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Una monografia sul pittore Louis Christian Hess (Bolzano, 1895 – Schwaz, 1944)

Immagini: 1. copertina volume: 2. autoritratto dell'artista Louis Christian Hess 

 

Cristina Martinelli dedica un approfondito studio monografico all’opera artistica di Louis Christian Hess (Bolzano, 1895 – Schwaz, 1944), intitolato C.Hess e il suo spazio di libertà – Un’interpretazione (Ed. Esperidi, Monteroni di Lecce, 2019). Il pittore bolzanino, formatosi a Innsbruck e a Monaco di Baviera, oggi viene riconosciuto come il precursore, almeno in senso ideale, dello stesso Espressionismo siciliano, per i soggiorni e i nutrimenti avuti in Sicilia a partire almeno dal 1925  (primo viaggio), dove a Messina viveva la sorella Emma, sposata con un commerciante. Da allora la Sicilia, e Messina in particolare, sarà la sua meta abituale e costituirà una svolta anche per la sua pittura, come dice Carl Kraus (catalogo per la mostra di Schwaz e   Bolzano del 2008-2009, Ed, Athesia, BZ).  Tuttavia l’originalità della lettura che fa l’autrice della opera di Hess non è data da un’indagine condotta sotto il profilo pittorico ed estetico (per il quale non sarebbe neppure “titolata”: p. 96), ma da quella di “ricondurre un’espressione artistica al clima in cui era nata” e, “senza trascurare l’individualità biografica […] scrutare l’orizzonte in cui l’autore si era formato, nel rispetto dell’oggettività critica e dei linguaggi simbolici” (p. 96). Per questo l’indagine è particolarmente approfondita sotto il profilo storico e ""culturale e, in appendice, oltre alle note biografiche già redatte da Domenico Maria Ardizzone, contiene l’elenco dei libri e dei dischi di musica classica del pittore, rimasti a Messina. Ne vien fuori il ritratto di “un uomo libero, di una libertà capace di superare le servitù di una società imbarbarita dalle violenze del nazismo” (p. 97): “di fronte alla più feroce disumanizzazione della storia, Hess non perderà l’eleganza del linguaggio; non c’è violenza, nessuna bestemmia contro Dio o il destino” (p. 103).

   Martinelli parte dalla ‘fascinazione’ subita dal dipinto L’indovino  (1933) di Hess, che le “sembra il più rappresentativo di tutta la sua opera” (p. 103). Il dipinto è stato affiancato alla Vucciria di Guttuso (già Leonardo Sciascia, nel catalogo della prima mostra palermitana di Hess, nel 1974, riteneva non “senza significato che l’artista […]  si trovasse a dipingere, con leggero scarto di anni, le stesse cose che il giovane Guttuso vedrà e dipingerà […]: non allo stesso modo, ma le stesse cose”) perché, “come quest’ultimo, sarebbe un condensato di motivi siciliani” (p. 9). Martinelli avanza un’interpretazione più allusiva e simbolica. Nella figura dell’indovino vede lo stesso pittore, perché indossante la maglietta a righe bianche e rosse, oltre al basco, che erano la sua ‘divisa’ come appartenente al gruppo dei pittori di Monaco chiamati Juryfreie  (fuorigiuria). Costui posiziona la tromba di sbieco, come se dovesse usarla l’uccello che c’è nella gabbia e che, secondo quanto appare più chiaramente da due disegni a inchiostro e a lapis serviti da preparazione al   dipinto, è visto come un corvo (e non il tradizionale pappagallino), simbolo del nazismo hitleriano. L’artista-indovino ‘allontana’ pertanto la propaganda nazista dalla folla di destra e di sinistra, per riportarla alla sua umanità di fondo. Inoltre, essendo “il diavolo nel dettaglio” (dice l’autrice), sulla cassetta dell’indovino ci sono tre bandiere, che corrispondono a quelle del Tirolo (bianca e rossa), di Monaco e della Baviera (bianca e azzurra) e quella italiana,  a sottolineare la composita ‘identità’ territoriale dell’artista. Per il resto l’ambientazione è tipicamente siciliana, col mare sullo sfondo, i colombi sul tetto, il vecchio con la pipa di coccio, la sponda di un carretto tradizionale sul quale c’è un cesto di melanzane bianche (tipiche di Messina).

