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La crisi del lavoro agile in Italia

In Italia, per più di due anni, uno tra i simboli principali della pandemia è stato lo smart working: una procedura di lavoro svolgibile comodamente da casa, tramite computer. Sebbene sia stato l’ancora di salvezza di numerosi lavoratori, salvandoli dalla crisi e dall’impossibilità di mantenere il loro posto di lavoro, in questi ultimi giorni è stato fatto un dietrofront riguardo l’utilizzo del lavoro agile. Con l’aumento delle bollette, infatti, la triste realtà è che lavorare da casa costa molto di più all’azienda rispetto al recarsi fisicamente sul luogo. Il divario tra il lavoro in presenza e quello a distanza è così ampio da spingere i lavoratori a scegliere: lavorare da casa a spese proprie o tornare in ufficio?

Prima bisogna capire il perché di questo amore incondizionato verso la parte online. Al contrario di come si pensi, la motivazione non è “lavoriamo di meno”; bensì eliminando il tempo impiegato per recarsi sul posto di impiego, si dà alle persone l’occasione di migliorare l’equilibrio “lavoro-vita privata”.

Dati tutti i pro dello smart working, come l’aumento sia del benessere che di produttività da parte dei propri lavoratori, le aziende non si perdono d’animo e cercano una soluzione per poter mantenere questa tipologia di professione. Una delle prime proposte è stata ridurre lo stipendio dei propri dipendenti in modo tale da potersi permettere il mantenimento del lavoro agile. Solo il 20% di essi però si è dichiarato disponibile ad accettare questa condizione.

Nasce, quindi, per soddisfare questa necessità il lavoro ibrido. Negli ambienti di lavoro ibrido si alternano giornate di smart working con giornate in presenza. L’obbiettivo è integrare questi due mondi lavorativi che per anni sono stati ritenuti diversi, l’uno l’opposto dell’altro, in modo da trovare un equilibrio tra spese e soddisfazione. Anche l’Agenzia internazionale dell’Energia, dopo l’inizio dell’invasione russa in Ucraina, aveva indicato il lavoro agile come uno dei fattori utili per liberarsi dalla dipendenza energetica da Mosca. “Secondo la Iea, se si potesse lavorare da casa tre giorni a settimana, nei Paesi industrializzati si farebbe a meno di mezzo milione di barili di petrolio al giorno, su un consumo totale di 44 milioni”, aveva detto a Fanpage.it Gianni Silvestrini, direttore scientifico del Kyoto Club.

Sono anche gli stessi lavoratori a battersi per lo smart working. Colpiti anche loro dall’aumento di oltre il 40% del prezzo delle bollette, chiedono rimborsi adeguati per i consumi domestici causati dal lavoro da casa. Gli statali, così come i dipendenti delle aziende private non vogliono rimetterci economicamente in un periodo storico in cui la crisi è ormai, purtroppo, uno degli elementi cardini della quotidianità. Sono queste le motivazioni che hanno spinto i dipendenti a richiedere allo Stato un bonus specifico, sulla falsa riga di quello psicologico per i trasporti, in modo tale coprire parte delle spese legate alla fornitura di luce e gas. La risposta è stata però negativa.

Nel 2022 il politecnico di Milano ha monitorato il numero degli smart worker in Italia, stimando che circa 8 milioni di dipendenti italiani, su un totale di circa 19 milioni, potrebbero lavorare in modalità smart, anche detta “agile”. Che cosa lo impedisce quindi? Come ci si può aspettare, i più grandi ostacoli sono le bollette salate e l’impossibilità di essere rimborsati.

Il mantenimento dello smart working segnerebbe però una svolta fondamentale per il nostro pianeta. Infatti, si considera troppo poco l’impatto che un passaggio totale al lavoro a distanza potrebbe avere sull’ecosistema. il Greenpeace Central and Eastern Europe, una comunità di attivisti e volontari di tutto il mondo che agisce per l’ambiente, sottolinea infatti come gli spostamenti casa-lavoro e lavoro-casa costituiscano quasi il 70% del petrolio utilizzato in Europa, causando circa il 30% delle emissioni di gas serra e rappresentando la seconda spesa per le famiglie dopo la casa.

Ancora una volta ci troviamo quindi a scegliere tra due opzioni che non dovrebbero essere messe in “competizione”, ma bensì coesistere: la nostra salute o i nostri risparmi.