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Il destino sulle strade della Roma dei Papi. Nel nuovo romanzo di Barbara Frale amori e tormenti di Lorenzo il Magnifico

Confondere le idee al nemico è spesso l'unico modo per scampare al boia. “Hai sognato vipere: qualcuno a cui tiene corre un pericolo mortale”. Mentre la Roma del 1466 si perde nei fasti pagani del carnevale, la strega Bellezze rivela che qualcosa sta avvenendo e occorre leggerne i segni. Mandragora e stramonio, giusquiamo, cicuta e belladonna sono erbe che portano parole e profezie. Con il suo nuovo libro In nome dei Medici. Il romanzo di Lorenzo il Magnifico (Newton Compton Editori, pp. 381, euro 12), Barbara Frale, storica del Medioevo nota per le sue ricerche sui Templari, conduce il lettore in una Roma dove un giorno, chissà dove e chissà come, Lorenzo de’ Medici incrocia la strada della quindicenne Clarice Orsini, rossa di capelli, altera e bella. Arrivato nell’Urbe per sbrogliare l’intricata matassa di una concessione di miniera della Tolfa, Lorenzo de’ Medici si trova catapultato in una fitta trama di misteri.

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Una mano ostile ha infilato sotto la sua sella un antico pugnale dall’elsa d’argento, indecifrabile lo stemma. Chi vuole morto il rampollo della famiglia di banchieri del Papa? Tra porpore e zaffate di miseria, vicoli bui e palazzi nobili, si apre la caccia ai mandanti, tentando di non farsi bruciare dalle vampe risalenti dall’inferno. In mezzo ci sono soldi e onore, prebende e amori, notti di taverna alla Locanda della Vacca e gli occhi di una giovane donna, che trafiggono più dei suoi enigmi. L’allume della Tolfa cela un segreto di antiche pietre e anime che non si possono destare. “Scamperai alla morte se troverai una rosa. A cinque petali, simile a una stella”, dice la strega a Lorenzo. E’ lo stemma della potente famiglia Orsini. Intanto le manovre di Curia si fanno serrate e portano sempre ai metalli, a quell’oro in grado anche di soffiare al posto dello Spirito nella Sistina, scegliendo il successore di Pietro. Lo sa bene Francesco della Rovere, il “cardinal Pezzarculo”, ma lo sanno anche il Borgia, i Colonna e mille altre anime dannate di ambizione perché, come ricordava mons. Becchi, precettore di Lorenzo, citando le ‘Satire’ di Giovenale “omnia Romae cum pretio”, a Roma tutto ha un prezzo.

Clarice salva Lorenzo da un agguato, ma nel giovane fiorentino inietta un amore che deve fare i conti con le scale dei nobili e le distanze del sangue. Nello slargo tra le rovine illuminate dalla luna, signora dei giuramenti, dalla donna emana un miscuglio di fieno appena falciato e giacinto. Tra le sue antenate di Monterotondo pare ci fosse una strega volata dalla torre la notte prima del rogo: il Magnifico se ne innamora perdutamente. E’ un sentimento più forte di tutto, della missione che il padre gli aveva affidato e anche del grosso dado di pietra scura che in località Tularinto racconta di porte di un altro mondo. E’ “predestinazione” dice la donna che si accompagna a fedeli sgherri, ma non porta bene.

I pezzi sono sul tavolo di legno, bisogna saperli comporre. Sulle pietre di Roma o si sa come stare al mondo oppure si muore. Paolo II ratifica l’accordo con i Medici con la clausola oretenus, ovvero oraculo vive vocis. Ma i nemici invisibili di Lorenzo non mollano il ferro delle vendette. L’unico consiglio valido per Lorenzo è imbarcarsi in questa guerra a occhi aperti, cercando di sfuggire al destino. Mazzola, scannamento e squarto erano il supplizio che andava per la maggiore, in quegli anni. Occorre riflettere ma anche cogliere le occasioni. Le porte dei Sacri Palazzi devono aprirsi con le chiavi giuste. Ma ricordando Tito Livio, periculum in mora, il ritardo porta sempre rischi.

C’è una porta nera che aspetta. Le fiaccole si accendono a centinaia per le strade di Roma, la consumata puttana di ogni potere e porpora. Il sibilo delle catene sferza il lastricato della strada, “mille piedi nudi di penitenti incatenati ai propri peccati, piegati sotto il peso di una croce, il volto nascosto dal cappuccio della confraternita, procedevano muti e assorti fino alla basilica di Santa Cecilia in Trastevere”. Lorenzo legge la sua fine sul volto di una monaca ma non era ancora giunto il tempo di dare l’anima. Doveva parlare con una ragazzina, Vibia, e scoprire dalle sue parole il senso di Talar hintu, il confine delle ombre.

I rapaci non volano quando piove. Il cardinal Borgia, che conosce i fumi e gli odori della vita, spiega a Lorenzo: “Occorre combattere le battaglie che si possono vincere. La tua, probabilmente, era già persa in partenza”. Un prestadenari non può avere una femmina degli Orsini. Piero de’Medici lo sa, ma il figlio deve passarci. La pelle della salamandra resta indenne alle fiamme alte. Restano mille pensieri, spine avvelenate conficcate nella coscienza “dove si annida la sostanza di chi siamo”.

Amor atrox ferox labor. Un altro enigma in un indovinello. Farà compagnia alla lettera di una monaca, che porta altra nebbia. L’undicesimo demone si chiama Katanikotael, sparge lotte e discordie tra le case. Lorenzo sa che il diavolo non si fa servo se non per diventare padrone. Giuliano de’ Medici non crede alle profezie. Sta per lanciare una corona di fiori a una Venere di strada. Forse sarà la sua fine, intrecciata al destino del fratello, il Magnifico che dalla vita ha tutto tranne la donna che ama. Serve coraggio per cambiare un destino.