Un avverso destino per la tomba e la residenza estiva di Luchino Visconti

di Errico Centofanti

Immagine:Luchino Visconti con la sorella Uberta. 

 

Un notiziario, tra due o tre secoli, questo potrebbe annunciare: «Clamoroso! Scoperta la tomba di Luchino Visconti, il grande maestro del cinema. Il ritrovamento è avvenuto nell'isola d'Ischia, nel corso dei lavori di scavo per l'ampliamento di un lussuoso resort turistico. Il maestro Visconti, che fu anche autore di memorabili regie teatrali, era nato a Milano il 2 Novembre 1906 e morto a Roma il 17 Marzo 1976».
Quell'annuncio potrebbe essere la logica prosecuzione di queste altre notizie, che invece sono apparse realmente nel 2016, anno segnato dal n. 110 quanto al venire al mondo di Visconti e dal n. 40 per il suo "finale di partita": «Finiscono in Tribunale bilanci e conti in rosso della disciolta Fondazione Luchino Visconti. La massa debitoria finora accertata si aggira intorno al mezzo milione di euro. "La Colombaia", la villa immersa nel verde del bosco di Zaro, dove riposano le ceneri del grande regista, per l'ennesima stagione è destinata a non poter riaprire i battenti. Il Comune di Forío, proprietario dell'immobile, non ha i fondi per ristrutturarla e garantirne l'apertura».

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La Gloria
L'avevo appena scoperta e già svaniva! La Colombaia, intendo! La denominazione precede l'acquisizione da parte di Lui, che se n'era assicurata la proprietà, non senza faticosi maneggi e a prezzo di tantissimi denari, tra fine anni Cinquanta e inizio dei Sessanta.
L'edificio è francamente insignificante: un'architettura finto-gotica come andò di moda nel declinante Ottocento. Una sagoma tozza e spigolosa, dipinta di bianco con sottili finiture d'azzurro, fittamente traforata in tutte le facciate da finestre, arcate e porte-finestre a sesto acuto che probabilmente ne hanno a suo tempo generato la denominatoria assonanza visiva con le strutture campagnole deputate all'ospitalità dei piccioni, viaggiatori o meno che siano.

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Il contesto, però, che ovviamente fu di Visconti l'irresistibile seduttore, è da urlo: il candido cuboide, con il suo bravo corredo di torrione merlato nonché di variegate pertinenze, sboccia – ma senza tracotanza – da un grandioso bosco integrato nella proprietà. Il gran manto verde veste l'ancestrale colata lavica diventata una delle colline pedemontane tra Forío e Lacco Ameno, sul bordo di quel mare che fu scenografia per tante emozioni dell'Odissea e dell'Eneide. Intorno, non c'è veduta d'altro se non d'innumerevoli sfumature del verde esibito dalle chiome arboree e poi di variazioni cromatiche a perdita d'occhio fatte dell'azzurro d'acqua e cielo con tenui accenni di spuma e nuvole.
Lui, che di dovizie finanziarie ridondava non meno che di raffinata sapienza, assoldò artigiani napoletani e, in tutta Europa, mercanti d'arte, mobilieri, tappezzieri e antiquari per ritoccare strutturalmente quel villettone piuttosto indolente e per vestirlo in modo da farne una sorta d'invenzione onirica della piú elegante e sensuale Shéhérazade che avessse abitato il Novecento europeo d'ante-Grande-Guerra.
Volle tutto il meglio che Liberty, Art Nouveau, Jugendstil e Sezession gli potessero assicurare. Tutti pezzi autentici: armadi, cassettoni, vetrine, letti, trumeaux, consolles, étagères, cornici, specchi, quadri, statue, arazzi, argenti, bronzi, tabacchiere, astucci, scatoline, piatti, calici, vassoi, guantiere, posacenere, bruciaprofumi, lampade, cristallerie, maioliche, pizzi, tappezzerie, tendaggi, tappeti. Qualche Klimt, qualche Matisse, una strabiliante collezione di vasi Liberty. Inoltre, porte, invetriature policrome, arredi da giardino e perfino pavimenti allestiti con ceramiche appositamente create o recuperate da antiche ville napoletane in demolizione. Insomma, un fantastico museo vivente della Belle Époque. Tutti gli ambienti, anche quelli minori, pensati e acconciati ciascuno come una vera e propria Wunderkammer. Un patrimonio di bellezza. Un deposito sapienziale. Uno sproposito, quanto a valore venale.

