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Minori Non Accompagnati: la realtà incontra la riforma

 Roma – Il centro “Pedro Arrupe”, polo multifunzionale del Centro Astalli, è uno dei luoghi in cui si concretizza la mission del Servizio dei Gesuiti per i Rifugiati (JRS). Sito in un ex-albergo del gruppo Ferrovie dello Stato, rappresenta uno spazio in cui si incontrano realtà diversificate unite dal comune intento di promozione e sviluppo umano dei soggetti accolti. Al piano terra dell’edificio, nella cosiddetta Casa di Marco, dimorano 15 Minori Stranieri Non Accompagnati (MSNA) di età compresa tra i 13 e i 17 anni provenienti dall’Egitto, dall’Eritrea e dall’Albania.

I flussi migratori di MSNA si generano principalmente da questi paesi e, come confermano i rapporti di Save The Children e altre ONG operanti nel settore, sono in costante aumento. Si consideri che dagli 800 MSNA giunti in Italia nel 2014 si è avuto un incremento esponenziale nel 2015 (12.300), seguito da oltre 25.000 nel 2016 e circa 3.700 durante il mese di gennaio 2017. Inoltre, nel 2015 l’EuroPol ha denunciato la scomparsa di 10.000 MSNA arrivati in Europa, di cui circa 5.000 in Italia.

Per questi motivi l’interesse mediatico si è focalizzato di recente sulla questione dei MSNA, che ha ricevuto, finalmente, la necessaria attenzione da parte del Governo italiano. Difatti, il 7 aprile 2017, è stata promulgata la legge Zampa, il primo strumento legislativo onnicomprensivo in materia di diritti e tutele a favore dei MSNA che adempie in toto agli obblighi internazionali derivanti dalla Convenzione di New York sui Diritti del Fanciullo del 1989 e dai successi Protocolli Addizionali. In particolare, è riconosciuto rilievo preminente al principio del superiore interesse del minore, equiparando il MSNA al minore cittadino italiano o europeo.

È importante ravvisare l’alto valore giuridico e sociale di tale normativa, poiché elimina ogni forma di concorrenza giuridica con le deboli tutele previste dalla legislazione in tema di abbandono di minori, fino ad ora applicata per i MSNA.

Tuttavia permangono ancora alcune criticità, soprattutto sotto il profilo dell’attuazione pratica, dalle quali non si può prescindere per non sacrificare l’effettiva tutela dei minori.

Innanzitutto, le lunghe attese nei centri di prima accoglienza. Sebbene sia stato dimezzato il termine massimo di permanenza nei Centri di Primo Soccorso ed Accoglienza (CPSA – i c.d. hotspot) da 60 a 30 giorni, tale periodo di tempo risulta essere ancora troppo ampio stante la situazione di incertezza in cui versa il minore e l’attuale inadeguatezza di tali strutture a far fronte ai bisogni di minori reduci da una traversata solitaria via mare. È stata sì prevista l’istituzione di nuovi centri di prima accoglienza ad hoc per i MSNA, ma al momento la disposizione in esame non ha ricevuto attuazione.

Le ricadute fisiche e psicologiche sulla salute dei minori si manifestano pienamente nelle strutture di seconda accoglienza, come il Centro “Pedro Arrupe”. I minori con lunghi periodi di permanenza nei CDA si dimostrano chiusi e taciturni sia con gli operatori che con gli altri ragazzi. Per esempio S., 14 anni, ha passato più di due mesi nel CDA di Pozzallo. Da quattro mesi alloggia nel Centro, ma è psicologicamente assente, chiuso nel suo mondo. Non partecipa alle attività con gli altri ragazzi, né tanto meno alla vita scolastica, ma vive nel suo telefonino o passa il tempo fissando il vuoto.

Altro problema fondamentale è la mancanza numerica e qualitativa di tutori. La legge Zampa prevede a tal proposito l’istituzione presso ogni Tribunale dei Minorenni di apposite liste di tutori volontari. Inoltre, il presidente del Comitato Interministeriale per i Diritti Umani (CIDU – MAECI) afferma che, attraverso la legge Zampa, saranno investite nuove risorse appositamente per la questione tutori.

Purtroppo la situazione attuale è ben lontana dalla previsione normativa. Nel Centro “Pedro Arrupe” solo 4 ragazzi, quasi maggiorenni, hanno il tutore e la stessa situazione si ripresenta nelle diverse realtà locali di accoglienza. La dirigente del centro sottolinea come abbia insistito più volte per l’assegnazione di un tutore per ogni minore. Le risposte sono state sempre negative e le motivazioni addotte si incentravano sulla mancanza di fondi e sulla priorità dello svolgere le pratiche dei minori in procinto di raggiungere la maggiore età. Quest’ultima ragione, seppur appartenente a una logica lavorativa accettabile, non tiene conto dei maggiori bisogni di un minore molto più giovane di 17 anni e della sua necessità di avere una guida effettiva che gli mostri la via della legalità e lo aiuti nel completamento delle procedure di regolarizzazione delle pratiche di soggiorno.

Anche in questo caso le conseguenze ricadono sul minore, il quale senza un supporto ed un’esemplarità individuale rischia di abbandonare lo studio e cadere più facilmente nel giro del lavoro nero per ripagare il debito (circa 5.000 $) contratto durante il c.d. viaggio della speranza, pratica molto diffusa tra i minori egiziani.La maggior parte di questi ragazzi del Centro, infatti, desidera fortemente trovare un lavoro il prima possibile anziché continuare a studiare, lasciando trasparire, ad un occhio attento, la vera ragione di questa scelta definitiva.

Per il momento può dunque applicarsi solamente il criterio residuale della legge Zampa, il quale dispone che in mancanza di un tutore assegnato, la responsabilità del minore ricada sul dirigente del centro di accoglienza, gravando ulteriormente tale figura di un onere spropositato e nel concreto ingestibile.

Si auspica che la legge Zampa venga attuata nella sua totalità in tempi brevi e sopperisca a tali criticità, tenendo sempre presente la pietra angolare sulla quale essa si regge: il superiore interesse del minore.