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Congresso delle famiglie a Verona. Omofobismo, anti-aborto e medioevo tra le parole più utilizzate per descriverlo

Verona – Oggi 29 marzo ha avuto inizio la XIII edizione del Congresso Mondiale della Famiglia, ma è da più di un mese che se ne parla. La città di Verona non ha mostrato fino al giorno prima di aver accolto questo evento. Non c’era infatti neanche un manifesto per la città. D’altronde l’oscurantismo ideologico è una delle parole chiave quando si parla della città di Romeo e Giulietta. Anzi proprio quest’ultimo appellativo tende a mascherare quel che veramente si nasconde all’ombra di quel balcone tanto famoso.

Ebbene tiriamo le somme.

Il suddetto Congresso della Famiglia è stato inventato dal presidente dell’Organizzazione Internazionale della Famiglia, Brian Brown, per “una visione positiva della famiglia intesa come l’unione tra un uomo e una donna nel matrimonio”. Già questa affermazione non ha lasciato immuni da perplessità i più. Non serve infatti essere un sostenitore LGBTI per rendersi conto dell’attacco insito in questa affermazione nei confronti di tutte le coppie omosessuali.

Invece, per quanto riguarda la location, è stato Massimo Gandolfini ad organizzare a Verona. Sua anche la feroce accusa contro la legge sull’aborto, definito un omicidio dell’utero, sostenendo che “il bambino non è un vestito che si elimina o un pezzetto di carta da buttar via. Per questo dare la libertà di ucciderlo è sbagliato dal punto di vista morale.” Si scivola qui su un piano intricato in cui morale (badate bene che non si tratta affatto di religione nel pieno senso del termine) si scontra con la legge. Non può quindi che uscirne fuori un abominio concettuale e anche logico. Infatti la legge in questione, la 194, nacque per precise ragioni sociali: evitare l’aborto clandestino, piaga dell’Italia degli anni 60-70 e una delle prime cause di morte delle donne. E l’efficacia deterrente della legge è stata ed è indiscutibile. Forse anche in questo caso sarebbe stato più opportuno promuovere campagne sociali, economiche e culturali per cambiare la mentalità collettiva (come ad esempio educazione sessuale e sentimentale nelle scuole).

Però le ragioni che hanno portato a criticare duramente questo Congresso hanno riguardato in particolare gli ospiti che vi partecipano e il patrocinio degli enti pubblici. Quest’ultimo è stato alla fine ritirato da parte del CdM ma non dalla Regione Veneto.

È lunga invece la lista degli ospiti. Si parte con il presidente onorario dell’associazione Lombardia-Russia e membro di Citizengo (l’organizzazione che ha promosso tra le altre cose i manifesti anti aborto in giro per Roma che lo indicano come la prima causa di femminicidio nel mondo) Alexey Komov. Tra le altre cose è anche membro della Fondazione San Basilio Magno, una delle più ricche della Russia (40mln di $), sovvenzionatrice dei separatisti ucraini e filo diretto con Putin (utile alleato della Lega). Abbiamo poi il presidente della Moldavia Igor Dodon, fedelissimo del Cremlino e antieuropeista (dopo le elezioni del 2016 ha fatto togliere la bandiera UE dal palazzo presidenziale). Anche il presidente di CitizenGo, Ignacio Arsuaga, figura tra gli invitati. Arsuaga è divenuto celebre per una campagna del 2017 dove fece affiggere su un bus la scritta: “I bambini hanno il pene, le bambine la vagina, non farti ingannare. Se nasci uomo sei un uomo, se nasci donna lo continuerai a essere”.

Dulcis in fundo, vi saranno anche rappresentati africani a questo importantissimo congresso. A primo acchito potrebbe sorprendere il fatto che dei neger come definiti dagli autoctoni possano accedere ad un congresso definito estremista e nazionalista. Ma queste due ospiti sono molto particolari: la nigeriana Theresa Okafor infatti è famosa per essere contraria all’uso dei contraccettivi in uno dei Paesi primi al mondo per tasso di natalità e numero di persone affette da Hiv; mentre il ministro per lo Sviluppo Sociale dell’Uganda, Lucy Akello, è stata accusata di essere una sostenitrice della cosiddetta “Kill the gays bill”, legge bocciata dalla Corte Costituzionale nel 2014 che prevedeva dieci anni di carcere per chi diffondeva messaggi a sostegno dei diritti Lgbt e fino alla pena di morte, poi ridotta (solo) all’ergastolo, per chi compie atti omosessuali.

A questo siparietto si aggiungono in punta di piedi i ministri Pillon, Fontana e Salvini (recentemente bruciato – il suo fantoccio – a Brescia, per esorcizzare il fascismo, durante il tradizionale “rogo della vecchia” di metà Quaresima), a dimostrare gli interessi più politici ed economici di questo incontro per il Carroccio.

Non stupisce dunque che “Non Una Di Meno”, organizzazione per l’autodeterminazione e dignità delle donne, abbia indetto una manifestazione contro tale congresso sabato 30 marzo a Verona. Perché la libertà di espressione ed opinione deve essere libera, ma per tutti.