CERCANDO UNA COMMOZIONE

Se Natale deve essere festeggiato…, rileggo Presèpiu, poesia di Giuseppe Greco

            Per rispondere all’imperativo di Jacques Prévert, «Noël, qu’il faut fêter», anche in questo orribile 2016, devo riandare mentalmente a momenti più felici, a immagini artistiche del Natale che possano restituirmi la voglia di festeggiarlo. E riemerge anche Presèpiu del mio conterraneo Giuseppe Greco, una esibizione poetica dell’iconografia del presepio napoletano, che ha legato l’immaginario della nostra infanzia con la comprensione adulta del senso della vita.

            Giuseppe Greco, salentino di Parabita, compone poesie nel suo dialetto (1) che gli consente di rievocare con ogni singola parola millenni di storia e cultura, che poi è quella dell’intera area mediterranea. «In ogni attività creativa, colui che crea si fonde con la propria materia, che rappresenta il mondo che lo circonda»; così, lo psicoanalista e sociologo tedesco Erich Fromm e, naturalmente, il mondo che ci circonda comprende anche la lingua che ci è più familiare, spesso il dialetto. E dunque, il dialetto ci riporta a casa, ci riconnette con il sacro.

            Scenografo, docente, pittore, Greco condensa nel verso i suoi saperi, o meglio, le sue sensibilità: dipinge poetando. Sì, Greco poeta molto ha copiato dal Greco pittore, gli ha preso la tavolozza, trasformando i colori in versi, con i quali pennellare immagini apparentemente ingenue, magari ripetute, per costruire una sorta di lanterna magica che le proietta nella stanza buia dell’animo tramite la luce della parola spontaneamente densa e colorata, rapendoci così nella sua magia. Lo sa bene un pittore; sa quanto la luce sia artefice del reale e della creazione artistica: la luce è segno della divinità, amore del Creatore e della creazione, concetto espresso da Goëthe ne I dolori del giovane Werther con lo stesso paragone della lanterna magica: «Wilhelm, cosa è mai per il nostro cuore il mondo senza l'amore? È come una lanterna magica senza luce! Ma appena tu vi introduci la lampada, le più belle immagini compaiono sulla parete bianca…».

            Greco ama tanto la poesia, da trascurare la sua naturale predisposizione per il disegno. Infatti, nei suoi lavori colpisce la forza plastica che traspare anche da un suo casuale tratto a matita, la straordinaria capacità di ottenere il massimo d’intensità con pochi segni. Avviene lo stesso nella sua poesia che ci presenta piccoli quadri dal sapore delicato, un effimero che lascia una sorta di dolcezza: dal reale, dalle piccole cose quotidiane, alle atmosfere oniriche. È lo stupore mai mutato, quello dell’infanzia, «L’incanto dell’incanto dell’infanzia […] un teatro di apparizioni improvvise» come ha scritto di lui Donato Valli nella prefazione a Traini te meravije, raccolta del 2008.

            In Presèpiu si riconoscono tutti gli stilemi della poetica di Greco, innanzitutto il Salento con i ritmi più sedimentati della vita dei suoi paesi, la sua cultura che non accetta salti spericolati, neppure in questi tempi vorticosi. Da un animo semplice, predisposto alla gioia, ci viene l’invito a sognare e riflettere. Già nel 2009 Greco con tre soli versi, incardinati intorno ad una sinestesia, ci richiamava al senso della trascendenza, alla promessa del Natale per chiunque riesca a “sentire la luce”, di ritrovarsi presi per mano nelle asperità del cammino

Quannu se ‘ntise ‘na luce te luntanu

Lu celu cu lla terra se mmiscau e

Dd’ognetunu se cchiau manu cu manu

            Ecco, davanti al presepio allestito in versi, Greco ci tiene religiosamente silenziosi e assorti attraverso immagini visive, un quadro che ci introduce in un sentimento che abbiamo già conosciuto, che è desiderio di gioia, spensieratezza, armonie antiche e consolidate. Ci fa tornare a quando si trepidava per ottenere di andare in campagna a cercare la mortella, il muschio, i cipollacci, i rami di pino, con cui ricreare il paesaggio della Natività, in verità più salentino che palestinese. Poi suggestioni uditive e olfattive fino a ringiovanirci il cuore, fino alla lallazione di quel “bbabbati”, l’identificazione con i pupi, un’inattesa commozione e il prorompere del canto.   

        

(1) Secondo la "Carta dei dialetti d'Italia" di Pellegrini, i “Dialetti meridionali estremi”, comprendono le parlate della Puglia meridionale e del Salento (provincia di Lecce), divise dagli altri dialetti pugliesi da una linea immaginaria che va da Taranto a Ostuni; include inoltre la Calabria centro-meridionale e la Sicilia. Si tratta di un gruppo linguistico caratterizzato da identici esiti dal latino, non tutti dovuti alla presenza romana in queste zone, ma molto si deve all'influsso del greco bizantino. Cfr. F. AVOLIO, Bommèspre. Profilo linguistico dell’Italia centro-meridionale, Gerni Editore, San Severo 1995.

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