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Occhio a Titivillus, il diavolo che raccoglie tutti i refusi nel sacco

Il diavolo, si sa, mette il suo zampone di porco pure su pergamene e lettere. Con sulfurea, implacabile precisione, Fragmina verborum, Titivillus colligit horum. Sicque die, mille vicibus se sarcinat ille (Titivillus raccoglie i frammenti delle parole (omessi nella Liturgia delle Ore). E così, mille volte al giorno, riempie il suo sacco). Ce ne racconta la storia un gustoso, erudito, imperdibile pamphlet intitolato Titivillus. Il demone dei refusi, di cui è autore Julio Ignacio González Montañés (traduttore Roberto Russo, Graphe.it edizioni, pp. 68, €6,00). Il viaggio alla scoperta del maligno che distrae monaci e copiatori e mette nel suo sacco di iuta pure le chiacchiere delle bigotte in chiesa, parte sul finire del secolo XII, quando nella letteratura medioevale europea, soprattutto nell’omiletica, compare un diavoletto dispettoso – al principio senza nome ma conosciuto come Titivillus da Guglielmo d’Alvernia, la cui funzione è quella di annotare su una pergamena le sillabe e le parole omesse dai chierici durante la messa, le recita delle Ore e nel canto liturgico, per poi presentarle a Dio come prova incriminante nei loro confronti nel giorno del giudizio.""

Ben presto Titivillus si allarga, e pesca nella creta narrativa di ogni refuso utile, avendo cura di annotare le parole inutili (ociosa verba et valiloquia) dei fedeli in chiesa e soprattutto delle donne. E così a finire sul ‘registro’ sarebbero ad esempio (almeno fino a qualche anno fa), alcune storpiature durante le funzioni. Ricordiamo, ad un certo punto della messa, un canto che da ‘Nelle acque tue tranquille ci fai riposare…” diventava per bocca di arzille vecchiette distratte e un po’ pettegole una variante che non sarebbe sfuggita all’unghia di Titivillus, trasformandosi in: “Nelle acque delle anguille ci fai riposare…”. Questi errori, del resto, erano frequenti nel caso delle ‘messe secche’, ovvero le celebrazioni pagate per il suffragio dei defunti, ma spesso abbreviate (appezzottate, direbbe la sapienza partenopea) o recitate velocemente con conseguenti omissioni.

E se è sempre meglio il diavolo che si conosce, in realtà anche l’etimologia di Titivillus è incerta: potrebbe provenire dal latino e voler dire minuzia o inezia (minuzzaria avrebbe detto Giordano Bruno) oppure dal verbo sassone tutil che significa suonare il corno. Più spesso indica il demonio cavilloso che si carica in spalla rotoli di pergamena che i suoi accoliti collocano sulla bilancia del Giudizio, nel piatto dei peccati. San Michele, quando avesse pesato le anime di quegli scribi negligenti, li avrebbe posti tra gli iniqui.

Le immagini bizantine dovettero influenzare l’iconografia del nostro simpatico diavoletto anche in Italia. Risulta rivelatore il fatto che nel Giudizio universale romanico-bizantino di Torcello (Venezia), dove c’è un ponte che secondo la tradizione sarebbe stato costruito proprio dal diavolo in una sola notte, i demoni cercano di inclinare la bilancia dell’Arcangelo Michele gettandovi dei peccati rinchiusi all’interno di grandi sacchi.

Altre volte, grazie all’aiuto di collaboratori, distrae i monaci oratori o confonde gli scrivani e i copisti o addirittura ruba l’attrezzatura necessaria alla scrittura o fa cadere l’inchiostro. Da qui a diventare “il patrono degli stampatori” il passo è relativamente breve. Resta, questo diavoletto notarile, nella storia delle lettere e dell’arte. Raffigurato come demone che scrive i peccati, come nel capitello della porta del Paradiso, nella chiesa abbaziale di Santa Maria Laach (Renania, 1215 circa). Quella pergamena di mancanze, che il cornuto angelo ribelle cerca di allargare stirandola con la lingua, darà luogo in seguito alla scena comica del diavolo che sbatte la testa per terra o inchioda le corna contro una parete, per aver provocato la rottura della pergamena avendola troppo tirata, come si racconterà nell’exemplum di Jacques de Vitry.

Il demone dei refusi avrà lunga vita, se anche Sant’Agostino, raffigurato mentre scrive le sue opere, vedrà una piccola testa di demone o di drago che morde il suo leggio. Chissà se dopo la lettura di questo delizioso libretto, memori di un beffardo compilatore di colpe che sta ad osservarci, staremo più attenti a scrivere (e forse a pregare), prima di stanare e rincorrere il demone grammatico-scrittore, dandogli anche la colpa dei nostri errori.