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Pensieri bacchici. Vino tra filosofia, letteratura, arte e politica

Il vino è metafora meravigliosa e antichissima. Una storia di grandi epopee e immani tragedie; è storia di fantastiche esperienze immaginative e di grandi speculazioni; la storia dell’umanità intera, concentrata ‘magicamente’ in un solo bicchiere capace di contenere, nel proprio minuscolo spazio concavo, l’infinito tutto intero. Già, perché il vino si concede a tutti senza essere mai infedele a nessuno. Non promette nulla invano; salva perché non garantisce paradisi a buon mercato. Ma costringe ognuno a prendere le misure. Sì, il vino non mente mai. Il suo demone è eros. Quello vero, immortalato da Platone nel Simposio. Sorretto dalla fragranza amorevole della vite, giunto al suo quarto libro sul vino, Massimo Donà allunga il campo. Lo fa da raffinato filosofo, oltre che da scrittore sotto al quale traspare, come una stuzzicante filigrana, l'immagine del colto bevitore. Il professore di Filosofia Teoretica presso l’Università San Raffaele di Milano firma 'Pensieri bacchici. Vino tra filosofia, letteratura, arte e politica' (il 'torchio' è quello delle edizioni Saletta dell'Uva, Caserta, pp. 144, euro 12), muovendosi lungo una serie di felici meticciati e contaminazioni con territori ad alta rilevanza simbolica, che vanno dalla poesia alla politica. Se al francese Michel Onfray interessano soprattutto gli aspetti di impatto destabilizzante della bevanda, Donà indaga invece il senso profondo del vino nella sua dionisiaca capacità di far coesistere la ragione contemplativa e la liberazione (Bacco era anche chiamato Libero) che accompagna l'ebbrezza. Nel vino coesistono l'anima luminosa e l'anima oscura di chi si accosta alla bevanda. L'immagine sarebbe piaciuta a un esoterico che vi avrebbe visto il potente Arcano XV degli antichi tarocchi, il Diavolo che, allo stesso tempo, "solvit et coagulat", virtù del vino che, non per caso, Roland Barthes esplora per la sua capacità di far emergere il rovescio cognitivo delle cose.

È parte del fascino del volume anche il rapporto dell'autore nei confronti di coloro che il vino lo producono. Guido Ceronetti aveva catalogato borgesianamente la fenomenologia di un vino nella immaginifica narrazione di Luigi Veronelli, autentico Gadda della narrazione enoica come esempio singolare di stile applicato a un soggetto non scientifico.Viviamo in tempi in cui si prende tutto troppo sul serio, sostituendo i simulacri della conoscenza con la conoscenza profonda. Nell'infinito rumore di fondo di chiacchiere sul vino, i pensieri bacchici aprono un orizzonte di profondità nel divertimento. Basterebbero, da sole, le sue parole sul Prosecco o la sua magnifica chiusa con la fenomenologia dello spriz. Scrive Donà: "Dovremmo tutti provare a fare seriamente i conti con la nostra intima contraddittorietà, magari in compagnia di un buon bicchiere di vino".