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Migranti. Le ONG alla prova del nove con il Governo italiano: la firma del nuovo codice di condotta

Temperature roventi in arrivo sulla penisola italiana, non solo in ambito climatico. Oggi dovrebbe essere firmato il codice di condotta delle ONG (organizzazioni non governative) inerente in particolare la questione dei salvataggi dei migranti nel Mar Mediterraneo. Tra queste molte hanno espresso pareri negativi e dubbi riguardo la portata del nuovo codice (novità assoluta in materia) e gli effetti molto probabilmente controproducenti dello stesso. La ONG tedesca Sea Watch infatti, oltre a presumere l’illegalità di questo documento, ritiene che “non salverà vite umane, ma avrà l’effetto opposto” e aggiunge che al momento sarebbe necessario aumentare la “capacità di soccorso”, invece che aggiungere nuove regole. Proprio su alcune di esse si è focalizzata l’opposizione di alcune delle ONG più attive nel Mediterraneo, tra cui Proactiva Open Arms che ha dichiarato di non voler firmare il codice, esponendosi in tal modo alle non meglio precisate “conseguenze” minacciate dal Ministro dell’Interno Minniti. Le maggiori frizioni si sono concentrate su due articoli: l’obbligo di non trasferire i migranti soccorsi su altre navi e la presenza, anch’essa obbligatoria, a bordo delle navi della polizia giudiziaria italiana. Sebbene il gruppo di lavoro del Viminale sia intervenuto su questi punti per attutirne gli effetti dannosi per le ONG (per il primo punto è prevista un’eccezione su autorizzazione del Centro di coordinamento per il soccorso marittimo, al secondo è stato aggiunto l’inciso “possibilmente e solo per il tempo strettamente necessario”), le stesse non hanno ritenuto sufficienti tali modifiche, riconoscendo una grave ingerenza del governo italiano su questioni legate principalmente al diritto fondamentale alla vita dei migranti. Pesanti le risposte degli esponenti dei partiti politici, tra cui Maurizio Gasparri (Forza Italia) che ha accusa le ONG di incrementare “i guadagni dei mercanti di schiavi che operano sul continente africano, alimentando una speculazione vergognosa e facendo crescere anche il numero delle morti”, poiché “prelevano i clandestini” direttamente nelle acque libiche. Argomentazioni opinabili, ma che fanno riflettere su un argomento di profonda attualità: la piaga dei trafficanti di esseri umani.

La tratta di esseri umani è il terzo mercato nero al mondo in termini di profitti, circa 150 miliardi di dollari l’anno, dopo, rispettivamente, il mercato di armi e di droga. Esso è anche uno dei crimini più gravi che possano essere commessi ai danni di un essere umano. Sebbene la fattispecie di tratta possa risultare giuridicamente complessa, la sua caratteristica fondamentale è la condizione di sfruttamento totale subita dalle vittime che le rende dei veri e propri schiavi del nuovo millennio. La pericolosità di questa nuova forma di schiavitù è stata riconosciuta dalle Nazioni Unite nel 2000 con l’adozione di un Protocollo Internazionale anti-tratta e con la dedica di una giornata, il 30 luglio, alla lotta contro la tratta di esseri umani. Il Presidente Mattarella ha dichiarato l’importanza di questo evento mondiale, poiché si pone come “obiettivo di sensibilizzare cittadini e istituzioni, richiamando ciascuno al dovere morale e alla dignità civile di una lotta senza frontiere contro queste forme di schiavitù”. In occasione dell’Angelus è intervenuto anche Papa Francesco che nel richiamare l’impegno comune a contrastare questa piaga sociale ha espresso un concetto chiave: “sembra che ci siamo così abituati da considerarla una cosa normale. Questo è brutto, è crudele, è criminale!”.

Infatti la c.d. “emergenza migranti” è oramai pacificamente una notizia all’ordine del giorno (ciò fa riflettere molto sulla definizione di “emergenza” che le si dà) e le proposte di intervento nazionale e internazionale si focalizzano principalmente sul bloccare i flussi irregolari e contrastare i trafficanti. Il Ministro Minniti ha dichiarato che l’obiettivo principale è far intervenire nelle proprie acque territoriali la guardia costiera libica per affrontare entrambi i fenomeni, esternalizzando totalmente il problema e bloccando nella pratica molti interventi di ricerca e salvataggio delle ONG. Da un punto di vista politico è una iniziativa interessante, ma dimentica il fattore principale: la protezione delle vittime di tale crimine. Come i trafficanti anche i governi attraverso tali politiche tendono a considerare le persone alla stregua di merci e a focalizzare gli interventi principalmente nel reprimere il fenomeno. È evidente l’estrema difficoltà nel catturare e perseguire concretamente le reti di trafficanti. Lo dimostrano i numeri a livello mondiale: ogni paese in media persegue qualche decina di soggetti, i quali non è detto siano i veri artefici del crimine, anzi spesso gli autori materiali incriminati sono soltanto dei mezzi, l’ultima ruota del carro. Probabilmente sarebbe raccomandabile cambiare l’approccio, considerando per un attimo la logica del mercato su cui si basa questo business aberrante. I trafficanti rispondono a una domanda altissima di prostituzione, di lavoro a costo zero e di organi e tessuti (fra le principali forme di sfruttamento della tratta) presente in Europa e ovviamente anche in Italia. In questo caso, bisognerebbe forse riconsiderare gli atteggiamenti buonisti del “aiutiamoli a casa loro”, non eliminandoli, ma agendo anche sul nostro territorio. In che modo? Educando la popolazione a non richiedere questi servizi, attraverso l’introduzione e l’implementazione nelle scuole dell’educazione alla sessualità e dell’educazione civica, come prima cosa; affrontando concretamente le forme di lavoro forzato, come il capolarato (l’Italia ha riformato la legge in materia che adesso punisce anche i datori di lavoro compiacenti); e considerando come principali i valori sociali dell’inclusione e dell’uguaglianza.

Senza un cambiamento del genere, di portata radicale e presumibilmente innovativa, si assisterà sempre più di frequente a scontri come quello attuale tra ONG e governo italiano, tra chi guarda alla protezione dei diritti degli esseri umani e chi alle questioni di sovranità e politica interna, ponendo un serio limite al naturale sviluppo umano della popolazione.