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L’Opera Don Guanella. Il sostegno e la cura della disabilità mentale incontra il mare a Passoscuro

“Miei buoni amici di Lurate Caccivio, ho portato qui tra voi i miei buoni figli che possiedono una ricchezza che molti intelligenti non hanno, perché hanno l’innocenza”, con queste parole Don Luigi Guanella si rapportava con gli abitanti del piccolo paese in cui usava 

fare lunghe passeggiate con i suoi “buoni figli”. Molti i termini con cui sono stati chiamati nel tempo: persone affette da malattie mentali, disabili, handicappati. Don Guanella li chiamò “buoni figli”, perché erano i non voluti, i diversi, i ragazzi abbandonati davanti al suo centro che con la loro innocenza portavano allegria e semplicità. Da quel piccolo paese in Lombardia, oggi l’Opera ha assunto dimensioni inimmaginabili per l’allora fondatore, con decine di centri in Italia e nel mondo. A Roma, circa cento anni fa, è stata fondata la Casa San Giuseppe che accoglie e aiuta persone con ritardo mentale o disabilità intellettiva, talvolta anche associate ad altri tipi di disabilità fisiche e sensoriali, le cui famiglie non possono o non vogliono occuparsi. In questa struttura, sita sull’Aurelia Antica in un parco urbano, dimorano circa 300 ragazzi (le ragazze sono ospitate in un’altra struttura denominata Figlie di Santa Maria della Provvidenza). Per tutto l’arco dell’anno svolgono attività funzionali al recupero psico-fisico e partecipano ad eventi ludici e culturali. Recentemente alcuni ragazzi sono stati protagonisti del lungometraggio Rai Cinema “Ho amici in Paradiso”. Con l’arrivo dell’estate invece le attività si spostano al centro Stella Maris, a Passoscuro (RM). I ragazzi passano così l’estate, a turni di 60, in un centro accogliente posto a una decina di metri dal mare, con una piscina, un ampio 

cortile e una piccola cappella, vivendo anche loro le vacanze estive. I collaboratori e volontari dell’Opera lavorano dalle 7.30 del mattino fino a tarda sera per dare supporto alle attività previste dalla struttura. “È un’esperienza che ti sconvolge, prima in negativo e poi in positivo” racconta Francesco, giovane volontario. “All’inizio ti ritrovi sbalzato in una realtà molto differente dalla tua, fino a quel momento conosciuta solo in maniera superficiale. Ma dopo una sola giornata passata con i ragazzi, cambia tutto”, prosegue Francesco. La giornata del volontario ha inizio con doccia e barba per i ragazzi che non sono autonomi, seguita da una ricca colazione. “I pasti sono personalizzati a seconda delle esigenze in solidi, semisolidi e passate”. Poi i ragazzi vengono accompagnati in spiaggia e chi vuole può fare il bagno. 

“È una spiaggia pubblica. I bagnanti all’inizio guardano con stupore il gruppo, ma poi il clima si distende e torna tutto alla normalità”. Segue poi il pranzo, relax in cortile, merenda e bagno in piscina. “Alcuni ragazzi devono essere seguiti in ogni momento della giornata”, continua Francesco, “aiutati a mangiare, entrare in piscina…devo ammettere che per quanto possa sembrare strano, la piscina è uno dei momenti più divertenti della giornata. Si legge la felicità nei loro occhi.” Poi, per chi vuole, si celebra la messa delle sei. Una messa sui generis in cui Don Pozzi, responsabile della struttura e del progetto, dialoga con i ragazzi, racconta la Bibbia e ascolta cosa ne pensano i suoi “buoni figli”. Egli conosce tutto dei ragazzi, e a volte sembra quasi che legga nel loro pensiero. Viene incontro tempestivamente ad ogni bisogno, partecipa alle attività, nuota insieme a loro. Potrebbe essere definito letteralmente un “buon padre”, ma lui, bresciano doc, non si scompone e afferma sorridendo: “così facciamo noi guanelliani”.  Infine, dopo la messa, i ragazzi cenano e passano la serata in cortile o in salotto, finché non vengono accompagnati a letto. “Può sembrare schematico e a tratti monotono raccontato in questi termini, ma vivendolo sulla propria pelle, passando ogni giorno insieme a loro, scopri sempre delle novità e ti accorgi di essere un’altra persona,” prosegue Francesco analizzando lo svolgimento delle giornate a Stella Maris. “La cosa che più mi ha colpito è stato il giorno in cui sono dovuto andar via. Ero commosso, i ragazzi mi chiedevano di restare ancora qualche giorno e io non riuscivo o forse non volevo allontanarmi da quel luogo. Sarà questo il vero significato dell’amore?”