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La Rovina
Già, il valore venale: attrazione fatale! La meravigliosa creazione, ormai Lui passato nell'eternità, decadde a caveau da razziare, a preda da spolpare! Lui non fece in tempo a pensarci o Lui non teneva nelle proprie corde il doverci pensare o ci fu chi le carte testanti le ha fatte svanire. Sta di fatto che La Colombaia e il suo contenuto restarono senza numi tutelari. Nel corso degli anni, prima i parenti e poi ladri d'alto e basso rango hanno asportato tutto: ogni cosa mobile in primo luogo e, successivamente, dalle vetrate policrome agli infissi. Perfino i pavimenti, tutti!
Quando restò solo quel che asportabile non era – le murature, gli alberi, il terreno – allora la proprietà gli eredi se la vendono. Però c'è di mezzo Franco Iacono, un socialista all'antica, nato a pochi passi da lí, che La Colombaia la mette al centro del proprio impegno creativo e di contrasto a speculatori e ignavi d'ogni risma. Nell'arco d'una dozzina d'anni, da Sindaco, poi da Assessore regionale e infine come membro del Parlamento Europeo, diventa il motore determinante per la salvezza della Colombaia.
Nell'89, il Comune di Forío approva il progetto per fare della villa e del parco annesso la sede di una scuola internazionale dello spettacolo e si procura il necessario finanziamento. Gli eredi entrano in fibrillazione: correre il rischio del magro profitto derivante da un esproprio? Meglio vendere, e vendere bene! Si può fare come s'è fatto per Villa Erba, la residenza della famiglia materna sul Lago di Como, dove Lui bambino e ragazzo aveva speso ogni estate, venduta per diventare un grand hotel con annesse avveniristiche strutture congressuali e espositive. C'è una società che della Colombaia vuol fare un albergo di lusso, ha soci e protezioni d'altissimo profilo e paga tanto e subito: a Settembre del '91 l'affare è concluso. Forte del vincolo ottenuto dal Ministero dei Beni Culturali, il Comune, nel '92, procede all'occupazione quale atto preliminare all'esproprio. La nuova proprietà avvia una lite giudiziaria e nel '97 incassa la vittoria decretata dal Consiglio di Stato. Allora, il Comune si propone come nuovo acquirente. C'è il "vincolo", che vanifica ogni velleità di trasformazione in albergo di lusso, ma i nuovi proprietari della Colombaia sono potenti e cedono solo allorché s'arriva a concordare il prezzo di 4 miliardi di lire. Dopo di che, i lavori indispensabili per rendere visitabile La Colombaia, della quale, però, si riesce a fare semplicemente una galleria fotografica dedicata alla creatività viscontiana: inaugurazione nel 2001 e poi un susseguirsi di lunghe chiusure e brevi riaperture.

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La Visita
Cosí, vengo a sapere che Lui era un assiduo frequentatore dell'isola fin dai tardi anni Quaranta, che a Ischia Lui aveva messo su casa e che quella casa, adesso, era aperta per chiunque volesse visitarla. Si va. Però, stando a quel che ci si trova davanti, della Colombaia da Lui reinventata resta soltanto lo scheletro: si precipita in una disillusione feroce, sebbene resti vivente e incancellabile la vibrazione intellettuale che dentro quegli spazi ha animato procedimenti creativi ormai per sempre incardinati nel patrimonio dell'umanità.
Appurare vagamente com'era e piú non è, La Colombaia, già di per sé è doloroso. Ma, diventa straziante il trovarsene tra le mani qualche tangibile raffigurazione, quand'anche non esaustiva rispetto a tutti i possibili dettagli. In effetti, la memoria di quanto fu viene salvata da un album che di quei perduti ambienti propone un po' di splendide riproduzioni fotografiche: un volume del 1998 di un editore giapponese, con i testi tutti stampati a forza di impenetrabili ideogrammi del Sol Levante. Un'unica copia giace, piuttosto sfiancata, su un tavolinetto nella sala bar.
C'è un bar, infatti, al piano primo. Buono il caffè. Al piano terra: una batteria di servizi igienici e una saletta dove gira in continuo un video ben pensato e ben fatto. Ai piani superiori e ovunque: foto, magnifiche, che di Lui raccontano vita e opere. Ma, è tutto qui, asettico e algido. E funebre, nonostante l'abbagliante bianchezza di soffitti e pareti e nonostante il sovrano fulgore che prorompe da tutte le finestrature. Il salvataggio della struttura e la sua destinazione a "Museo Visconti" sono da accreditare alla Municipalità di Forío, che l'ha recuperata dal degrado e l'ha funzionalizzata. Però, menti e progettualità locali non sono sufficienti: salvare l'immobile dal disfacimento va bene: onore al merito! Tuttavia, come s'è potuto concepire che, per rimpiazzare le pavimentazioni rubate, si potesse far ricorso a piastrelloni in finto cotto fiorentino e a modanature in pietra serena? E le porte in compensato tamburato? E i serramenti in finto-bronzo finto-rinascimento? E i cartelli e gli indicatori direzionali manoscritti a pennarello su squinternate paline? Etc. Etc. Insomma, una minuziosa rappresentazione dell'Italia che non sa capire se stessa, che a qualsiasi livello non sa mettere a governare gente competente, efficiente, veneratrice della storia e dell'arte, fedele alla cosa pubblica.
Sconcertante realtà, poi, è che la mia compagna ed io siamo gli unici visitatori affluiti consapevolmente. In effetti, proprio soli non siamo. Parecchi altri circolano. Però, che strano: composizione dei gruppi di visita, aspetto e atteggiamenti delle persone e altri elementi, tutto lascia intendere che sostanzialmente gli altri sono capitati per caso, se non addirittura per sbaglio. Poi, se ne capisce il perché: La Colombaia sta lungo la strada che a un trecento metri da lí sbocca sul luogo dove il 26 d'ogni mese appare la "Madonna di Zaro". Il Bel Paese è o non è pure la terra dei miracoli? Lí c'è una specie di circo devozionale, che, a parte il grande appuntamento d'ogni 26, è meta quotidiana di visitatori, alcuni dei quali, tornando indietro, si lasciano incuriosire dal pannello che segnala il "Museo Visconti".

