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Roma. Dai Santi Apostoli a Via Ventura: alla ricerca di un rifugio

Roma – Le 20 famiglie di italiani e stranieri sgomberate in agosto da un palazzo in via di Quintavalle, a Cinecittà, trovarono a inizio settembre 2016 un rifugio presso la Basilica dei Santi Apostoli, nei pressi di Piazza Venezia. Riunitisi nei Movimenti per il diritto all’abitare, hanno iniziato il presidio come una occupazione di protesta, per manifestare e rendersi visibili in un luogo che è il cuore pulsante della città. Tale situazione si è protratta fino al mese di febbraio 2017, e i portici dei Santi Apostoli, da luogo temporaneo hanno assunto le vesti di una “casa”, con tutte le ovvie difficoltà inerenti alla mancanza di servizi. Le famiglie dei Santi Apostoli hanno quindi vissuto le tre stagioni di estate, autunno e per finire il gelido inverno che ha colpito Roma con neve e ghiaccio nell’ultima settimana, in attesa che Comune e Regione prendessero una decisione in merito alla loro istanza abitativa. Nel mentre si è assistito a un esempio di convivenza culturale e religiosa incredibile per il clima politico attuale. Si pensi che a inizio ottobre il parroco, lo stesso che ha permesso agli occupanti di rimanere sotto i portici della Basilica, ha concelebrato una funzione religiosa con un rappresentante musulmano delle famiglie ivi residenti.

Purtroppo dal punto di vista amministrativo non si è giunti a un risultato simile, né ad un compromesso degno di tale nome. Inizialmente, l’assessorato alle politiche sociali del Comune di Roma, organismo non inerente di per sé alle abitazioni, nelle vesti di Laura Baldassarre aveva proposto di accogliere solo le c.d. vulnerabilità, smembrando quindi le famiglie con bambini e donne incinta, senza prevedere soluzioni per i restanti membri.

Verso metà febbraio molti giornali hanno iniziato a parlare di un trasferimento delle famiglie in uno stabile vicino a Pineta Sacchetti, senza entrare nei particolari.

Claudio, uno dei membri dei Movimenti per il diritto all’abitare, dichiara che la notizia non gli è nuova. Infatti, “intorno al 20 dicembre la Regione Lazio ci aveva detto di questa eventualità ma era rimasto tutto sul vago”, non era stato neanche indicato quale spazio sarebbe dovuto essere adibito a loro abitazione, né i termini entro i quali avrebbero potuto farne accesso. “Non era uscito niente di ufficiale. Verso metà gennaio siamo andati quindi sotto la Regione per sollecitare, perché sapevamo che il Comune non era intenzionato a fare niente. Quindi ci hanno detto di quale stabile si trattava, che una porzione era in uso del Comune per assistenza alle persone anziane, mentre il resto dei piani erano stati messi a disposizione del Comune per affrontare l’emergenza freddo e, in particolare, per queste persone.”

Lo stabile di cui si discute è un palazzo sito in Via Gioacchino Ventura, 60. Lo stesso ha una molteplicità di funzioni: è una casa di riposo RM3, sede della Protezione Civile (Regione Lazio) “Roma Aurelio”, Servizio di Prevenzione di comportamenti a rischio e promozione di stili di vita sani del Comune di Roma e U.S.L. RM12 – Servizio dipartimentale di salute mentale presidio di Montemario, un centro diurno di salute mentale. La competenza risulta essere quindi sia della Regione Lazio che del Comune di Roma.

“È quindi uscito un comunicato della Regione che precisava che lo stabile sarebbe stato messo a disposizione alle 20 famiglie dei Santi Apostoli,” prosegue Claudio.“Dicevano che gli sarebbero serviti 15 giorni per i lavori di ristrutturazione, ma non sono pervenute notizie di inizio lavori né ulteriori comunicazioni.” Nel silenzio totale degli organi deputati alla risoluzione del problema e con il freddo alle porte, giovedì 15 febbraio,le famiglie dei Movimenti per il diritto all’abitaresono andatea via Gioacchino Ventura, illuogo dello stabile, per accertarne le condizioni alloggiative ed eventualmente accedervi. Giunti di fronte al palazzo si sono trovati di fronte un “ingente dispiegamento di forze dell’ordine” (si consideri che lo stabile di cui si discorre è adiacente al Forte Braschi, caserma dell’esercito italiano).È stata quindi avviata una protesta pacifica e improvvisata una tendopoli. “Verso le 19 abbiamo sbaraccato,perché è arrivata una telefonata dalla Regione che prometteva un incontro per il martedì successivo. Inoltre volevamo evitare di farci sgomberare con la forza.” Purtroppo la promessa non è stata mantenuta nei termini concordati.“Il lunedì ci hanno fatto sapere che l’incontro non si sarebbe più tenuto alla Regione Lazio, ma all’Assessorato alle politiche sociali del Comune di Roma (al Pintoretto, in via del serafico), quindi in un luogo non adibito propriamente alla casa. Noi non ci siamo stati e siamo rimasti davanti alla regione, mantenendo il punto. Abbiamo messo tende e materassi. Si è trovata una mediazione ed è stato fatto un tavolo lì alla regione. Ma il vice presidente alla Regione, Massimiliano Smeriglio, la cui presenza era stata promessa nella telefonata del 15 febbraio, non si è presentato. Il risultato è stata una promessa di ingresso nello stabile dopo 20 giorni, perché gli accordi con il Comune questa volta sono stati fatti e quindi dovrebbero iniziare effettivamente i lavori. Teoricamente dovrebbe essere proprio il comune responsabile dell’affidamento di questa pratica.” Quindi la palla è stata rispedita nuovamente al Comune di Roma, sia per l’avviamento (si spera reale) dei lavori che per permettere l’ingresso una volta ultimati gli stessi.

Nell’attesa di accedere a questo stabile (“semmai veramente riusciremo ad accedervi” precisa Claudio), i manifestanti sotto la Regione hanno chiesto chiarimenti su che cosa fare durante questo periodo di attesa, in particolare su dove dormire. È stato suggerito loro di dormire nelle occupazioni. “Ci hanno consigliato di dormire in quelle occupazioni che proprio la Regione e il Comune hanno ritenuto illegali” e dalle quali qualche mese prima sono stati sgomberati.

Mercoledì 21 febbraio è stato diramato un nuovo comunicato della Assessora alle politiche sociali, Baldassarre, (politiche sociali) che parla esclusivamente di “fragilità”. “È un diabolico gioco dell’oca,” insiste Claudio,“si ritorna al via. Come quando i primi giorni di occupazione ai Santi Apostoli, proprio la Baldassarre proponeva lo smembramento delle famiglie e l’accoglienza delle sole fragilità”.

Il 28 febbraio si è tenuta un’assemblea in Piazza di santa croce in gerusalemme con Paolo Berdin moderatore (ex-assessore all’urbanistica di Roma) anche per discutere di “città del futuro” e delle nuove sfide che aspettano il Movimento. 

Nel frattempo le 20 famiglie dei Santi Apostoli aspettano questo tetto e questa accoglienza che oggi, 5 marzo, dovrebbe avvenire. La preoccupazione più grande risiede nel fatto che secondo il Comune dovrebbe essere un’accoglienza rientrante nel piano “emergenza freddo”. Cosa accadrà quindi tra un mese? Sarà l’ennesimo caso di accesso utile soltanto a livello mediatico?