Vorrei solo che nessuna di noi diventasse un’altra Martina. E nessuno di noi, un altro lui.

Dieci ragazzi tra i 13 e i 16 anni si confrontano su gelosia, controllo, social, educazione emotiva e il bisogno disperato di adulti presenti. Un’intervista corale sull’amore malato, per non restare in silenzio.

di Francesco Mazzarella

Abbiamo scritto a  dieci adolescenti chiedendo ai genitori– sei ragazze e quattro ragazzi – tra i 13 e i 16 anni. Ci hanno risposto  con sincerità disarmante, a tratti con rabbia, a tratti con un pudore che spezza il cuore. Le domande erano sei, ma le risposte sono state mille: paure, ricordi, violenze sfiorate o vissute, e il disperato bisogno che qualcuno li ascolti, li prepari, li protegga davvero.Così nasce questo articolo-intervista.

1. Cosa c’è dietro un gesto così estremo come quello che ha portato alla morte di Martina?

“La paura. La gelosia. Ma soprattutto il sentirsi padroni dell’altro. Come se una persona fosse tua e non potesse più vivere se ti lascia.” (Gabriele, 15 anni)

“Lui non l’ha uccisa perché l’amava. L’ha uccisa perché non sapeva chi era senza di lei. E se non ce l’aveva, allora doveva sparire.” (Elena, 16)

“A me fa paura che sembri quasi normale tra noi. Che tutti abbiamo almeno un amico che urla alla sua ragazza se guarda il telefono.” (Marco, 14)

Molti parlano di “modelli sbagliati”. “Serie TV che romanticizzano la gelosia”, “padri che parlano alle madri come se fossero bambine”, “frasi tipo sei mia o di nessuno che girano su TikTok”. La violenza, dicono, nasce in piccolo. Nelle parole, negli sguardi, nei silenzi.

2. Hai mai visto o vissuto situazioni in cui l’amore veniva confuso con il controllo o la dipendenza?

“Sì. La mia amica non può uscire senza dire tutto al suo ragazzo. Se non gli scrive per mezz’ora, lui le fa le storie. Dice che è gelosia, ma io penso che sia violenza.” (Sara, 14)

“Anche io ho fatto così una volta. Ero geloso. Ma poi mi sono sentito uno schifo. Nessuno ti dice che quella non è cura, è ansia tua che scarichi sull’altro.” (Luca, 15)

“Io non so nemmeno più se quando uno mi dice che vuole sapere tutto su di me è perché ci tiene o perché vuole il controllo.” (Chiara, 13)

Quasi tutti raccontano esperienze dirette o indirette di controllo: condivisione forzata delle password, divieti di frequentare certi amici, richieste continue di “prove d’amore” sotto forma di obbedienza.

3. Che ruolo pensi abbiano i social network nel modo in cui oggi vivete le relazioni e le emozioni?

“I social ti fanno sentire che devi essere sempre perfetto. Anche nell’amore. Se non fai vedere che stai con qualcuno, allora forse non ti ama davvero.” (Beatrice, 14)

“Su Instagram sembra che l’amore sia solo cuori, regali, pose. Ma nella vita vera è tutto molto più incasinato.” (Alessio, 16)

“TikTok mi ha fatto capire tante cose sulle relazioni tossiche. Però allo stesso tempo ti crea dipendenza. Cerchi conferme dagli altri invece che parlare davvero.” (Giada, 15)

Emergono due tendenze opposte: da una parte i social come luogo di informazione e consapevolezza, dall’altra come teatro di insicurezze e falsi modelli. “Non sappiamo più se stiamo vivendo o se stiamo solo mostrando di vivere.”

4. A scuola si parla abbastanza di affettività, emozioni, rispetto? Ti senti preparato a gestire questi aspetti?

“A scuola ci parlano di sesso, non di sentimenti.” (Francesco, 14)

“Io ho imparato più sull’amore da mia sorella che da tutti i prof messi insieme.” (Ginevra, 13)

“Una volta è venuto uno psicologo. Ci ha detto che la gelosia è normale. A me non sembra per niente normale che uno ti segua per strada.” (Sofia, 15)

Tutti chiedono un’educazione affettiva “vera”, “continua”, “non fatta per dovere”. Nessuno si sente davvero preparato. “Ci insegnano a fare equazioni, ma non a gestire quando qualcuno ti fa sentire in colpa se dici no.”

5. Hai mai provato a parlare con un adulto delle tue relazioni, emozioni o paure? Come ti sei sentito/a?

“Con mia madre, ma mi ha detto che ero esagerata.” (Martina, 13)

“Con un prof. È stato l’unico a dirmi che avevo fatto bene a lasciare quel ragazzo.” (Federica, 15)

“Io no. Ho paura che pensino che sia una cavolata da ragazzini.” (Davide, 16)

Il dolore più grande sembra essere il silenzio degli adulti, o la loro superficialità. Quando parlano, spesso giudicano. Quando ascoltano, a volte si distraggono. Ma quando ci sono davvero – anche solo per un attimo – fanno la differenza.

6. Cosa pensi che si possa fare – da parte vostra, degli adulti, della scuola o della società – per evitare che accadano ancora tragedie come quella di Martina?

“Insegnateci a capire cos’è davvero l’amore.” (Giulia, 14)

“Dateci spazio per parlare. Non solo quando succede una tragedia.” (Gabriele, 15)

“Fate corsi, fate sportelli, fate tutto quello che volete… ma fatelo con cuore. Non perché dovete.” (Sofia, 15)

“E noi dobbiamo aiutarci tra di noi. Non stare zitti. Se un amico ti tratta male, non è tuo amico.” (Luca, 16)

Le loro parole chiedono azioni concrete: più ascolto, più educazione emotiva, meno moralismi. Vogliono adulti presenti, scuole che parlano davvero, media che smettano di romanticizzare la violenza.

E poi una frase. Di quelle che non ti lasciano più:

“Vorrei solo che nessuna di noi diventasse un’altra Martina. E nessuno di noi, un altro lui.”

Forse tutto comincia da qui: da un ascolto vero. E da una promessa collettiva: non lasciarli mai più soli con le loro paure.

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