‘Primule fuori stagione’, Luciana Pennino si racconta

Luciana Pennino, trasferisce nel suo romanzo delicato, pungente, dolceamaro ed energizzante come una “tazzulella” di caffè… il suo essere orgogliosamente partenopea

La scrittrice napoletana Luciana Pennino.  Photo credits Giancarlo De Luca

 

Come quasi tutte le opere prime (le “primule”, in un certo senso), anche questa ha una fragranza autobiografica, ed è un romanzo coloratissimo, che declina nella Napoli dei giorni nostri le vicende di una quarantaseienne trovatasi disoccupata tra capo e collo. Ma niente affatto intenzionata a rassegnarsi o a piangersi addosso. Questo è Primule fuori stagione, di Luciana Pennino per Iuppiter Edizioni. Un’autrice non certo nuova alle esperienze creative (affida alla penna ciò che è passato per la manualità: la fattura di bellissimi gioielli in resina e materiali riciclati). Una laurea in Scienze Politiche, una cultura orgogliosamente partenopea e una eleganza fuori dal comune, Luciana Pennino ci racconta qualcosa di un romanzo che sta conquistando pubblico e critica.

 

Delicato, pungente, dolceamaro ed energizzante come una “tazzulella” di caffè… Quanto sarebbe stato diverso, Primule fuori stagione, se Luciana Pennino non fosse stata napoletana?

“Ah, saperlo…”, come ripeteva tanti anni fa Riccardo Pazzaglia (e questo connota la mia età!). Quello che so è che sicuramente io incarno alcune caratteristiche riconosciute all’animo partenopeo, anche se eviterei di cadere in un topos etnico… Comunque davvero la capacità di prendermi in giro, e di esorcizzare con battute di spirito anche situazioni drammatiche, conferisce a me, e alla scrittura di questo mio primo romanzo, proprio quel senso di levità e di effervescenza che gli è stato riconosciuto, mi sembra, in modo unanime.

 

L’ultimo incontro col pubblico, a Matera, splendida città dei sassi. Tu hai esordito con questo romanzo e si tratta delle tue prime (numerose) immersioni dal vivo tra i lettori. Cosa ti lasciano queste esperienze?

Mi ci approccio sempre con curiosità: l’atmosfera che si creerà, ciò che mi restituirà il relatore, l’attenzione che desterò nel pubblico… insomma, una bella dose di emozioni, che non escludono anche tanta energia preventivamente spesa per la migliore organizzazione di ciascuno di questi eventi. A Matera, visto che ne hai fatto riferimento, la presentazione è stata particolarmente qualificata dal patrocinio, non solo formale, della sezione locale della Società Filosofica Italiana, e le relatrici mi hanno donato un’analisi così meticolosa e approfondita delle pagine del mio libro, che ne sono rimasta assai felicemente toccata.

 

Protagonista senza nome, capelli corti, forse tua coetanea all’epoca in cui scrivevi le prime pagine. Un alter-ego parziale, però… In cosa ti senti diversa da quell’irresistibile io narrante del romanzo, che molto evidentemente ti somiglia?

In realtà sono poco diversa… La protagonista una volta prova invidia, e questo è un sentire che non mi appartiene; cammina contando i passi, e io, a tale follia, per ora, ancora non ci sono arrivata; dialoga in modo surreale col portiere del suo condominio, e questo, purtroppo, non fa parte del mio quotidiano. Insomma, al di là di poche differenze, ed eccetto tante parti della storia che non hanno a che fare con il mio vissuto reale, ciò che mi rende speculare alla protagonista sono le suggestioni che abbiamo entrambe provato in alcuni momenti aggrovigliati della nostra esistenza, l’essere Arabe Fenici, la pervicacia nel perseguire ciò in cui crediamo, e soprattutto il non prenderci troppo sul serio, perché entrambe crediamo che una risata… ci resusciterà!

 

Provieni già da una storia personale in cui la creatività ha avuto un ruolo fondante. Mi racconti com’è nata la voglia di scrivere? Dal bisogno di sfogarmi!

L’esperienza personale dell’improvvisa perdita del lavoro, divenuta storia portante del romanzo ed evento critico nella vita della protagonista, mi provocò l’irrefrenabile esigenza di tirar fuori tutta la rabbia, l’inquietudine, l’impotenza che provavo, e mi fu naturale farlo attraverso la scrittura. Scrivere ebbe su di me un enorme potere terapeutico: per qualche momento ma quotidianamente, mi dava modo di staccarmi dal mondo, distraendo la mia attenzione dagli affanni, e mi permetteva di analizzare in modo più lucido il da farsi, perché prendevo una sana distanza dalla realtà. Poi, man mano, iniziai a usare sempre di più la fantasia, dandole vita nelle parole, nelle pagine, nei capitoli che andavano a ingrassare il file di quello che non pensavo minimamente sarebbe diventato un libro stampato… e, sinceramente, incominciai anche a divertirmi.

 

Mica ci lascerai a bocca asciutta nei prossimi anni… Hai già intenzione di dedicarti a nuova narrativa?

Per molti potrebbe essere una minaccia… ebbene sì, ho voglia di scrivere ancora, con la consapevolezza che le seconde opere siano più difficili delle prime e che vengano “attese al varco”. Ma il desiderio di raccontare storie, un po’ meno mie e molto più di fantasia o rubate al mondo, è tale che supererò “l’ansia da prestazione”!

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