 

   Da quali tragiche esperienze venisse Hess lo scrive egli stesso alla sorella: nel marzo 1931, nell’àmbito della ‘guerra di pulizia’ delle SA (Camicie brune) nei confronti dell’entartete Kunst (arte degenerata), durante una conferenza, lui e il pittore Hartmann vengono buttati fuori dalla sala, ma altri due suoi colleghi vengono picchiati a sangue. Poi, il 6 giugno 1931, brucia in un incendio doloso il Galaspalast di Monaco con circa tremila opere, tra cui molti dipinti degli associati alla Juryfreie (e opere di Caspar David Friedrich e Felice Casorati). Hess, nell’incendio a cui assiste da lontano, perde molti lavori e, nel 1933, quando il nazismo vara anche il complesso delle leggi liberticide per avere il controllo totale su ogni cittadino, si trasferisce a Messina per restarvi fino al 1938, salvo un breve soggiorno a Lucerna nel 1934 con la moglie. D’altra parte anche l’associazione Juryfreie viene sciolta d’autorità, perché “bolscevica”. Così – afferma l’autrice – la Sicilia divenne per Hess esilio volontario, ma pur sempre un esilio”(p. 12).

 

   E’ molto proficuo lo scavo della personalità di Hess  che Martinelli compie attraverso l’analisi dei libri – quelli rimasti a Messina – posseduti dall’artista. Come per le opere di Nietzsche o per la Critica della ragion pura di Kant (firmata col suo nome e la data 1928), ""dalla quale deriva l’idea della responsabilità verso se stessi. In questa sede non si possono fare molte citazioni, ma è rilevante anche il possesso di molte opere di autori svizzeri, certamente derivato dal matrimonio con Cécile Faesy, insegnante di teologia e sorella dello storico della letteratura tedesca Robert. Anche se il matrimonio con Cécile non durò a lungo, forse perché nel suo vissuto risulta fondamentale il suo legame con Marya Janke-Neitzel (1891-1966) che durò per tutta la vita (in un soggiorno di costei a Messina, negli anni ’50, chi scrive queste note accompagnò la “zia Maria” e la Sig.ra Emma ad assistere a uno spettacolo serale di “opera dei pupi”, che veniva messa in scena quotidianamente dentro una baracca sul greto del torrente Giostra). Martinelli sottolinea le opere del realismo, soprattutto francese e russo, lette da Hess, ma poi aggiunge: “La grande lezione del realismo realista agli inizi del Novecento andava annegando nel Decadentismo e nel Simbolismo per le frustrazioni che aveva prodotto la sconfitta della fiducia nella ragione” (p. 51: si ricordi che anche Hess partecipò alla Grande Guerra sul fronte belga e nelle Fiandre, esperienza dalla quale rimase ‘vaccinato’ al punto che  scrisse alla sorella Emma che mai più avrebbe imbracciato un fucile, “tranne che non sia contro Hitler”).

 

  A volte tuttavia ci sono delle forzature, come quando nell’insegna di un’osteria (tipica degli anni ’30: “Si fa da mangiare – vini”) viene vista un’allusione alla scrittura retrogada di Leonardo (Aguglie sulla fruttiera, 1933), o in Donna nel bosco (1942) la figura femminile stante è vista come Persefone. Stranamente, poi, per l’Angelo (acquarello e foglia d’oro, 1942) è detto giustamente che si tratta di quello “vendicatore, sterminatore, che sta in mezzo alla Storia” (p. 84), ma non viene citato Walter Benjamin e il suo Angelus Novus (la tesi n° 9 di Filosofia della storia fa riferimento al quadro di Klee, nel quale l’Angelo “vede una sola catastrofe, e accumula senza tregua rovine su rovine e le rovescia ai suoi piedi”: cfr. Einaudi, TO, 1962, p. 80).

 

   Infine, il corredo delle opere riprodotte nel libro si riferisce più a quelle esistenti oggi a Roma, che a quelle rimaste a Messina, presso l’altra nipote del pittore, Antonia Starrentino Cinquegrani. Della nipote Luisa la monografia contiene un’appassionata postfazione, che sottolinea “l’accurata e attenta ricerca storica condotta in merito agli interessi letterari e musicali di Christian Hess”(p. 144).

 

    Com’è noto (almeno per coloro che conoscono la sua pittura), Hess si trovava a Innsbruck quando, avendo inalato le polveri provocate da un bombardamento il 20 ottobre 1944, fu ricoverato all’ospedale di Schwaz, dove morì il 26 novembre, a soli 48 anni.

 

CISTINA MARTINELLI, Christian Hess e il suo spazio di libertà – Un’interpretazione, Ed Esperidi, Monteroni di Lecce, 2019, € 17,00.