinaro cantato dai suoi versi. "Scétate, Carulí, ca ll'aria è doce." della celeberrima canzone "Marechiare

Un libro di Peppe Manetti dimostra che Salvatore di Giacomo conosceva il borgo marinaro cantato dai suoi versi. La storia di una donna bella e tragica che continua a danzare sugli scogli di Partenope. Ci sono storie che abitano l’anima di un popolo. Battono il tempo di stagioni e amori, raccontano la bellezza della carne e il tempo di cicatrici che sono vene scavate nella roccia delle erranze. A Napoli siamo sognatori e marinai ma anche innamorati delle eresie che ci portano al largo della speranza. Uniamo le mani e le voci portano la terra della memoria con le note di una canzone.

Scétate, Carulí, ca ll’aria è doce”, scrive Salvatore Di Giacomo concludendo i versi della canzone “Marechiare” musicata da Francesco Paolo Tosti. Eppure dietro quelle parole che entrano nell’animo e l’immagine della fenestrella con il garofano si nasconde un mistero: la tradizione, infatti, vuole che Di Giacomo (per sua stessa ammissione) non conoscesse quella località prima della stesura di quelle sue rime e che tutta la vicenda narrata fosse esclusivo frutto della sua fantasia.
Di tutt’altro avviso Peppe Manetti, imparentato proprio alla Carolina evocata nella canzone. Per questo, dopo una prima pubblicazione, ecco Carulina ‘e Marechiaro e la curiosa storia della canzone «Marechiare» (Grimandi & C. Editori, euro 16, http://www.grimaldilibri.it),

contributo prezioso che ci restituisce la vera storia della canzone facendoci conoscere la vita della donna e documentandone persino l’immagine fotograficamente.Le pagine raccontano la bella e malinconica Carolina Anastasio, la ragazza che, senza saperlo e senza volerlo, ha contribuito a trasformare un piccolo villaggio di Posillipo, pressoché sconosciuto, in una meta turistica d’eccezione, oggi famosa in tutto il mondo. La storia è ambientata alla fine dell’800, nel borgo dei pescatori a Marechiaro.Giuseppe Manetti, nipote di Carmine Cotugno, marito della Carolina citata da Salvatore Di Giacomo, si è fatto carico di questa storia, indagando per anni e portando alla luce documenti inediti. Oltre alla forza del contributo originale, il libro – che si legge d’un fiato – è perciò una preziosa fonte di storia partenopea.Sembra quasi che questa storia sia uscita da una bottiglia verde raccolta sulla spiaggia. Se tutti credevano che Di Giacomo avesse composto i versi seduto a un tavolino del caffè Gambrinus, immaginando tutto, ecco che Manetti spariglia le carte e arriva a confutare quel Maestro che in due suoi articoli,  rispettivamente del 1896 e del 1910, testimonia di non essere mai stato a Marechiaro prima della canzone.La storia che grazie all’autore oggi conosciamo dice altro: Carolina era la prima moglie di Carmine Cotugno (nonno dello scrittore) che morì molto giovane e non ebbe figli. Di Giacomo, insieme ad altri poeti e musicisti, era un assiduo frequentatore della trattoria e scrisse proprio nella trattoria i versi della canzone, tanto da dire al nonno di Manetti: “Carmenié t’aggio fatto nu’ riale che sarà ricordato per sempre”.Ho vissuto insieme all’autore la saga delle famiglie, scoprendo i visi e le storie che abitano lo splendido spicchio di mare di Posillipo. Uno a uno, come le reti dei pescatori che tirano su vita dalle acque.

Fino a Carulina, personaggio gigante, donna vera, che vive con il sole in faccia. Una bellezza semplice e sanguigna, che continua a danzare sulla sabbia e le pietre di Marechiaro. Non una leggenda o un personaggio di fantasia ma una napoletana con una carne bella e tragica.Una donna che ha vissuto tra la Chiesa di Santa Maria del Faro, gli scogli bagnati di sole e i cortili che sanno di sale e di voci. Le curiosità di una bambina che diventano conchiglie, vento nel vento di una storia più grande che scava il tuffo giallo di Napoli, striato di dolori e di pazienza e dalla microstoria si fa archetipo, momento portante di altre avventure di pensiero e di destino. Perché nel Golfo di Partenope il pensiero nasce sempre con onde che ritornano a portare novità, mai uguali, sempre uniche. E infatti il tempo che getta i dadi e insegna sempre la vita fa scoprire a quella giovane donna che dietro la tenda logora non c’era un muro ma una finestra “che non avevo mai pensato di aprire”. Sul davanzale di quella “finestrella” che dà sul turchese e il verde del mare immenso di Napoli che riempie gli occhi e i polmoni. Quello stesso posto, anni prima, aveva fatto esclamare a Wolfgang Goethe, nel suo viaggio a Napoli: “Mai nella vita mi fu dato godere una così splendida visione”.Carolina abitava nella casa del borgo più vicino al mare, quattro rampe di scale che separavano la casa di pietra dalla marina. Il porto naturale dei pescatori, dove trovavano pace i gozzi usati per la pesca e le fatiche della notte. Il resto delle persone popolava la corte del palazzo di Francesco Maria Mazza, le case dei pescatori. Carolina è cresciuta nel vento, con la sapienza degli sciamani napoletani che sanno cogliere i segni dei tempi.

Lo faceva giocando davanti al tempio della fortuna, l’agorà del borgo. Da lì muoveva i passi per cuocere il pane nel forno, e il pane impasta la vita. E la vita porta gli occhi di un uomo, Carmine, che fa battere la vena del cuore. Quando lui ritornò, la ragazza dalla carnagione ambrata e gli occhi a mandorla non si rivelò subito, nascosta dietro il battente della finestra di casa sua che affacciava sull’osteria. Carmine trafficò con i barili pieni di vino ma poi lo sguardo corse intorno, a cercare, come si fa sempre a Napoli, rincorrendo la speranza di rivederla. Carolina insegue i suoi sogni ma la vita non le gonfia il grembo. E allora sotto la finestra scorre altro vino e anche amarezza, ma nelle vene si fanno largo nuove lotte perché a Napoli è sempre così. Perché come scriveva Giordano Bruno, “niente resta uguale dopo le maree”.Continuiamo oggi a sentire quella musica che incide pezzi di storie. Gli occhi negli occhi di Carolina e il sale delle pietre conservate per i giorni di pioggia.Si è fatto epoca. Siamo tornati a ballare anche noi, uscendo dal bianco e nero di una cartolina vecchia di tempo e di luoghi comuni, per prendere i colori e la verità di una storia senza tempo che ci fa ancora compagnia nelle sere di vento. Domani, pensando alla vera Carulina, torneremo a lanciare le nostre reti nel mare azzurro della vita.

“Scétate, Carulí, ca ll’aria è doce.” Salvatore Di Giacomo conclude così i versi della celeberrima canzone “Marechiare “. Il libro racconta la vita della bella e triste Carolina Anastasio, la ragazza che, senza saperlo e senza volerlo, ha contribuito a trasformare un piccolo villaggio di Posillipo, pressocché sconosciuto, in una meta turistica d’eccezione, oggi famosa in tutto il mondo. La storia è ambientata alla fine dell’800, nel pittoresco borgo dei pescatori a Marechiaro, quando ancora in quel luogo, ameno e solitario, si viveva in sintonia e in pace con la storia, la natura e il mare.

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