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La Tomba
Controprova: uno dei cartelli a pennarello, difficile da notare – se non si è allenati a cogliere i dettagli e, infatti, da tutti gli altri ignorato – dice icasticamente: "tomba". Tomba di chi? Andiamo a vedere. Nessuno ci precede, nessuno ci segue. C'è da camminare un po', inoltrandosi nel fitto del bosco. E il sentiero non è confortevole, per muoversi su tacchi 12 o con le ciabattine da spiaggia. A un certo punto la vedi. Nessun segno a evidenziarla. Quattro o cinque piccoli massi rocciosi, simili a tutti gli altri disseminati qui e là lungo il sentiero. Anche loro sono screziati di muschio verdissimo e impastati con il fiorente sottobosco. Stanno ben coesi tra loro e davanti vantano un appena percepibile slargo d'una mezza dozzina di metri quadrati. Che quella sia la tomba lo si capisce per via della piccolissima lastra d'ottone imbullonata sul davanti del masso principale. Gli occhi ce li devi quasi appiccicare, per scoprire che ti trovi a ridosso delle ceneri di Lui e della sorella Uberta. Allora, ti ritrai, intimorito dall'eventualità di profanare quello spazio con le tue suole. Ti metti un poco discosto. Un silenzio venato solo da flebili echi di foglie carezzate dall'aria. Intorno, solo alberi, solo arbusti, solo muschio, solo radi frammenti rocciosi. E, lassú, lo sfondo terso e irraggiungibile del poco cielo lasciato in vista dagli alti rami frondosi indorati dal sole di mezzogiorno. Non è il cielo stellato di Immanuel, ma la legge che percepisci è la stessa.
La tomba, il modo di essa e, beninteso, quel che essa racchiude: una consolazione, dopo lo strazio per quella casa vilipesa.
Era stato un suo desiderio ben noto, quello di far abitare le proprie ceneri nel parco della Colombaia. Però, c'è voluto piú d'un quarto di secolo. A fine anni Cinquanta, a Lui troppo "originale", nonostante la gran fama, era stato vietato il Castello Aragonese per la messa in scena d'uno spettacolo teatrale. Dopo mezzo secolo, l'onda lunga di quel primo divieto ancora sciabordava sulle coste ischitane. Solo nel 2003 l'urna ha potuto approdare lí, sotto il masso che Lui stesso aveva scelto.
Sommo artista e grande italiano, i suoi films senza tramonto spandono illuminazioni, interrogativi e godimenti indicibili: Morte a Venezia, Ludwig, Caduta degli dei, Gattopardo, Vaghe stelle dell'Orsa, La terra trema, Senso, Notti bianche, Ossessione e tutti gli altri che ho mancato. Per non dire delle regie teatrali, delle quali, ahimè!, ho potuto incontrare solo il Giardino dei Ciliegi e nessuna di quelle liriche, ivi comprese le leggendarie con Callas. Dicono le cronache che sarebbe morto nel '76, ma uno come Lui non muore mai. Negli stessi anni del suo spendersi per generare La Colombaia, noi, Peppino Giampaola, Luciano Fabiani e io, in ragione del Teatro Stabile dell'Aquila che avevamo appena creato, s'andava spessissimo a Roma. In automobile, ovviamente, e transitavamo ogni volta davanti casa sua, sulla Salaria, dalle parti delle Catacombe di Priscilla. Al di là del muro di recinzione, si vedeva ben poco della villa, tutta rossa e quasi affogata dentro una densa livrea d'edera. La fuggitiva visione del varco protetto dal cancello lasciava ogni volta sperare d'intravedere Lui. Ma, quella giovanile aspirazione non venne mai esaudita. Poi, entrò in attività l'autostrada, non vi fu piú ragione di percorrere la Salaria e quel cancello scivolò dentro il baule dei ricordi. In seguito, fu un privilegio maestoso l'aver potuto scambiare qualche frase con Lui. Accadde a Spoleto, nel '66, quando noi portavamo al Festival "L'avventura di Maria" di Svevo e una sera ci si trovò nello stesso ristorante, dove, con Lui, c'erano Romolo Valli e Umberto Tirelli, princeps l'uno del recitare e l'altro del congegnare abiti di scena.

