L’Italia non è l’Inghilterra

(da aje.it)

Siamo diversi non solo perché abbiamo avuto Berlusconi e ora Grillo e Salvini. Ma per una storia secolare profondamente differente e per organizzazione e funzionamento delle istituzioni, con in cima la monarchia britannica, mai messa seriamente in discussione. Del resto nei termini in cui si manifestano da noi , non sarebbero immaginabili, né la dura vertenza della scuola, né il buco di bilancio per le pensioni, né singolari riforme istituzionali come quelle volute da Renzi che secondo il ministro Boschi dovrebbero costituire la miracolistica soluzione di tutti i mali.

Del resto specie da noi il voto vinto abbondantemente da Cameron è stato analizzato nello schema: destra batte sinistra, risultato del tutto inaspettato , per colpa anche di sondaggisti sempre meno affidabili nelle loro previsioni anche nel Regno Unito. C’era in verità l’urgenza di comprendere come un sistema elettorale radicalmente diverso dal nostro, potesse garantire la governabilità in una fase così delicata per tutti.

Del renzellum in verità gli inglesi non si sono occupati e i giornali che l’hanno fatto si sono espressi in modo negativo o fortemente problematico. E’ vero però che questi benedetti inglesi hanno sempre avuto un po’ di spocchia. Hanno scelto da sempre gli Usa come naturale alleato privilegiato, hanno considerato gli europei cugini di rango minore. Ancora oggi citano scherzosamente la vecchia battuta : ” forte tempesta sulla Manica , l’Europa è isolata “.

Anche le istituzioni di Bruxelles sono state tollerate per convenienza, considerate piene di politici incapaci e spendaccioni ,burocrati con i paraocchi e incompetenti. Il principale problema che si pone ora dopo il voto è soprattutto il rapporto con l’Europa e il rischio di uscita dalla Ue. Una scelta che danneggerebbe per prima la stessa Gran Bretagna. Conseguenze molto negative si rifletterebbero però sulla vita della stessa Ue e di ciascuno dei 28 Paesi che la compongono.

E’ evidente però che una Gran Bretagna isolata, alle prese con il grosso problema dei separatisti di Scozia e Irlanda che premono alle “frontiere”, rischierebbe difficoltà enormi. In un contesto di globalizzazione e di competizione mondiale dei mercati, non è facile immaginare come l’Inghilterra potrebbe sostenere una scelta tanto scellerata. Più realisticamente Cameron cercherà di trattare condizioni migliori con gli interlocutori di Bruxelles. Con pragmatismo e astuzia aveva infatti accarezzato l’elettorato euroscettico e addirittura in certa misura dato ascolto a tendenze xenofobe presenti tra i conservatori. Il risultato del voto lo ha rafforzato oltre ogni previsione, anche in conseguenza della grave crisi dei laburisti che appaiono privi di una chiara identità.

La crisi pesante del labour-party dovrebbe offrire seri spunti di riflessione a tutto il socialismo europeo. La mancanza di attrazione verso i giovani, i protagonisti dei nuovi mestieri, gli anziani e gli intellettuali sono tutti segnali di una grande difficoltà nei rapporti con la società e di settori più dinamici. Crisi evidenziata anche dalla bassa partecipazione al voto che riguarda sempre più tutti i Paesi europei.  Troppo spesso ci pare che la scarsa partecipazione venga snobbata nelle analisi di politici ed esperti e liquidata semplicisticamente come male inevitabile delle democrazie contemporanee che riguarda tutti.

Bisognerebbe diffidare di queste letture semplicistiche anche perché non offrono adeguate spiegazioni né contribuiscono alla ricerca di possibili vie di soluzione. Vale per tutti però in ogni caso che senza popolo non c’è democrazia  e che con una democrazia fragile ed esangue la crisi della politica e delle istituzioni può solo aggravarsi.

(13.5.2015)

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