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Ti penso, ti sogno e mi basti così

Pensavo valesse solo per chi non ha una vita. O forse mi accorgo che quasi nessuno, ormai, ha più “una vita”.

Pensavo fosse una roba da giovanissimi che si gingillano nelle fughe dalle lezioni universitarie, anzianotti che vedono scorrere il replay della loro primavera su uno schermo (che hanno imparato a far funzionare da poco tempo): una roba da smanettoni infelici che cercano realtà parallele alla vita di coppia, a un quotidiano lavorativo sovraffollato (per cui incontrare gente di continuo equivale al non incontrare nessuno), o sguardi fissi sul computer dell’ufficio. No, no. Questa storia per cui il single apparentemente alla ricerca di partner, che però decide di invaghirsi e crogiolarsi a vita nel “desiderio del desiderio”, ha una trasversalità senza precedenti storici.

C’è un giovane di nemmeno trent’anni, un grande artista la cui bellezza richiama quella di un dio greco: un genitore arabo e l’altro slavo bastano a fondere in lui il culmine sublime dell’Energia creatrice, il capolavoro di occhi blu oltremare in un volto disegnato e in un corpo che lo scalpello di Fidia era uno scherzo; l’aria bohémien del genio realizzato. Perché… sì, è pure un geniaccio! Viaggia molto grazie al suo lavoro (che, ripetiamo, è un lavoro creativo) e vive in una metropoli americana. Il tempo di farsi venire a nausea la vita ancora non dovrebbe averlo conosciuto. Eppure, a una certa ora del giorno, che il fuso orario rende diversa dalla nostra, il nostro Apollo irrompe a gamba tesa nell’esistenza lontana di una donna più grande, la quale abita, appunto, l’emisfero opposto del cosmo, e che, di persona, lui non vede da anni. A colpi di clic, la accarezza e la adora. È il suo quarto d’ora quotidiano di Sehnsucht. E sono contenti e appagati tutti e due: “non ci faremo soffrire”, sembrano dirsi in questa comunicazione pantomimica di spionaggi e cuoricini vaganti che richiama il dialogo muto di un vecchio film coreano (Ferro tre, chi non lo ha visto, lo recuperi).

Ma… così pure abbiamo ascoltato la storia di un uomo over 70 che, dopo la perdita di una moglie amatissima, colma il vuoto delle sue giornate, la sua fame di bellezza e l’idolatria di una Musa virtuale “innamorandosi” (una volta dietro l’altra) di donne under 40 che “conosce” solo su Facebook. Questo è un caso sfizioso, sia pure nella sua natura struggente. L’ultima relazione di quest’uomo è confinata a internet per volontà di lui. Questo signore ha il peso specifico della cultura, moneta di scambio, nella fascinazione di lei, per la gioventù e l’avvenenza di una donna piena di vita, sempre sorridente, che svolge un lavoro da impiegata in una grande città. L’ombroso e attempato poeta e la “praticona” giunonica. La nota ilare è come lui la bacchetti, la tampini o le “tagli i viveri” (quanto a comunicazione telematica) per improvvise impennate di gelosia, per incazzature generate da pretesti (che la paziente signorina sopporta: lasciando interdetti e in un brodo di inquietissime domande un sacco di persone), però non vuole incontrarla. No, davvero. Non vuole che si vedano, non vuole che si tocchino, non sopporta neppure il pensiero di trovarsi seriamente di fronte ai bulbi oculari vivi e vegeti di questa ragazza. E quando gli si chiede: “ma perché mai, amico?”, la caterva di risposte confuse imbriglia lui stesso. Sensi di colpa verso il passato? Paura di deluderla? Paura di esserne deluso? Paura di dover interrompere ciò che in fondo non è mai cominciato? Sono tutte domande appunto: altro che risposte. I due, però, si considerano a tutti gli effetti una coppia.

(A chi si stesse chiedendo se lui sia molto benestante e lei no, diamo subito un’informazione preziosa: lei è più ricca di lui, e lo sanno entrambi. Tagliamo la testa al toro a un luogo comune che qui fa acqua).

