
di Francesco Mazzarella
Quando il fumo bianco si è levato sul cielo di Roma, non si è trattato soltanto dell’annuncio di un nuovo Pontefice. Si è aperto uno spiraglio inatteso nel cielo fitto di nubi che da anni gravano sulla Chiesa. Papa Leone XIV è apparso senza euforia, senza acclamazioni esagerate, quasi in punta di piedi. Ma proprio in quella sobrietà c’era già una rivoluzione: quella del silenzio che precede la parola, del respiro che prepara il passo. Non ha urlato, non ha mostrato carismi teatrali. Eppure, fin da subito, è riuscito a farsi sentire nel profondo.
La scelta del nome ha parlato prima di lui: “Leone”, come chi porta dentro la forza di chi ha saputo affrontare i barbari con la sola autorità spirituale, e il coraggio intellettuale di chi ha saputo misurarsi con la modernità. Un nome che non cerca l’unanimità, ma la coerenza con la propria visione. Non il Papa dell’urgenza mediatica, ma dell’urgenza evangelica.
Il primo discorso pubblico non è stato un elenco di priorità o di riforme annunciate, ma un invito delicato e radicale: “Disarmiamo le parole, costruiamo ponti”. Un appello non solo rivolto alla stampa o al mondo della comunicazione, ma a ogni uomo e donna di questo tempo. Perché oggi, più che mai, la violenza si è fatta linguaggio, e la parola – anziché unire – troppo spesso ferisce, esclude, distrugge. Il Papa non propone una strategia, ma uno stile, quasi un’ecologia spirituale del linguaggio: parlare non per affermarsi, ma per avvicinarsi.
È lì che si è intravista la prima grande apertura del suo pontificato. L’empatia digitale – una categoria quasi inedita nella dottrina ecclesiale – è stata riconosciuta come via pastorale. Non più solo compassione o accoglienza passiva, ma comprensione attiva dell’altro, un volersi bene anche nel disaccordo. È stato come se il Papa dicesse: “Vi vedo. Vi ascolto. Non voglio correggervi, voglio camminare con voi.”
Eppure, in questa apertura, Leone XIV non ha mai dato l’impressione di voler cedere sull’essenziale. Ha parlato con tenerezza, ma anche con fermezza. Alcuni temi, come il sacerdozio femminile o l’intercomunione, restano ai margini del suo orizzonte. E non per chiusura ideologica, ma per un profondo rispetto del tempo e della Tradizione. Il suo è un passo lento ma consapevole, che distingue ciò che può cambiare da ciò che deve restare, non per paura, ma per fedeltà.
Non ha voluto fare promesse, ma ha lanciato sogni. Uno fra tutti: il sinodo permanente sul linguaggio e la pace. Non un evento da calendario, ma un processo che attraversi tutta la vita della Chiesa. Perché – lo ha detto con chiarezza – senza parole nuove non nasceranno mondi nuovi. E senza cura della parola, non ci sarà mai cura dell’altro.
Le reazioni, come prevedibile, sono state contrastanti. Alcuni hanno visto in lui il Papa della moderazione, altri il Papa del cambiamento sottovoce. C’è chi ha temuto un’eccessiva morbidezza, e chi ha sperato in una rivoluzione mancata. Ma forse proprio in questa tensione sta il cuore del suo pontificato: non piacere a tutti, ma parlare a ciascuno. Non per dividere, ma per provocare alla riflessione.
Ai giovani, Leone XIV non ha regalato slogan. Ha detto loro di non avere paura del dubbio, perché il dubbio è il segno di chi cerca. È difficile, oggi, trovare parole così vere e così libere. Niente paternalismo, nessuna superiorità spirituale: solo un invito accorato a cercare insieme.
Non nasconde le ferite della Chiesa, anzi. Le chiama per nome: scandali, stanchezza, sfiducia, distanza. Ma lo fa con uno sguardo che non giudica, che non si abbatte. “Non siamo qui per sopravvivere – sembra dire – ma per rigenerare.” Il suo è il volto di un pastore che crede ancora nella possibilità del cambiamento, ma non a colpi di decreti. Crede nel cambiamento che nasce dal basso, nelle parrocchie, nelle famiglie, nei silenzi condivisi.
È un pontificato della soglia, del confine, dell’attesa. Un tempo nuovo, ma non ancora definito. E forse è questa la sua forza: non voler dare subito tutte le risposte, ma creare spazi per le domande. Non accarezzare le masse, ma toccare l’anima.
Leone XIV sta camminando con passo trinitario: ascolta, discerne, agisce. Senza fretta. Senza timore. Senza fare della Chiesa un partito, né un museo. Sa che servono radici per avere ali. E sogni per restare in piedi.
Nel suo sguardo c’è la fatica di chi ha ereditato una barca sballottata dalle onde. Ma anche la speranza di chi sa che, in fondo, ogni vera riforma nasce da un cuore che si lascia amare. E da mani che non si stancano di ricominciare.
Il futuro è aperto. Il cammino è fragile. Ma c’è una voce, oggi, che invita a non avere paura. Una voce che non impone, ma accompagna. Una voce che non urla, ma guarisce. È la voce di Leone XIV, il Papa dei ponti e delle fratture. E forse, proprio per questo, il Papa che serviva alla chiesa.