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Quale Destino?
Sono solo ricordi del tempo che fu, come pure lo sono non soltanto quelli della strepitosa Colombaia degli anni Sessanta e Settanta ma addirittura quelli della dimessa Colombaia ridotta a galleria fotografica. Perfino quest'ultima versione è acqua passata. Ormai, il cartello "la villa è chiusa per lavori di manutenzione" è una foglia di fico che cela la vergogna d'una pausa dal tono decisamente pre-agonico.
Per quanto depredata, rispetto agli anni in cui Lui vi abitava, sia pure soltanto in estate, La Colombaia (resa un po' meno inadeguata, esteticamente parlando, e affidata a professionalità adeguate) potrebbe diventare un "asset" capace di produrre posti di lavoro e reddito e inoltre fungere in campo mondiale da potente attrattore d'interesse turistico e da autorevole veicolo d'immagine d'alto profilo per tutta l'Italia.
E pensare che, proprio accanto alla Colombaia, c'è la prova vivente di quel che, per un bene di gran pregio culturale, può voler dire una conduzione all'altezza della situazione. Sul lato opposto della collina di Zaro c'è la Mortella, il cui sterminato e favoloso giardino genera flussi di visitatori da tutto il mondo e varie attività complementari che tengono brillantemente in efficienza l'intero complesso. La Mortella s'è venuta realizzando simultaneamente alla Colombaia, quale residenza, prima stagionale e infine permanente, di Lady Susana e Sir William Walton, il musicista autore, tra l'altro, delle colonne sonore per i tre grandi films shakespeariani di Laurence Olivier. La differenza sta non solo nella previdenza dei Walton, che di tutto hanno lasciato proprietaria la fondazione appositamente creata, ma anche nell'eccellenza qualitativa della gestione britannica, presieduta dal Principe di Galles (sí, proprio l'ex sposo di Lady Diana).
C'è stata una breve quanto esaltante fase in cui della Colombaia si sono occupati, tra gli altri, Maurizio Scaparro e Dario Fo. Occorre pensare in grande, disporre di professionalità e relazioni che non è ragionevole pretendere in ambito locale. Altrimenti, è come se a me, che non ho mai posseduto la patente di guida, qualcuno pretendesse di affidare una Maserati.
Però, disgraziatamente, allo stato attuale, la prospettiva piú realistica è che le difficoltà oggettive della mano pubblica e la stanchezza dei cittadini volenterosi possano lasciar rifiorire le voglie della speculazione immobiliare, possano lasciar tornare d'attualità quel destino da resort turistico che segnerebbe la fine definitiva per ciò che La Colombaia è stata e che in qualche modo avrebbe il diritto/dovere di tornare a memorare. Dolorosa ma, si spera, non ultimativa constatazione di un avverso destino che, proprio in un anno come questo (110 dalla nascita e 40 dalla morte), sarebbe stato giusto avesse fruttato, accanto ai rituali sermoni celebrativi, un minimo di concretezza in memoria di Luchino Visconti.

Nota sull'autore

Errico Centofanti, uno dei fondatori e già direttore del Teatro Stabile dell'Aquila, ha ideato e per diversi anni è stato direttore artistico dei festivals "Urbino Rinascimenti", "Castel dei Mondi" di Andria, "Il Suono di Dante" di Ravenna, "Sposalizio del Mare" di Cervia.

 

Ripreso da Sipario.it di mercoledì 31 agosto 2016

su autorizzazione dell'autore

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