La Caltanissetta di Brancati e Sciascia

La narrazione di Sergio Mangiavillano, condiretttore della rivista

Foto1 Vitaliano Brancati Foto2 Leonardo Sciascia Sergio Mangiavillano, ne La singolare avventura di Leonardo e Vitaliano nella città di pietra gialla (Edizioni Lussografica, CL, 2014), ci racconta il periodo degli anni ’30 nel quale Brancati e Sciascia abitavano a Caltanissetta. Mangiavillano, che è abituato agli studi storici (è condirettore della rivista “Archivio nisseno” ed ha all’attivo alcune narrazioni che si fanno ammirare anche per la mole della documentazione d’archivio), “scava” quegli anni di vita provinciale sotto il regime fascista, oltre che con una scrittura di particolare leggerezza, con un taglio critico-letterario approfondito e preciso. Sicché la narrazione riesce a fornirci degli illuminanti ritratti letterari sia di Brancati che di Sciascia. Nel luglio del 1935 il padre di Leonardo convoca una riunione di famiglia (allargata alle famose “zie” sciasciane, che vivevano con loro) nella quale viene deciso il trasferimento a Caltanissetta, da Racalmuto, perché lì Leonardo avrebbe potuto frequentare l’Istituto Magistrale e il fratello Giuseppe e la sorella Anna le scuole elementari. Il che avviene nel settembre successivo e Leonardo si troverà subito a suo agio nella “città di pietra gialla” (c.d. pietra di Sabucina), la Nissa che egli fino allora conosceva per le descrizioni incontrate nei Mimi siciliani di Francesco Lanza, che la zia Nica aveva avuto in prestito da un medico studioso di proverbi e che gli aveva a sua volta prestato. Saranno soprattutto due i compagni di scuola che diventeranno amici inseparabili: Stefano Vilardo, detto Stesté (anch’egli scrittore: si ricorda il suo libro più famoso, Tutti dicono Germania Germania, Sellerio, PA, 2007, e la rievocazione degli anni scolastici ne A scuola con Leonardo Sciascia, ivi, 2012), e Lilly Bennardo. Leonardo, con i soldi avuti dal padre e dalle zie, comprerà quanti più libri possibile, anche per leggerli d’estate quando tornava a Racalmuto, con una particolare preferenza verso i narratori americani, secondo quel “mito” che, in comune con Pavese e Vittorini, aveva contribuito a creare Giuseppe Antonio Borgese, che così sosteneva: “Pensare e scrivere americanamente vuol dire pensare e scrivere in una prosa robusta e pragmatica, tutta prosa, tutta intesa a trasferirsi senza residui in convinzioni ed azione; noi conosciamo un sapore analogo, molte volte, all’antico latino” (p. 31). Ma nelle letture di Sciascia erano immancabili le “lettere al direttore” che Brancati pubblicava regolarmente su “Omnibus” di Leo Longanesi e, qualche volta, gli scritti che di lui apparivano su “Quadrivio”, la rivista fascista dell’eccentrico Telesio Interlandi. Brancati, intanto, aveva superato il giovanile sbandamento per il fascismo (visto, come peraltro Vittorini e altri, per il suo spirito svecchiatore e rivoluzionario) e aveva voluto dare un taglio netto al passato, avanzando domanda di trasferimento da Roma a Caltanissetta (col proposito, dopo un biennio, di ritornare nella sua Catania). Vi giunge nel dicembre 1937 e, dopo un’iniziale accoglienza in casa dello zio Calogero, prese una stanza all’albergo Mazzone, nei pressi della stazione. Certo, l’“occidentale” Nissa era diversa dalle “orientali” Catania e Siracusa, dove prevaleva un dissacrante umorismo e una comicità a volte grossolana. Ma Brancati, che continuava a collaborare a “Omnibus” ed era schivo nei rapporti con gli altri, fece subito amicizia con il loquace Pompeo Colajanni, un avvocato comunista col quale faceva spesso delle passeggiate. Il quale lo introdusse alla locale intellighenzia, anche se egli si stufò presto delle riunioni che si facevano in casa del professore di filosofia Luca Pignato, infarcite di “spirito universale” e di astratte “categorie”. “Brancati applica sul piano artistico un tipo di ironia molto ‘catanese’ – diceva il professor Granata a Sciascia – in bilico tra riconoscibilità e leggerezza, che funziona in modo non troppo scoperto, altrimenti diventa altro, sarcasmo” (p. 75). Sicché ne fecero le spese proprio gli amici di Nissa, caricaturati poi nella narrazione Sogno di un valzer. Soprattutto erano due i bersagli colpiti da Brancati: la dimensione del “sogno” più che della realtà che si viveva a Nissa e quella della noia, che diventava “una metafora del regime” (p. 84). Intanto nel gennaio del 1939 il Minculpop (Ministero della Cultura Popolare” fascista) aveva chiuso “Omnibus”, giudicato troppo anticonformista e sequestrò quando apparve il romanzo breve dello stesso Brancati, Singolare avventura di viaggio, per presunta oscenità. Un compagno di classe di Sciascia chiese una volta al prof. Granata se quella di Leonardo verso Brancati – di cui continuava a seguire gli scritti su “Omnibus” – fosse una vera “infatuazione”. Granata rispose che il suo interesse rientrava in quello per la letteratura e che Sciascia, essendo alla ricerca di un autore esemplare, l’aveva trovato in Brancati. Intanto il tempo passava. A giugno del ’39 Sciascia sostiene gli esami per l’ultimo anno delle Magistrali e ottiene dieci in italiano. E’ arrivato anche il momento dell’addio a Caltanissetta di Brancati. Il giorno della partenza i tre amici, Stesté, Nanà e Lilly, si recano alla stazione, sperando di potergli parlare. E quando la littorina parte per Catania, sarà Vilardo a commentare: non gli perdonerò mai la descrizione di Nissa “sospesa su una squallida pianura”. [i]SERGIO SPADARO[/i] Il libro: Sergio Mangiavillano [green]“Singolare avventura di Leonardo e Vitaliano nella città di pietra gialla”[/green] Edizioni Lussografica, Caltanissetta, 2014, € 12,00.

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