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Luis Sepúlveda: la forza militante della parola

“Non sono incline a perdermi nei vecchi dubbi che tormentarono gli antichi filosofi, se non quelli necessari ad avanzare sull’ unica strada che sento possibile: la strada della scrittura. Questa è la barricata a cui sono arrivato quando tutte erano state ormai spazzate via, quando già pensavo che non ci fosse più posto per la resistenza. Da Guimarães Rosa ho imparato che che raccontare è resistere, e su questa barricata della scrittura resisto agli assalti della mediocrità planetaria, la mostruosa proposta unica di esistenza e cultura che incombe sull’umanità alla svolta del millennio. Per questo scrivo, per la necessità di resistere davanti all’ impero dell’unidimensionalità, della negazione dei valori che hanno umanizzato la vita e che si chiamano  fraternità,  solidarietà, senso di giustizia. Scrivo perchè credo nella forza militante della parola.” Queste sono le parole eterne di Luis Sepúlveda a proposito del motivo che lo portava ad usare la parola scritta.  


Lo scrittore e attivista politico cileno, noto al pubblico italiano per molte opere, tra le quali spicca la “Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare”, ci ha lasciato il 16 aprile 2020, a causa del Covid-19. Il “cileno errante”, così definito da Piero Cacucci nel libro “Camminando. Incontri di un viandante”, era nato a Ovalle, una città a nord di Santiago, in Cile, il 4 ottobre 1949. Da ragazzo lesse romanzi di avventura di Cervantes, Salgari, Conrad, Melville e la sua vocazione letteraria si manifestò poco dopo e a scuola. Al liceo di Santiago del Cile iniziò a pubblicare poesie sul giornalino dell’istituto. Quindicenne si iscrisse alla Gioventù comunista cilena. A diciassette anni iniziò a lavorare come redattore del quotidiano “Clarín” e poi in radio. I suoi racconti e poesie divennero celebri durante le riunioni sindacali, gli scioperi e le manifestazioni. Nel 1969 vinse il Premio Casa de Las Américas con la raccolta di racconti “Crónicas de Pedro Nadie”. 
Poi giunsero gli anni della militanza totale. Il 4 settembre 1970 Salvador Allende venne eletto Presidente e la società cilena iniziò a rialzarsi. Nel 1973 Luis entrò a far parte della struttura militare del Partito socialista e divenne membro dei Gap, la guardia personale di Allende, ma l’11 settembre 1973 ci fu il colpo di stato militare di Augusto Pinochet. Venne instaurata la dittatura. Luis venne arrestato e torturato. Trascorse sette mesi in una cella piccolissima ove era impossibile stare in piedi o sdraiati. Anche la sua compagna, la poetessa cilena  Carmen Yáñez, sposata nel 1971, subì la sua stessa sorte e subì come lui indicibili torture. 
Sepulveda venne scarcerato solo grazie alle forti pressioni di Amnesty International che lanciò una serrata campagna per la sua liberazione. Dopo quasi tre anni di carcere, “con molti denti in meno e cinquanta chili di peso”, se ne andò a Valparaíso, ove riscoprì la sua passione per il teatro e si dedicò a rappresentazioni clandestine contro la dittatura. Avrebbe raccontato tutto nel suo libro “Storie Ribelli”. Erano tempi durissimi durante i quali in Cile vi furono tanti desaparecidos. Venne arrestato una seconda volta e la giunta militare lo processò ufficialmente condannandolo ad un’ergastolo che poi, su pressione di Amnesty International, fu commutata nella pena di otto anni d’esilio. Trascorse circa due anni e mezzo in carcere.  Il 17 luglio del 1977 gli fu permesso di lasciare il Cile. Rimase per poco tempo in Argentina, poi il Brasile e finalmente arrivò a Quito, nell’ Ecuador. Qui Sepúlveda entrò in contatto con una realtà che avrebbe influenzato molto la sua opera letteraria, oltre che di militante e difensore della natura. Partecipò, infatti, ad una spedizione dell’Unesco ed ebbe l’opportunità di vivere per sette mesi nella selva amazzonica con il popolo indigeno Shuar. “Durante tutto questo tempo” disse Sepúlveda “mi accettarono come uno di loro, la cosa straordinaria fu che mi accettarono proprio per questo, perchè ero diverso”. 


Daí ricordi di questa sua esperienza sarebbe nato il libro “Il vecchio che leggeva romanzi d’amore” che divenne il suo maggiore successo internazionale. Quindi si spostò in Nicaragua. Era l’inizio del 1979, e il Nicaragua viveva un periodo sanguinoso. Dopo le gravi perdite subite nell’offensiva di aprile, i sandinisti decisero di accettare nelle loro file alcune centinaia di esuli cileni che avevano chiesto di unirsi alla guerra di liberazione. “Entrai in Nicaragua nel maggio del 1979 e il 19 luglio entrai a Managua con le avanguardie sandiniste” ricordò Luis. 
Poi giunse in Europa, ad Amburgo. Due anni dopo divenne uno dei più noti corrispondenti della stampa tedesca sulle imprese di Greenpeace, attraversando i mari per quattro anni. Nel 1988 scrisse il libro che lo portò in vetta alle classifiche di mezza Europa: “Il vecchio che leggeva romanzi d’amore”, apparso per la prima volta in Spagna nel 1989, e in Italia nel 1993. E poi tanti altri ne seguirono: “La frontiera scomparsa”, “Patagonia express”, “Appunti dal sud del mondo”, “Desencuentros”, “Incontro d’amore in un paese in guerra” , “Diario de un killer sentimentale”, “Le rose di Atacama”, “Raccontare, resistere. Conversazioni con Bruno Arpaia”, “La locura de Pinochet y otros artículos”. Tra le sue importanti opere ricordiamo anche “Il mondo alla fine del mondo”, romanzo sullo scempio del pianeta in nome del profitto, ambientato in buona parte nella terra che più amava: la Patagonia. 
Latinoamericano coraggioso e coerente, ha scritto della sua gente, degli abitanti emarginati, dei mondi emarginati, delle utopie derise, dei compagni e compagne, di quel continente latinoamericano “desaparecido”. Il giornalista e scrittore Gianni Minà, grande esperto di America Latino, era un suo grande e sincero amico. Per ricordarlo ha scritto: “Ho voluto bene all’uomo, ma non posso fare a meno di piangere l’intellettuale che aveva partecipato alle lotte per il riscatto dell’America Latina con il coraggio e la forza che hanno solo i visionari. Lucho le battaglie non le aveva scansate, ma le aveva affrontate per davvero. Mi sento più solo, ma ho l’ingenua certezza che adesso lui è ritornato a fare la guardia del corpo al suo amato Presidente Allende”.