Nel calderone di donne e uomini che lanciano il sasso e si mozzano la mano, come detto, ricadono le sempiterne categorie degli sposi infelici. Il web pullula di queste relazioni: “l’innocente evasione” che, alitando desiderio virtuale ciascuno nella vita dell’altro, i due coltiveranno per secoli, è una tendenza antica solo affinata dai nostri mezzi attuali. Il giochino della caccia all’amore che resta eternamente sull’uscio assume connotazioni insospettabili proprio perché… riguarda soggetti apparentemente privi di impedimenti per stare insieme nella vita reale. 

E che invece si parlano per post, per messaggi fugaci. Qui, in genere, è uno dei due quello davvero “rapito” dal desiderio, e probabilmente è anche consapevole di essere l’unico, tra i due, a provare qualcosa di simile alla passione. L’altro, tutt’al più, lo ospita, lo abilita allo scrutamento delle sue storie su Instagram (e cose del genere): l’altro “gattamorteggia”, in linea di massima. Ma casomai avesse voglia di concedere una chance al compulsivo corteggiatore virtuale, casomai veramente gli concedesse udienza per un caffè o aperitivo, potete giocarvici la testa: l’innamorato se la darebbe a gambe. Chi è la vera gattamorta tra i due? Altro fattore da non sottovalutare è che il succitato dialogo da Ferro Tre (ovvero un interscambio bizzarro e indiretto, senza mai nulla di esplicito) è quasi sempre temporaneamente riservato a una persona sola. Romeo presto migrerà sotto un altro balcone, Giulietta esporrà i bei capelli sciolti a un nuovo “acquisto” della sua rubrica. E più ci allontaniamo dalla soglia dei trent’anni, più invecchiamo, più l’incidenza di questi casi bislacchi diventa esorbitante. 

Forse, la corazza sulla pelle di tutti noi, quando siamo usciti scottati da storie d’amore reali, ci ha imposto una regola: l’amore finisce col far soffrire sempre e comunque; l’equilibrio menomato della nostra solitudine è comunque una forma di equilibrio, il cui raggiungimento è costato tanto di quel sudore che, sofferenza per sofferenza, è preferibile quella del desiderio inesaudito. Almeno così possiamo puntare l’indice su qualcosa di preciso: non abbiamo concesso chance (o c’inventiamo che non ci sia stata concessa) a una relazione con tutti i crismi, abbiamo scelto di logorarci di un logorio a scadenza per un’ombra qualsiasi, un romanticissimo usa e getta. Sotto sotto, preferiamo soffrire spaiati anziché fare i conti con lo scorticamento di una conoscenza reale, di una frequentazione sessuale, della fatica angosciosa e dolcissima dei primi approcci, di quella che richiede il planare dalle prime adrenaline al radicamento di una routine. Siamo single che fingono con se stessi di voler amare ed essere amati. (Questo “siamo” – precisa chi scrive – non sta per “io e tutta questa stralunata fauna”, non parla di me, ma nemmeno, in tutta onestà, esclude dall’osservatorio certe stagioni della mia vita trascorsa). 

È così comodo vestire i panni dell’adolescente che campa di sguardi, “donne-schermo” di dantesca memoria, fantocci tirati su o comunque gonfiati per levarsi dalle scatole situazioni grottesche, vivere e cancellare in un clic il nulla che si è vissuto, che rinunciarci sarebbe un peccato.

Almeno fino a quando – e anche su questo possiamo giurarci – il richiamo della verità e della natura non giungono sul serio. Spesso, un account Instagram questi “richiami” non ce l’hanno neppure: esistono ancora, sì, esistono ancora. Sono automuniti, inforcano il volante della macchina per provare a fare qualcosa sul serio. Hanno paura come tutti gli esseri umani, ma due paure fanno un coraggio intero. E, se alla fine della festa si piange, al massimo, ci si ricorda che l’essere umano è programmato per questo: piangere, non solo rim-piangere chiusi in una scatola di scarponcini demodé… che si spaccia per iPhone di ultima generazione.